"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
IL
MONDO NON DIMENTICHI IL DRAMMA PALESTINESE Gerusalemme. La
stampa israeliana funziona spesso da sveglia. Nel corso di avvenimenti che
agitano trippe e cervelli, guerre o intifada, nei momenti in cui hai l´impressione
che le idee si appannino e si smarriscano nella faziosità, su alcuni
quotidiani di Gerusalemme e di Tel Aviv puoi trovare analisi lucide,
dissacranti, anticonformiste, che riconducono alla ragione e quindi alla
realtà. È una delle principali virtù di una società democratica
puntualmente messa alla prova dalle passioni. Nelle ultime ore, grazie ai
colleghi israeliani, mi sono reso conto che avevamo dimenticato la
questione palestinese. Prima presi dal conflitto in Libano, e poi dalle
sue immediate conseguenze, impegnati come eravamo a seguire le grandi
trame diplomatiche, a Damasco, a Teheran, nelle capitali occidentali,
avevamo perso di vista il dramma all´origine, magari come pretesto, di
(quasi) tutti i drammi mediorientali: appunto la questione palestinese. La
quale, se non verrà risolta o seriamente affrontata, renderà vani i
tentativi di ridisegnare, in positivo, la mappa politica mediorientale.
Leggo in un articolo di Danny Rubinstein (Haaretz del 4 settembre), che
tra luglio e agosto, a Gaza e in Cisgiordania, sono stati uccisi 251
palestinesi, tutti da soldati delle Forze armate israeliane. E che circa
la metà di quei morti erano civili, inclusi vecchi, donne e bambini. In
quei due mesi i contatti diplomatici tra Israele e l´Autorità
palestinese sono stati congelati. E lo sono tuttora. Soltanto quelli
riguardanti i problemi pratici quotidiani sono assicurati da semplici
funzionari. Non si è più parlato di un possibile rilancio della road map,
il mai ufficialmente defunto processo di pace. E il Primo ministro, Ehud
Olmert, ha ribadito ieri, ancora una volta, che il progressivo ritiro
unilaterale dalla Cisgiordania, compreso nel suo programma elettorale di
marzo, non è più d´attualità dopo la guerra del Libano. Sempre ieri è
stato inoltre reso pubblico il finanziamento per la costruzione di 690
nuove abitazioni nelle colonie israeliane di Betar Llit e di Ma´aleh
Adumim, nei territori occupati. Si tratta della più importante decisione
tesa a rafforzare gli insediamenti al di là della Linea Verde, virtuale
confine tra Israele e la Palestina, presa dal governo formato dal Labour e
da Kadima, il movimento centrista creato da Ariel Sharon, dopo il suo
divorzio dal partito di destra Likud. La vittoria elettorale di Hamas e la
costituzione di un governo che non riconosce lo Stato di Israele avevano
già condotto al comprensibile irrigidimento di Gerusalemme. Ma i rapporti
con l´Autorità Palestinese (di fatto Presidenza di una repubblica da
creare), ben distinta da Hamas e guidata dal moderato Abu Mazen, non erano
stati congelati. Anche perché essa cercava e cerca di condurre Hamas ad
accettare lo statuto dell´Olp, che riconosce da tempo, dal 1993, lo Stato
ebraico. L´ulteriore irrigidimento è adesso senz´altro dovuto, in larga
parte, alla necessità di assecondare l´opinione pubblica israeliana,
insoddisfatta di come il governo ha condotto la guerra in Libano, e pronta
a votare, stando ai sondaggi, per i partiti di destra e di estrema destra.
Ma pesa soprattutto il rapimento del soldato Gilad Shalit, ancora nelle
mani di un gruppo estremista di Gaza. Israele non lo perdona. Esige la
liberazione. Stringe Gaza in una morsa. Per ora le trattative segrete non
hanno dato risultati. Gli stessi uomini di Abu Mazen lavorano per
convincere i rapitori a lasciare la preda. Non si sa quanti palestinesi
detenuti nelle prigioni israeliane esigano in cambio. Se la cattura, da
parte degli hezbollah, di altri due soldati ha provocato il 12 luglio la
guerra del Libano, la cattura di Gilad Shalit, da parte di estremisti
palestinesi, ha provocato di fatto la rioccupazione di Gaza, che Ariel
Sharon aveva evacuato l´anno scorso, costringendo con fatica i coloni ad
abbandonare i loro insediamenti. Le condizioni umanitarie in quella città,
collettivamente punita perché colpevole del ratto di Gilad Shalit, sono
disastrose. Gli ospedali sono gonfi di malati e privi di medicine.
Scarseggia l´acqua, manca in molti quartieri l´elettricità. Come in
Cisgiordania, ancora ufficialmente occupata, a Gaza i funzionari non sono
pagati da mesi. Non si è neppure potuto inaugurare l´anno scolastico
perché gli insegnanti senza salario sono rimasti a casa. Come
prefigurazione della Palestina indipendente, Gaza offre una triste
immagine. Ghazi Hamad, portavoce del governo Hamas, ha fatto l´autocritica.
Non è soltanto colpa dell´occupazione israeliana, ha scritto, se siamo
in queste condizioni: «Anche noi siamo responsabili dell´anarchia, degli
assassinii, dei furti, delle occupazioni illegali delle terre abbandonate
dai coloni, delle montagne di rifiuti per le strade». Una scuola di
pensiero, emersa soprattutto nelle capitali europee, giudica che il trauma
della (seconda) guerra israelo-libanese abbia creato le premesse per una
revisione positiva della intricata situazione mediorientale. Si sarebbe
prodotto qualcosa di simile a un "bang" politico da cui potrebbe
nascere un´occasione di dialogo tra paesi (e popoli) finora abituati a
comunicare soltanto attraverso le armi, il terrorismo e la repressione. La
guerra avrebbe prodotto una scarica, un elettrochoc, in grado di
riaccendere i lumi della ragione nelle menti accecate dall´odio di
antiche rivalità. Si può certo guardare con scetticismo quella
volonterosa scuola di pensiero che intravede la possibilità di creare
condizioni favorevoli, affinché tanti popoli nemici rinsaviscano. Ma la
volontà dell´ottimismo è spesso efficace nelle grandi imprese. Tante
volte, nella storia, dalle rovine e dai cimiteri è scaturita una pace che
sembrava impossibile. Per ottenerne una vera è stato tuttavia
indispensabile estirpare i principali motivi che l´avevano a lungo
impedita. Ed è evidente che la questione palestinese è all´origine di
larga parte del dramma mediorientale. Il dialogo è dunque consigliabile
anche con Gaza. testo integrale tratto da "La Repubblica" - 5 settembre 2006 |