IDEE

Tv, una macchina per poche parole

Talk show poco «intelligenti»? Responsabile è anche la complessa organizzazione

 che concorre alla produzione,con i suoi ruoli prefissati, il conduttore e gli esperti

di Vittorino Andreoli

Sullo schermo di un canale televisivo possono essere mandati in onda prodotti acquistati - come film, documentari, telenovelas - e in questo caso l'editore si limita a riversarli sulla propria frequenza, più o meno come facciamo noi quando inseriamo nel nostro videoregistratore la cassetta acquistata in un negozio. Vengono però anche trasmessi prodotti ideati specificamente e su questi si gioca per lo più l'originalità e la caratterizzazione principale di una rete televisiva.
Per far fronte a una simile produzione si impone una struttura operativa, un gruppo di professionisti. Si parte dal direttore di rete o dei programmi che interpreta la volontà dell'editore e ha il compito di seguire le realizzazioni, stando dentro i budget messi a disposizione, e anche entro lo stile dell'editore. È per lui che transitano le raccomandazioni provenienti dall'alto e anche le frenate, le censure, che quasi sempre si motivano come impedimenti di cassa. Si interpella il direttore per ogni decisione che, senza il suo avvallo, non avrebbe valore. Questi di solito risponde a un capo struttura che è in diretto rapporto con il direttore generale, la vera voce del padrone, anche quando si dichiara libero.

Ci sono poi gli autori, che forniscono le idee e scrivono i testi dei programmi, e dunque sono i sagomatori di ciò che si trasmette. È su di loro che il direttore fa calare gli indirizzi di contenuto e i criteri per le persone da invitare, idonee a trasmettere quel dato messaggio e a interpretarlo al meglio. Agli stessi autori spettano le battute, ma questi devono arrivare a scrivere le "scalette" con indicato tutto ciò che appare e si dice in scena.
C'è quindi lo sceneggiatore, il regista, l'esperto delle luci, tutte figure destinate a concorrere alla trasformazione della scaletta in immagini. Il regista soprattutto è il personaggio chiave poiché a lui spetta saper attirare l'attenzione, disporre che la telecamera si fermi su una coscia o su un viso, fare primi piani che vivacizzi no, invece di "grandangoli" che disperdono l'attenzione.
A questo punto entra il conduttore della trasmissione, i pippibaudi, i celentani, le venier, i costanzo, i vespa: il mito insomma del nostro tempo televisivo. Uno che deve fare da collante, costruire un insieme con le piccole parti di ciascuno. Una sorta di maggiordomo della trasmissione che nello stile televisivo italiano però è divenuto ormai il padrone di casa, l'intelligentone di turno, l'icona taumaturgica della situazione. Qualsiasi cosa dica magari è scritta dagli autori, e dunque deve impararla a memoria, anche se lui la recita alla perfezione quasi fosse farina del suo sacco. È una sorta di grillo parlante, anzi di cicala, per chi attribuisce al grillo parlante - quello almeno della favola di Pinocchio - una qualche coscienza e un senso morale. Il conduttore in realtà è capace di dire tutto e il suo contrario, l'importante è poter reggere la scena, poi la coerenza non conta. Deve solo preoccuparsi di non lasciare spazi vuoti, di sorridere, di mostrare al meglio le doti di intrattenitore che possiede. L'importante è trattenere il pubblico e fare ascolti. Allo scopo, tutto fa brodo.
Potrebbe, per certi versi, richiamare la figura dell'idiot savant.
Figure, queste, tutte fondamentali per «capire» una trasmissione, e che hanno il potere di ammettere o escludere personaggi non solo attraverso i segnali che vengono dall'alto e che circolano dal direttore generale al capo struttura, da questi al direttore di rete o dei programmi, agli autori e al presentatore, ma anche per via orizzontale, ossia tramite rapporti diretti. Un autore, un presentatore possono promettere successi o quanto meno comparse in video, e possono ottenere anche compensi per questo, talora in carne umana giovane, seppur il risultato sia sempre a rischio, essendo in fin dei conti dei subalterni, e dunque non dispongono di un potere plenario ma devono a loro volta sottostare alle imposizioni superiori.
Certo, tutto si commis ura anche al peso del personaggio che occupa quel ruolo: Maurizio Costanzo, ad esempio, è un protagonista certamente con poteri speciali.
Il conduttore, lo abbiamo detto, deve necessariamente far emergere il proprio narcisismo, e dunque ricevere gratificazione dalla presenza, dal prestigio, dalla riconoscibilità di sé e della trasmissione, dall'importanza degli ospiti, dall'impatto delle proprie battute, non importa da chi inventate.
Oltre a questi soggetti strutturali ci sono gli ospiti: artisti o intellettuali a secondo del tipo di spettacolo prodotto. Talora - in grandi contenitori - c'è spazio per tutti, persino per il prete televisivo che nel frattempo è diventato anch'egli una figura necessaria del programma, quasi come è necessario nella celebrazione della Messa. Un'icona - a sua volta - che fa bene all'inquadratura e alla rappresentazione.
È chiaro che qui si può andare dalla rock star che costa centinaia di migliaia di euro, alla nuova scoperta (raccomandata magari del top management) o a guru, come Celentano, che costano cifre da capogiro e vanno per parlare dei poveretti.
Certo, tra gli ospiti ci sono talora anche i poveretti, che paradossalmente non vengono però pagati. Corrono per raccontare le proprie miserie, le disgrazie in cui sono incappati. Vanno per interpretare un genere che ha oggi una grande audience nel pubblico: il poter piangere sulle disgrazie di altri, per consolarsi delle proprie. Talora questi "testimonial" riescono persino a piangere in diretta, e allora il successo è assicurato, si lascia spazio alla lacrima anche quando il copione indica di tagliare. Ma alla fine toccherà magari al singulto della disperazione di essere tagliato per la pubblicità, per dare il passo al suggerimento dell'acquisto di un pannolino ultra sottile, che non limita e non bagna.
C'è l'arte poi della domanda infinita per le vittime di violenza carnale. Merita sapere che le reti televisive reperiscono per lo più le disgrazie "da spettacolo" attraverso agen zie specializzate che vengono pagate, e in maniera salata, per ogni vittima individuata. Agenzie che preparano la vittima stessa per il passaggio in video, le insegnano cosa dire, in funzione delle richieste del cliente televisivo.
Il mercato della disgrazia è fortissimo e inverecondo.
Ma è individuabile anche un'altra figura onnipresente: l'esperto. L'esperto per ogni disciplina, l'esperto di guerre nel Golfo, l'esperto in mafia, l'esperto in salute (un esercito sono), l'esperto in influenza e soprattutto in diete.

Sull'esperto potrei parlare ampiamente, anche se sono un esemplare che scappa sempre più spesso da questo ruolo e che per lo più si vergogna per una simile appartenenza. So bene che nell'ambiente televisivo domina un atteggiamento di derisione nei confronti di chi critica la televisione e, nel caso specifico, l'esperto: la convinzione cioè che si tratti di un escluso, e dunque che la sua critica sia null'altro che rabbia da frustrazione per non essere mai chiamato.
Un giorno mi è capitato di sentire Maurizio Costanzo parlare con un'autrice del suo programma che gli raccontava di un certo "sapiente" che si era messo a criticarlo aspramente. Fu laconico: «Vuoi che smetta? Invitalo la settimana prossima in trasmissione!».
Forse non è il mio caso, se non altro per i moltissimi no pronunciati a fronte di inviti ritenuti in genere di un'attrazione fatale.
All'esperto non viene dato, almeno mai dato a me, il copione con scritto cosa debba dire, ma sempre gli è indicato il tempo a disposizione, tale da rendere impossibile fare l'esperto poiché in pochi secondi si può benedire, recitare una formula cabalistica, ma non certo spiegare in maniera comprensibile un fenomeno.
In realtà, l'esperto è un aspecifico e di fatto uno qualunque. Ogni volta che, invitato ad una trasmissione per questo ruolo non ho accettato, ho visto subito un altro al mio posto, con caratteristiche persino opposte alle mie: opinioni e posizioni antitetiche. Insomma, ho constatato che non esiste l'insostituibilità, ma anzi sempre l'esatto contrario: una lista di esperti che viene passata, e se il primo dice di no si va al successivo. Una lista compilata a partire dalla capacità di bucare lo schermo, non sulla professionalità e sulla pertinenza di contenuti.
L'apertura del sorriso può valere infinitamente di più di una chiarezza espositiva che comunque non serve, poiché il tempo a disposizione non permette di dire alcunché.
L'esperto è di solito un burattino che afferma quello che vuole il conduttore, imboccato dagli autori. Egli è un siparietto necessario per cambiare filmato, per interrompere il campo, o spezzare la monotonia della stessa faccia.

Insomma l'esperto è una presunzione che viene sistematicamente negata nell'esperienza concreta: riesce a dire soltanto banalità o al massimo cose di buon senso. L'esperto non si impone per ciò che può dire grazie alla sua storia e ai suoi studi, ma per qualche caratteristica del corpo, del viso: bellezza, un tic (di grande valore e il gesto sui capelli, lanciato da Sgarbi e copiato ormai anche dai calvi), uno sguardo spermatico.
Questa dinamica dell'organizzazione televisiva per lo più produce idiozia. Dei costi di questa industria della stupidità è meglio non parlare. Basta dire invece che produrre un minuto di televisione intelligente (anche nel divertire) costa quanto farne uno di televisione sciocca.

testo integrale tratto da "Avvenire" - 24 giugno 2003