Torniamo
a Barcellona Pozzo di Gotto, la città messinese che attende da sei mesi
una decisione del Viminale sul suo consiglio comunale per le
“inquietanti” infiltrazioni mafiose e malavitose denunciate dalla
commissione ispettiva guidata dal prefetto Antonio Nunziante, che ha
sollecitato il governo a sciogliere il Comune. Barcellona è una capitale
della mafia provenzaniana, fatta di una ferocissima ala militare
(centinaia di omicidi impuniti, solo negli ultimi vent’anni) e di una
potente cupola legata a pezzi di politica, forze dell’ordine e forse
magistratura. Il telecomando di Capaci e l’artificiere dell’ordigno
venivano di lì. A Barcellona latitò a lungo indisturbato Nitto
Santapaola. A Barcellona fu ucciso il giornalista Beppe Alfano. A
Barcellona c’è un sindaco di An, Candeloro Nania (cugino del più noto
senatore Domenico, condannato in I grado per villa abusiva) che abbraccia
in pubblico un tizio arrestato per traffico di esplosivi e va a braccetto
con pregiudicati.
La sua giunta assegna incarichi a noti mafiosi. Nel suo Comune lavorano
condannati per mafia. Nel consiglio comunale, 17 su 30 sono inquisiti,
compreso il vicepresidente Maurizio Marchetta, indagato per associazione a
delinquere e turbativa d’asta nonché amico del boss Salvatore Di Salvo,
col quale va pure in crociera. L’altro giorno, in consiglio comunale,
Marchetta ha inveito contro un integerrimo capitano dei carabinieri e
contro i pm che indagano su di lui, inutilmente redarguito dal presidente.
Intanto il Comune veniva visitato dagli uomini della Dda di Messina,
venuti a sequestrare gli atti di un appalto. Per molto meno, negli ultimi
anni, sono stati sciolti decine di consigli comunali.
Quello di Barcellona, invece, pare intoccabile, se è vero che il ministro
Amato ha deciso di respingere la richiesta di scioglimento avanzata dagli
ispettori e il sindaco Nania ha avuto addirittura udienza al Viminale per
perorare la causa del suo Comune infiltrato dalla mafia. Non osiamo
nemmeno pensare che sia pure vero ciò che scrive, citando notizie di
stampa mai smentite, l’avvocato della famiglia Alfano di tante altre
vittime di mafia, Fabio Repici, in una lettera aperta: e cioè che il
salvataggio del Comune è stato deciso in amabili e riservati conversari
che han coinvolto «il senatore Nania, il Pg messinese Cassata e
importanti esponenti della maggioranza parlamentare di centrosinistra»,
catanesi e non. E ancora: «Dieci giorni fa, in un comizio in piazza, il
sen. Nania ha dichiarato di aver ricevuto parole confortanti dal ministro
Amato».
Il quale sarebbe stato rassicurato sul ritorno di Barcellona alla legalità
da una nota, tutta rose e fiori, del prefetto di Messina, Scammacca.
Repici traccia anche un ritrattino del prefetto, piuttosto distratto negli
ultimi anni sui gravissimi fatti che avvenivano sotto il suo naso e che
gli ispettori ministeriali, venuti da fuori, hanno segnalato (purtroppo
invano) al Viminale: «Di lui - scrive Repici - si rammenteranno
l’attitudine a compiacere i desiderata del sen. Nania e le gaffes
pubbliche, come quella di presentarsi allo stadio per la partita
Messina-Juventus in compagnia dell’ex deputato Giuseppe Astone, in quel
momento indagato dalla Dda di Messina insieme all’on. Crisafulli, al
presidente Cuffaro e a personaggi legati al sen. Nania, in un’inchiesta
di mafia relativa alla raccolta rifiuti a Messina. Nulla al confronto di
quanto lo stesso dr. Scammacca aveva fatto dal ’93 come commissario del
Comune di S. Giovanni la Punta (Catania), sciolto per mafia: il dr.
Scammacca creò una “consulta cittadina”, in cui inserì
l’imprenditore multimiliardario Sebastiano Scuto, col quale instaurò
rapporti di frequentazione personale, allargata alle rispettive mogli.
Sennonché, nel 2001, Scuto finì in carcere per mafia visti i suoi
rapporti col clan Laudani, e gli investigatori trovarono tracce del
passaggio di somme di denaro da Scuto a Scammacca. Interrogato al
processo, Scammacca (già prefetto di Messina), con grande impaccio ammise
di aver ricevuto denaro da Scuto, in pagamento di una vecchia auto da
collezione».
Ora, vogliamo sperare che l’avvocato Repici sia un pazzo che s’inventa
le cose, nel qual caso va ricoverato in un manicomio criminale. Se invece
non lo fosse, e le sue parole non ricevessero immediate smentite, il
governo Prodi dovrebbe sciogliere subito il Comune di Barcellona Pozzo di
Gotto.
O, in alternativa, spiegare pubblicamente perché non lo fa. Restiamo in
fiduciosa attesa.