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Barcellona pizzo di Gotto / 2

di Marco Travaglio

     Torniamo a Barcellona Pozzo di Gotto, la città messinese che attende da sei mesi una decisione del Viminale sul suo consiglio comunale per le “inquietanti” infiltrazioni mafiose e malavitose denunciate dalla commissione ispettiva guidata dal prefetto Antonio Nunziante, che ha sollecitato il governo a sciogliere il Comune. Barcellona è una capitale della mafia provenzaniana, fatta di una ferocissima ala militare (centinaia di omicidi impuniti, solo negli ultimi vent’anni) e di una potente cupola legata a pezzi di politica, forze dell’ordine e forse magistratura. Il telecomando di Capaci e l’artificiere dell’ordigno venivano di lì. A Barcellona latitò a lungo indisturbato Nitto Santapaola. A Barcellona fu ucciso il giornalista Beppe Alfano. A Barcellona c’è un sindaco di An, Candeloro Nania (cugino del più noto senatore Domenico, condannato in I grado per villa abusiva) che abbraccia in pubblico un tizio arrestato per traffico di esplosivi e va a braccetto con pregiudicati.
La sua giunta assegna incarichi a noti mafiosi. Nel suo Comune lavorano condannati per mafia. Nel consiglio comunale, 17 su 30 sono inquisiti, compreso il vicepresidente Maurizio Marchetta, indagato per associazione a delinquere e turbativa d’asta nonché amico del boss Salvatore Di Salvo, col quale va pure in crociera. L’altro giorno, in consiglio comunale, Marchetta ha inveito contro un integerrimo capitano dei carabinieri e contro i pm che indagano su di lui, inutilmente redarguito dal presidente. Intanto il Comune veniva visitato dagli uomini della Dda di Messina, venuti a sequestrare gli atti di un appalto. Per molto meno, negli ultimi anni, sono stati sciolti decine di consigli comunali.
Quello di Barcellona, invece, pare intoccabile, se è vero che il ministro Amato ha deciso di respingere la richiesta di scioglimento avanzata dagli ispettori e il sindaco Nania ha avuto addirittura udienza al Viminale per perorare la causa del suo Comune infiltrato dalla mafia. Non osiamo nemmeno pensare che sia pure vero ciò che scrive, citando notizie di stampa mai smentite, l’avvocato della famiglia Alfano di tante altre vittime di mafia, Fabio Repici, in una lettera aperta: e cioè che il salvataggio del Comune è stato deciso in amabili e riservati conversari che han coinvolto «il senatore Nania, il Pg messinese Cassata e importanti esponenti della maggioranza parlamentare di centrosinistra», catanesi e non. E ancora: «Dieci giorni fa, in un comizio in piazza, il sen. Nania ha dichiarato di aver ricevuto parole confortanti dal ministro Amato».
Il quale sarebbe stato rassicurato sul ritorno di Barcellona alla legalità da una nota, tutta rose e fiori, del prefetto di Messina, Scammacca. Repici traccia anche un ritrattino del prefetto, piuttosto distratto negli ultimi anni sui gravissimi fatti che avvenivano sotto il suo naso e che gli ispettori ministeriali, venuti da fuori, hanno segnalato (purtroppo invano) al Viminale: «Di lui - scrive Repici - si rammenteranno l’attitudine a compiacere i desiderata del sen. Nania e le gaffes pubbliche, come quella di presentarsi allo stadio per la partita Messina-Juventus in compagnia dell’ex deputato Giuseppe Astone, in quel momento indagato dalla Dda di Messina insieme all’on. Crisafulli, al presidente Cuffaro e a personaggi legati al sen. Nania, in un’inchiesta di mafia relativa alla raccolta rifiuti a Messina. Nulla al confronto di quanto lo stesso dr. Scammacca aveva fatto dal ’93 come commissario del Comune di S. Giovanni la Punta (Catania), sciolto per mafia: il dr. Scammacca creò una “consulta cittadina”, in cui inserì l’imprenditore multimiliardario Sebastiano Scuto, col quale instaurò rapporti di frequentazione personale, allargata alle rispettive mogli. Sennonché, nel 2001, Scuto finì in carcere per mafia visti i suoi rapporti col clan Laudani, e gli investigatori trovarono tracce del passaggio di somme di denaro da Scuto a Scammacca. Interrogato al processo, Scammacca (già prefetto di Messina), con grande impaccio ammise di aver ricevuto denaro da Scuto, in pagamento di una vecchia auto da collezione».
Ora, vogliamo sperare che l’avvocato Repici sia un pazzo che s’inventa le cose, nel qual caso va ricoverato in un manicomio criminale. Se invece non lo fosse, e le sue parole non ricevessero immediate smentite, il governo Prodi dovrebbe sciogliere subito il Comune di Barcellona Pozzo di Gotto.
O, in alternativa, spiegare pubblicamente perché non lo fa. Restiamo in fiduciosa attesa.

 

testo integrale pubblicato da  "L'Unità" - 31 gennaio 2007