"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
NONVIOLENZA Gandhi cent´anni dopo serve ancora la non violenza? di Adriano SofriLa non violenza non si misura con l´efficacia. Del
resto, la definizione di efficacia è essa stessa dubbia: una
modificazione vantaggiosa dei rapporti di potere, di forza? O piuttosto
un cambiamento nel modo di essere proprio e altrui – anche del
"nemico"? Può darsi che in qualche vita personale la
nonviolenza sia una scelta originaria. Ma noi veniamo da una lunga
storia segnata dalla violenza, non solo nella pratica, ma nell´ideale.
Valore, coraggio, fermezza virile, si misurano nel cimento della
violenza. La violenza non è apparsa solo come una dura necessità. È
stata nobilitata come il fuoco in cui rigenerare e temprare l´umanità:
nella guerra, nella redenzione nazionale, nella rivoluzione. Dunque la
nonviolenza risale alla sapienza induista, greca, evangelica, ma è
destinata ad affiorare come il frutto di un pentimento, l´abbandono di
una strada che si è pretesa finora inevitabile e anzi magnanima. Anche
in san Francesco, che fu già, come ha detto lievemente il Papa, un
playboy, e comunque un militare di carriera. La nonviolenza, anche nell´espressione
più laica, ha un contenuto religioso, coincide con una conversione.
Dico conversione e non riconversione: quest´ultima è l´aggiustamento
di qualcosa che si riconosce superato, o inefficace. Il comunismo
ecologista, o l´ecologismo comunista (o il femminismo comunista, o il
comunismo femminista) è una specie di riconversione: il suo è un
cambiamento gradualista, in cui non a caso la continuità prevale sulla
rottura. Un colore si accosta a un altro: il rosso, il verde. La
conversione, dunque il cambiamento di sé, oltre che della propria
corazza mentale, delle abitudini, ha bisogno di una svolta, della notte
di crisi che ti consegni diverso alla nuova mattina.La metanoia è la
sola nozione di rivoluzione capace di sopravvivere quando l´idea della
rivoluzione politica si è provata vana o sciagurata. Dunque è vero che
la nonviolenza non è la risorsa dei deboli o dei senza speranza. Non
interviene quando la violenza si mostra destinata alla sconfitta, ma
dopo che la violenza ha provato la propria degradazione, perfino - se
non più - quando abbia conquistato la vittoria e i suoi palazzi. Questo
pensiero "che viene dopo" non è mai dato una volta per tutte.
E´ una tensione, più che una soluzione. Alla stessa conversione non può
essere assegnata una compiutezza irreversibile: si torna a sbagliare, e
a peccare, mille volte di nuovo. Ecco un´altra ragione per respingere
la consolazione dei princìpi "senza se e senza ma". Gandhi
sperimentò la relatività del proprio ideale. Quando fu tentato dall´assolutezza,
propose soluzioni ingenuamente disastrose, come di fronte al nazismo.
Ammise che, piuttosto che l´inerzia di fronte all´ingiustizia, avrebbe
compreso la violenza. E sapeva che la non resistenza è meno ardua
quando si tratti di sé che quando sia minacciata un´esistenza altrui,
specialmente la più debole. Accolse anche lui l´argomentazione
casistica, che è per definizione anti-assoluta, benché debba comunque
scegliere un discrimine. «In alcuni casi può essere necessario perfino
versare sangue umano. Supponiamo che un uomo venga preso da una follia
omicida e cominci a girare con una spada in mano uccidendo chiunque gli
si pari dinnanzi... Dal punto di vista dell´ahimsa è chiaro dovere di
ciascuno uccidere un simile uomo... Colui che non uccide un assassino
che sta per uccidere suo figlio (quando non può impedirglielo in altro
modo) non ha alcun merito, ma commette peccato...». Questione che non
sa bene dove mettere il suo punto fermo: e il figlio d´altri? Oggi, la
scelta autentica della nonviolenza deve proporsi le condizioni perché
il punto sia messo prima del passaggio dall´uso legittimo e
proporzionato della forza alla smisuratezza legale e materiale della
guerra. Una frontiera analoga va ricercata nella propria esistenza
personale. Si capisce come sia difficile. Un campione come Zidane non sa
resistere ai colpi di testa, e non una sola volta: figuriamoci i
generali e i grandi della terra. Dunque la nonviolenza non è una
tattica. Si può dire che sia insieme mezzo e fine, che è fine a se
stessa. Arundhati Roy, impegnata nella lotta contro la diga di Narmada,
dice: «Vorrei capire perché abbiamo fallito; perché, dopo tutti gli
scioperi della fame e le iniziative legali, la resistenza nonviolenta è
stata repressa con una brutalità pari a quella usata contro la lotta
armata. Ci siamo fidati troppo dello stato di diritto? In India i
potenti devono prendersi un bello spavento...». Domanda: «Sta facendo
un´apologia della violenza?» Risposta: «No, cerco una strada». La
cerchiamo tutti. Però l´esperienza che abbiamo fatto è soprattutto
quella opposta: che siamo falliti con la violenza. Oggi la violenza dei
potenti e dei vendicatori, fino alla vera mutazione degli entusiasti
assassini-suicidi, è così soverchiante da far disperare della
nonviolenza. Tuttavia, un censimento delle trasformazioni del mondo
sarebbe meno disperato. La conversione di Gandhi, la sua
"notte", venne quando lo buttarono fuori dal treno per
Pretoria, Sudafrica, perché si era seduto al posto di prima classe di
cui aveva il regolare biglietto. Il 5 dicembre del 1955 sugli autobus di
Montgomery, Alabama, viaggiarono solo 12 persone di colore, invece dei
12 mila di ogni altro giorno. Tutto perché una certa Rosa Parks aveva
deciso di mettersi a sedere in un posto riservato dell´autobus. Il
comunismo sovietico era incrollabile: la sua vera anima era il culto
della potenza e la derisione degli inermi. «Quante divisioni ha il
Papa?» Non ne aveva neanche una, il Papa, quando radunò nelle piazze
della Polonia folle milionarie e disciplinate, né quando operaie e
operai devoti alla Madonna Nera scioperarono in nome della Solidarietà.
L´Urss stessa, anima d´acciaio e cortina di ferro, è crollata come un
castello di carte. Il Muro di Berlino è diventato nel giro di una notte
un parco dei divertimenti. La Cina è troppo occupata a comprare il
mondo, e il mondo a farsi comprare, per perdere tempo coi diritti umani:
ma un giorno la figurina del ragazzo che gioca a mani alzate col carro
armato come il topo col gatto sarà innalzata sulla Tian An-men. La
responsabilità più grave della dirigenza palestinese e di Arafat, dopo
la prima intifada, non fu forse di rifiutare una lotta popolare
nonviolenta, di fronte alla quale una democrazia come quella israeliana
sarebbe stata vulnerabile e lacerata, e di consegnare invece il popolo
arabo più laico al fanatismo islamista e al terrorismo kamikaze? La
Cecenia, ispirata all´inizio da un formidabile senso del valor militare
e dell´onore virile, dunque destinata a soccombere sotto la brutalità
militarista russa, e a cedere al terrore e al fratricidio, che strada
poteva avere se non quella di una resistenza nonviolenta, che tramutasse
le sue donne da vittime sopraffatte a protagoniste? Il delitto dell´occidente
non è solo nell´affarismo complice delle repressioni e nell´omissione
del soccorso, ma nella mancata sollecitazione e solidarietà con una
resistenza nonviolenta. La polizia internazionale e l´educazione alla
nonviolenza (materna, in primo luogo) sono complementari: lo sono, dall´altra
parte, la guerra e la violenza, che oggi tramuta pressoché
irreparabilmente ogni Resistenza in terrorismo. Lasciare che il proprio
corpo testimoni della verità, piuttosto che farne un´arma di
aggressione: c´è una ricerca lucida e realista di metodi che non si
contentino della testimonianza. Si impara a fare un sit-in, a condurre
un digiuno, a esigere il rispetto letterale della legge ecc. Tuttavia la
nonviolenza non è una "scienza", né un manuale di istruzioni
per l´uso. Lungi dal rafforzarla, questa illusione può impoverirla
fino alla recita scolastica. Così, la nonviolenza scommette sulla
possibilità che in ogni essere umano ci sia una capacità di ascoltare
e di disarmare. Scommette, ma non alla cieca. Non al punto di
convincersi che non esista il male, e che non esista il nemico. testo integrale pubblicato da "La Repubblica" - 12 settembre 2006
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