MESSINA.
Sembra un gioco di parole,
a ai Dico... «dice sì». Padre Felice Scalia,
gesuita dell'Ignatianum di Messina, laureato in teologia e
filosofia, autore di libri e saggi, artefice della solidarietà
resa, insieme alle associazioni "Nuovi orizzonti" e
"Terra e cielo", alla suora che denunciò per stupro il
mediatico frate calabrese, Fedele Bisceglia. L'analisi di Scalia sui
"Diritti dei conviventi" in discussione alle Camere si
muove sul doppio binario dell'analisi della Chiesa come istituzione
e del Cristianesimo. Fissando anche un'amara constatazione
sull'attenzione anche eccessiva che la politica mostra alle parole
della Conferenza episcopale italiana e del Pontefice su questo e
altri argomenti: «In qualche modo, la Chiesa è serbatoio di voti e
i democristiani in parlamento ci sono ancora. Se a questo si
aggiunge che l'istituzione si sta “rimangiando” il Concilio
Vaticano II....».
Per
Felice Scalia, la questione Di.co. «è un problema complesso in
quanto umano, proprio perché è l'uomo ad essere complesso». «Dobbiamo
partire dalla circostanza che le coppie di fatto sono ormai costume,
e che esistono diverse cause che ne determinano l'esistenza. La
prima è il lavoro, che o non c'è o è instabile, con trentenni e
quarantenni che non lo hanno ancora o che sono vittime di contratti
a tempo. Si tratta di persone che, allo stato attuale, non riescono
a raggiungere neanche i presupposti per un matrimonio. C'è poi un
altro aspetto - spiega Scalia - legato alla società, che è poco
propensa ad aiutare a credere nell'amore come progetto di vita in
due. Il matrimonio è una scelta che comporta lo sposare la vita di
un altro, a prescindere dal rito. Invece, si tende a pensare alle
nozze come a un contratto a termine. La controparte di tutto è la
violenza, molto presente nella società, che si trasferisce nelle
coppie e che è l'antitesi stessa dell'amore. Per tutti i motivi che
ho esposto - continua – le coppie di fatto sono ormai una realtà.
E se non c'è una legislazione ad hoc, non possono esistere
diritti e doveri. Riguardo all'aspetto religioso, che sembra così
rilevante, aggiungo che in America latina molti cattolici non si
sposano per problemi economici, scegliendo la semplice convivenza».
E
cosa intende padre Scalia per diritti e doveri? «Nelle convivenze,
nel caso di una separazione, a differenza del matrimonio, i deboli
sono destinati a soccombere. Ci sono, poi, altre implicazioni,
determinate dall'assenza di un inquadramento giuridico, come
l'impossibilità ad accedere ad elenchi e agevolazioni, così come
l'essere impossibilitati all'assistenza negli ospedali. Insomma,
allo stato attuale, è totalmente assente una definizione dei
diritti. Legiferare è quindi una necessità, perché lo Stato ha
l'obbligo di proteggere i deboli dalla prepotenza dei molti e deve
prendere atto delle situazioni concrete.
Anche
se, visto l'andazzo dell'Italia, non so quanto durerà. Una legge -
spiega -non ha solo funzione normativa, ma anche educativa. E quando
la legge non fosse morale, seppur giusta, allora sarebbe il caso che
entrassero in campo altre forze. Proprio come la Chiesa, il cui
compito dovrebbe essere quello di educare alla famiglia, mostrandosi
altresì ben lieta di difendere i poveri. La Chiesa, insomma,
dovrebbe parlare del sacramento del matrimonio, educando
effettivamente le persone». Ed è a questo punto che il teologo
Scalia prende il sopravvento: «Nell'esplicitazione delle promesse
matrimoniali, grazie all'ultima riforma, risalente a pochi anni fa,
i diritti e i doveri dei coniugi sono ormai uguali. E quei
giuramenti, aggiunge - vanno percepiti come un sacramento: questo è
importante. Percepire le parole come il segno di un amore è con la
"A" maiscola, come il segno di un'alleanza attraverso la
quale Dio amerà tutti e li difenderà. Gli sposi, insomma, sono
testimoni che l'amore è una realtà concreta. E se l'amore
fallisce, allora è Dio a fallire, nel senso che viene a mancare
sulla terra il senso della verità e del sentimento, il cui posto
viene preso da morte e violenza».
Per
Scalia, quindi, «se una coppia convivente, quale che sia natura del
rapporto, sta e resta insieme per amore, allora è ugualmente e
indirettamente testimone del successo di Dio».
Padre
Scalia entra quindi nel tema "caldo" del problema, quello
delle coppie gay e lesbiche: «I miei studi sull'omosessualità
risalgono agli anni Sessanta, un periodo in cui era codificata come
una patologia. Oggi, penso che si debba la si debba guardare con
maggiore rispetto. E, personalmente, non mi sento di dire che
l'amore omosessuale sia pervertito o di serie B. Ci sono, poi,
omosessuali e omosessuali, così come esistono persone e persone,
che vivono in maniera promiscua. Ma anche questo trova spiegazione
nel fatto che tanti cercano un'integrazione affettiva.
La
crociata contro i Dico per gli omosessuali, in sintesi, è una
vicenda che di solito salto a pie' pari, perché sono nauseato da ciò
che sento e leggo. D'altronde, il testo della legge, che ancora devo
leggere bene, mi sembra sia orientato soprattutto verso le famiglie
conviventi eterosessuali, nonostante siano soprattutto gli
omosessuali soprattutto ad avere necessità del provvedimento. Un
provvedimento che, sia chiaro, non riguarda l'affidamento dei figli.
Sono d'accordo sui Dico, insomma, e potrei avere qualcosa da dire
solo se si parlasse di un terzo tipo di famiglia. Il problema -
spiega Scalia - è che si sta enfatizzando troppo la questione gay,
dando l'idea che Dico equivalga a famiglia. Mentre si tratta solo
dell'inserimento del compagno o della compagna nello stato di
famiglia».
Le
ultime battute, padre Felice Scalia le riserva a una confusione di
piani tra Chiesa e Cristianesimo: «Tutto inizia con Costantino, che
rende il Cristianesimo religione di stato, con tutte una serie di
conseguenze anche rispetto all'atteggiamento repressivo contro gli
ultimi pagani e gli ebrei. Verso l'anno mille, poi, avviene il
secondo passaggio: la chiesa va a definirsi come societas perfetta,
costituendosi territorialmente in diocesi, codificando leggi,
costituendo tribunali, stabilendo pene e comminando condanne. La
chiesa, insomma, diventa istituzione, senza però distruggere la
realtà evangelica, che è altra cosa. Infatti, laddove la Chiesa
dottrinalizza e legalizza, come nel caso del Diritto canonico, il
cristianesimo si pone in maniera diversa: è l'annuncio che l'uomo
può vivere insieme, è un disegno di bellezza, di amore, di pace.
Di tutto».