"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

 

Politica e valori Il grande equivoco

“Dio, patria e famiglia”sono tre realtà abusivamente scippate dalla cultura di destra.

Così come essa le intende, non hanno nulla di cristiano.

Sono tre idoli da cui stare alla larga

 di p. Felice Scalia

 MESSINA

Un gentile signore, responsabile della campagna elettorale della Mussolini, mi ha invitato per telefono, ad una manifestazione sulla famiglia in uno dei prossimi sabati. Ho declinato l’invito per due motivi: i miei sabati già pieni del catechismo ai bambini, e la mia ritrosia a partecipare a simili iniziative quando la campagna elettorale potrebbe facilmente strumentalizzare sia l’argomento “famiglia” sia la presenza di un prete. Non me ne voglia la persona che ha pensato con fiducia al mio nome se mi permetto di chiarire ulteriormente la mia ritrosia.

Quando vedo trattare della famiglia da parte di esponenti di determinate forze politiche di destra, non posso fare a meno di ricordarmi di quanti disastri abbia causato il trinomio “Dio, patria, famiglia” nei loro slogan. Purtroppo l’attuale arroccamento di molti ambienti cattolici attorno ai “valori” cristiani da difendere, rende ancora più equivoco l’uso di quelle tre parole, e necessario il fare finalmente chiarezza su una questione fondamentale per ogni cristiano che si riconosce prima di tutto nel Vangelo di Gesù Cristo, e non ha rinunciato a pensare fidando in quello Spirito che ci è stato dato “perché ci conduca alla verità tutta intera”.

Detto con molta chiarezza: Dio non è una parola innocua. Se in nome di Dio si uccide e si mandano valorosi soldati ad occupare popoli, bisogna prendere atto che ci troviamo di fronte ad un idolo sanguinario che nulla ha da spartire con il “Padre del Nostro Signore Gesù Cristo”. E se la “patria” è il nome con cui si cela una ostentata superiorità su razze inferiori o l’insieme di interessi di classi egemoni; se “patria” ci autorizza a dimenticare di diritti e la dignità di ogni uomo, o la nostra apertura a cittadini del mondo, a “uomini planetari”, ebbene quel concetto stride con quel rispetto amoroso per ogni creatura umana offertoci dal Cristo che ci ammoniva: “Voi siete fratelli, non padroni degli altri, né maestri di nessuno”. La famiglia poi per il cristiano è un segno dell’amore tenero e indefettibile di Dio per l’umanità, è la chiamata a vivere di amore e solo di amore, è il luogo dove si insegna ai propri figli ad accogliere il piano del Padre. “fare di Cristo il cuore del mondo”, trasformare la società degli uomini in “regno di Dio”, a scommettere la propria vita sulla possibilità reale di “amorizzare il mondo” – come direbbe Teilhard de Chardin. Per nulla simile alla custodia di una istituzione fine a se stessa, giustificazione di ogni compromesso etico (“tengo famiglia…”), dove “i panni sporchi si lavano in famiglia”, ed ogni oltraggio alla donna, ai deboli, deve essere nascosto in vista di un “bene superiore”. “Dio, patria e famiglia” sono tre realtà abusivamente scippate dalla cultura di destra. Così come essa le intende, non hanno nulla di cristiano. Sono tre idoli da cui stare alla larga.

Ed ai cattolici vorrei dire che per accorgersi di quanto equivocamente si usino quei tre valori basta che li si collochi in tutto il quadro ideologico che li sostiene. Noi non possiamo essere per l’uomo solo “fino a quando nasce”, ma sempre, sostenendo la sua dignità e la sua libertà fino alle soglie dell’eternità. Noi non vediamo nei “pacs” una seria minaccia per la famiglia o, comunque, l’unica minaccia. Un serio “vulnus” lo vediamo soprattutto in una logica di materialismo consumista che non ci fa credere più all’amore, in una economia disastrata che moltiplica il numero dei poveri e aumenta a dismisura la ricchezza dei ricchi, nell’infuriare della disoccupazione, nella decantata “flessibilità” del lavoro che rende assurdo un progetto di vita, nella mancanza di servizi sociali; cose tutte che rendono praticamente impossibile o pazzesco pensare a “mettere su famiglia”.

Parla di un altro “dio” quell’ex ministro leghista che fomenta l’odio contro i cristiani ed ha sulla coscienza la morte di una dozzina di persone. Parla di un’altra “patria” chi plaude alla guerra, chi ci vuole “bushiani” anche nell’orgoglio sprezzante di chi deve decidere chi è “nazione canaglia” e chi no. Non abbiamo nulla da spartire, in quanto cristiani – se appena ci decidiamo ad essere credenti pensanti – con equivoche alleanze di movimenti neofascisti, razzisti e xenofobi.

Con Giovanni Paolo II pensiamo ancora che il Hitler sia stato un flagello per l’umanità e non un “grande statista”. Ci sdegna una fiaccolata a favore di un Priebke assassino alle Fosse Ardeatine. Non vediamo nessun valore cristiano in chi crea graduatorie nella dignità delle varie etnie o fomenta antisemitismi o giustifica invasioni e furti con i “diritti dei popoli messianici”. Il Dio della tenerezza (l’unico di cui ci ha parlato Gesù di Nazareth), che vuole una famiglia come culla dell’educazione all’amore, e vuole la patria come popolo amico di ogni altro popolo e “costruttore di pace”, questo Dio sarà magari sulla labbra di neofascisti, skinheads, naziskin, leghisti, forzisti, ma in realtà diviene il grande assente, il superfluo, una specie di folkloristico ricordo, una banconota scaduta, perché al suo posto si è insediato un idolo vorace, sacralizzatore di una mentalità sacrificale ancora imperante.

Al gentile signore che mi ha invitato vorrei infine dire: faccia la sua campagna elettorale.

Se vuole, sogni un’Italia diversa da come vorrei vederla io, pensi alla famiglia e a Dio come meglio crede. Non sono per nulla favorevole ai reati di pensiero. Ma non lo faccia in nome del Cristo, non coinvolga noi preti. Non farebbe un buon servizio alla chiarezza. Noi preti – credo – dovremmo essere i custodi di un Dio oggi quasi in esilio. Ne tenga conto: noi invochiamo ogni giorno il suo ritorno, mentre scommettiamo tutto della nostra vita per costruire “il regno”, senso ultimo di ogni nostro gesto di culto e di ogni predicazione. Ci pensi. Con quel poco o quel tanto di fede che abbiamo, almeno nel fondo del nostro cuore, una cosa la sappiamo noi preti: per avere imbrattato il nome di Dio con quello dei nostri vecchi dei (rimaniamo figli di “pagani”!), per avere lasciato che il Vangelo divenisse “sale scipito”, alleato coatto di nostri meschini interessi, anche per queste nostre colpe, noi crediamo che continui a scorrere sangue sulla terra e lacrime a non finire sul volto di troppi uomini.

Ci diamo da fare ogni giorno per invertire la rotta (un vecchio adagio parla di ‘ecclesia semper reformanda’) e rendere possibile l’irrompere del “regno di Dio” sulla terra. Per questo siamo ancora preti, tutt’altro che “pentiti”.

TESTO INTEGRALE TRATTO DA "CENTONOVE" - N. 11 - 17 MARZO 2006

 

                         

                 

 

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