"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
L'altolà di Scalfaro a Ruini "Sulla legge nessuna imposizione" di Vittorino RagoneROMA - Un altolà senza sfumature al
cardinale Ruini, se davvero vuole imbrigliare nei precetti della Chiesa la
libertà di decisione politica sui Dico, un tempo noti come Pacs. Oscar
Luigi Scalfaro, presidente emerito della Repubblica e padre nobile del
centrosinistra, non è contrario alla mediazione Bindi-Pollastrini, e teme
la "distruzione" del cattolicesimo parlamentare se la Cei
dovesse lanciare diktat a chi riconosce il suo magistero. In sessant'anni
- dice - questo non è mai accaduto. Prima di correre certe avventure
Ruini dovrebbe avviare "un ampio esame" dentro l'assemblea dei
vescovi. Presidente Scalfaro, il Parlamento aspetta di sapere quale forma
assumerà il "non possumus" di Ruini sulle unioni di fatto. Che
cosa succederebbe se la Cei o il Papa avanzassero richieste
"vincolanti" per i politici cattolici? "La Chiesa, pure
nella fermezza dei suoi principi, non ha mai compiuto in sessant'anni
interventi che ponessero a un bivio obbligato i parlamentari cattolici. Io
confido che interventi del genere non ci saranno. Se dovessero invece
avvenire, distruggerebbero la possibilità stessa di una presenza dei
cattolici in Parlamento in condizioni di dignità e libertà, quella
libertà che consente l'assunzione individuale delle responsabilità. Ma a
chi serve, oggi e domani, un gruppo di parlamentari che si limitano a
eseguire gli ordini? Certo non alla Chiesa. Sarebbero una inutile
pattuglia, e l'effetto sarebbe una crescita di laicismo esasperato".
Il centrosinistra non drammatizza troppo l'iperattivismo vaticano? E' vero
che è stato l'Avvenire a citare Pio IX, ma dall'altra parte si invoca il
Risorgimento, si tracciano scenari foschi, si ipotizza, come anche lei fa,
il naufragio del cattolicesimo politico. Eppure gli scontri tra l'etica
cattolica e quella laica, condivisi e alimentati dalla Chiesa, in
Parlamento e fuori non sono mancati. Gli anni Settanta, il divorzio,
l'aborto, i referendum. Grandi asprezze, ma alla fine siamo tutti qui,
comprese le leggi soggette ad anatema. "Vede, io sono nella vita
politica da 61 anni, dalla Costituente. È vero, abbiamo attraversato come
parlamentari cattolici momenti faticosi, difficili, prese di posizione
delicate. Ma già dall'Assemblea costituente fu preminente in tutti la
ricerca di un denominatore comune sui temi dei diritti e della dignità
delle persone. Ne nacque un documento d'eccezione, la Carta, del quale
dobbiamo ringraziare i grandi nomi che resero un tale servizio al popolo
italiano: penso, nel mondo cattolico, a De Gasperi, a La Pira, a Dossetti,
più tardi a Aldo Moro e a tantissimi altri rappresentanti del popolo. Il
grande tema per noi cattolici era fare sintesi fra diritti e doveri del
cittadino e diritti e doveri del cristiano, portare nella politica il
pensiero filosofico che anima i principi cristiani sempre con grande
rispetto per le impostazioni altrui. L'articolo 67 della Costituzione
stabilisce che ogni membro del parlamento rappresenta la nazione e
esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Al tempo del divorzio e
dell'aborto, che lei cita, in entrambi i casi il partito mi diede incarico
di parlare ufficialmente a nome del gruppo democristiano. Non dimentico, e
ne ringrazio la Provvidenza, che nell'uno e nell'altro caso ebbi ascolto
ampio, proprio dagli avversari politici: non condivido le tue tesi - mi fu
detto - ma apprezzo lo sforzo di dialogare. Dopo la sconfitta sul divorzio
qualcuno in assoluta buona fede sostenne che non potevamo collaborare a
formulare gli articoli della legge perché così facendo avremmo aiutato
un istituto che contestavamo. Ma giustamente vinse la tesi che quando cade
l'affermazione di un principio rimane sempre il dovere di lottare per il
male minore". Insomma, lei sostiene che la capacità di ascolto
reciproca non è venuta mai meno, nemmeno quando lo scontro era al massimo
della tensione. "Non solo. C'è anche un altro insegnamento. La
chiarezza delle posizioni della Chiesa, e il risultato del referendum che
diede ragione alle tesi contrarie a quelle sostenute da noi cattolici, non
impedirono che tanti cattolici si servissero poi dell'istituto del
divorzio. Ne è prova che da anni all'interno della gerarchia
ecclesiastica si discute sull'ammissibilità dei divorziati ai
sacramenti". L'invito al pragmatismo, per tornare a Ruini,
onestamente oggi non sembra avere grandi chance. La grandinata vaticana -
da Avvenire a Sir, dall'Osservatore allo stesso Ratzinger - non lascia
grandi margini alla mediazione. "La profonda devozione e ubbidienza
alla chiesa madre e maestra - e mi piace ricordare che fu la saggezza di
Giovanni XXIII, oggi beato, a dare nella sua enciclica questa preminenza
alla maternità della Chiesa - mi fa confidare che il richiamo che è
stato annunziato, e che manifesta un diritto e anche un dovere della
Chiesa di dire il suo pensiero, non abbia la forma di una
imposizione". Il fronte dei sessanta parlamentari della Margherita
che difendono i Dico non ha un gran futuro, se l'intervento di Ruini
dovesse trasformarsi in un vero e proprio precetto. Non crede? "Un
atteggiamento rigido della Chiesa sfascerebbe tutto. Ne sono
convinto". Lei, pur da senatore a vita, è un uomo del
centrosinistra: quale potrebbe essere una contromisura per far prevalere
la moderazione? "Posizioni da parte della Chiesa che portassero a
conseguenze tanto pesanti, così come non si sono verificate neanche
quando furono compromessi l'indissolubilità del matrimonio e il diritto
alla vita, richiederebbero a mio avviso un ampio esame nell'Assemblea dei
vescovi italiani, la Cei". Nel merito della legge, come giudica la
soluzione Dico "inventata" da Bindi e Pollastrini? "Mi
piace ricordare che quando il presidente del consiglio Romano Prodi
annunziò nella formulazione del programma il desiderio di riconoscere dei
diritti e dei doveri a ciascun cittadino, affermò espressamente che con
quel programma prendeva l'impegno di non toccare o turbare l'istituto del
matrimonio così come previsto dalla Costituzione. Mi pare giusto non fare
processi alle intenzioni. Le proposte di legge che sono state presentate
da posizioni a mio avviso non accettabili sono giunte con non poca fatica
(quanto intensa quella del ministro Bindi!), in questo necessario dialogo
tra impostazioni diverse, a un testo che come tutti i testi è
indubbiamente migliorabile ma che certamente non prevede - per essere
chiari - il matrimonio fra gli omosessuali o una formula mascherata ma
simile. Si tratta di dare eventuali, maggiori garanzie? Se ne può
discutere, rimanendo chiaro un punto: se al dunque si fosse richiesti di
un voto esplicito che preveda di fatto il matrimonio per gli omosessuali,
allora, senza bisogno di disturbare la dottrina della chiesa cattolica, è
chiaro che un voto a favore non si può dare perché in contrasto con una
realtà di storia dell'umanità, che prevede per il matrimonio un maschio
e una femmina". Il matrimonio gay, per la verità, sembra essere un
simbolo e uno spauracchio, anche se di prima fila. Quel che la Chiesa
sembra temere nella sostanza è che il riconoscimento delle unioni civili,
innanzitutto eterosessuali, sgretoli la famiglia "naturale" su
cui si fonda la sua dottrina. "È vero, c'è chi obietta che aprendo
una seconda strada si dà ai cittadini con troppa facilità la possibilità
di un'altra scelta. La preoccupazione della Chiesa è più che
condivisibile. Ma il problema vero è rafforzare nei cattolici la fede, in
modo che sappiano scegliere secondo i principi nei quali credono. Più che
allo Stato, al quale si chiede di impedire una duplice strada che
consentirebbe gli abusi, il tema è affidato alla evangelizzazione e alla
formazione dei fedeli. Lo Stato deve pensare a tutti e, pur non tramutando
speranze, desideri e sogni in diritti deve, se esistano basi certe per
individuare quei diritti, riconoscerli dove e quando ci sono". testo integrale pubblicato da "La Repubblica" - 15 febbraio 2007 |