"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

PASQUA 2007
Liberarsi dall'inferno

 la Pasqua secondo i laici 

di Umberto Santino

Per i credenti la Pasqua è la festa della resurrezione di Cristo, a prova che il Figlio di Dio, dopo aver subito la crocifissione per redimere l'umanità dal peccato originale, non rimane prigioniero della morte. 

Ma che risorge come corpo glorioso, destinato ad ascendere al cielo dove siede accanto al Padre. Questo è il fondamento della fede cristiana, e non per caso Paolo, che ha avuto un ruolo essenziale nella diffusione del cristianesimo nel mondo pagano, scriveva: «Se Cristo non è risuscitato è vana la nostra fede». Si compie così, con il sacrificio e la resurrezione dell'Uomo-Dio, la reintegrazione dell’umanità dannata con l'espulsione dall'Eden. 

Per un non credente, la Pasqua cristiana è la riproposizione del mito del dio che muore e rinasce, legato al ciclo della vegetazione e all' equinozio di primavera (quando suI pianeta c'era ancora la primavera), che da Adone, Attis, Osiride, Dioniso si replica nella teologia cristiana. A questo ciclo naturale si lega anche il mito di Kore- Persefone - Proserpina, figlia di Demetra, che si consuma in terra di Sicilia, tra il suo rapimento ad opera di Plutone e il suo soggiorno nell'Ade invernale e la sua rinascita sotto il sole primaverile, come il seme di grano sotterrato che risorge in spiga. Difficile collocare quegli eventi nel contesto attuale, con il lago di Pergusa ridotto a uno stagno contornato di autodromo e di villette abusive. 

l testi sacri, dall'Antico al Nuovo Testamento, non sono testi storici che rimandano a riscontri testimoniali o documentali, sono prodotti e riproduttori della fede religiosa e quindi invano si cercherebbero prove dell'esistenza dell'Eden, della nascita verginale di Cristo ad opera dello Spirito Santo, dei miracoli e della resurrezione. Del resto una storia di Cristo, al di fuori e al di là dei testi sacri, è impossibile per mancanza della materia prima, cioè di documenti che non provengano dalla cerchia dei suoi fedeli (i pochissimi accenni di alcuni storici del tempo sono troppo vaghi e, più che riflettere una vera e propria ricerca, si limitano a registrare il "sentito dire"). 

Anche le recenti scoperte di testi come il cosiddetto "Vangelo di Giuda" non portano novità suI piano propriamente storiografico. Anche questi sono testi religiosi, prodotti da seguaci di sette e gruppi di fedeli che sono stati emarginati se non cancellati da altri gruppi di fedeli, più consistenti e potenti. Così il Giuda che si è tramandato è l'infame-traditore che si è venduto il Maestro per trenta denari e non tollerando il rimorso si impicca a un albero. Il Giuda degli gnostici è un discepolo fedele, che più che tradire Gesù soddisfa la sua richiesta di essere liberato dalla prigione del corpo, ma non è meno mitico di quello tradizionale. Né l'uno né l'altro sono figli della storia ma di una credenza. 

Se il credente festeggia con la Pasqua la sua speranza-certezza di resurrezione in carne e ossa, come gli ebrei festeggiavano la fine dell' esilio in Egitto (la Pasqua ebraica si consuma con il massacro dei primogeniti degli egizi e pure degli animali: l'Antico Testamento è una sequela di massacri, spesso compiuti e ordinati dallo stesso Jahvé, che tutto è meno che buono e misericordioso), un non credente può solo prendere atto che la volontà di sopravvivere alla morte fa parte dei desideri dell'umanità, anche se non sempre gli uomini si sono rappresentati un aldilà in qualche modo somigliante a quello cristiano: un inferno per i peccatori e un paradiso per i salvati. 

Nei giorni scorsi il Papa ha ripreso il tema dell'oltretomba, ridicendo certezze come l'esistenza dell'inferno e l'eternità del castigo. L'intento è chiara­mente esplicitato: recuperare il senso del peccato e della colpa, con il relativo castigo, e quindi rilanciare l'indispensabilità del ruolo mediatorio della Chiesa cattolica, fondata sulla resurrezione di Cristo. Ovviamente il Cristo del Papa è, non può non essere, quello michelangiolesco della Cappella Sistina: un giudice inflessibile che commina insindacabilmente premi e castighi. 

Se i non credenti possono sorridere di queste rappresentazioni, rassegnandosi alla morte come un dato naturale e ineluttabile, i credenti non possono che confidare nella resurrezione di Cristo e nella sua misericordia che apra le porte del paradiso, riservando l'inferno a infedeli e miscredenti, qualcuno dei quali in tempi passati, e rimpianti da più d'uno, finiva al rogo. In Sicilia, com'è noto, l'Inquisizione è stata abolita solo nel 1782 da un viceré miscredente, amico di Voltaire. Per i condannati al rogo o al carcere nelle celle dello Steri l'inferno cominciava già su questa terra. 

E per buona parte dei viventi, condannati alla denutrizione o all'Aids, non c'è inferno peggiore di quello in cui sono costretti a vivere. E se non riescono a liberarsi con le loro mani non è dato sapere se ci sarà un redentore che li affranchi dall'inferno del mercato. 

 

Testo integrale tratto da “La Repubblica - Palermo ” – 08.04.2007