"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
La politica debole e l´offensiva
della Chiesa di Stefano Rodotà
Brutte
giornate nel Parlamento, e dintorni. E allora bisogna guardare più a
fondo, e più lontano, nel considerare il modo in cui oggi si discute e si
decide su questioni essenziali e drammatiche dell´esistenza di ciascuno
di noi – come morire e come organizzare le relazioni affettive, come
procreare e come dare il cognome ai figli e come riconoscere pienezza di
diritti a quelli nati fuori dal matrimonio. Sono in campo in prima
persona, ed è un fatto inedito nella storia repubblicana, tutte le grandi
istituzioni: Presidente della Repubblica, Governo, Parlamento, Corte
costituzionale, magistratura. E la Chiesa cattolica, sempre più presente.
E una opinione pubblica sempre più sondata e sempre meno informata. Vale
la pena di seguire le mosse di alcuni di questi protagonisti. Dice il
Cardinal Ruini: è «norma di saggezza non pretendere che tutto possa
essere previsto e regolato per legge». Dice il Presidente della Corte di
Cassazione: «Appare urgente e indispensabile un intervento del
legislatore che affronti e chiarisca i gravi problemi che sempre più
frequentemente si presentano al giurista e al medico». Chi ha ragione?
Nessuno dei due. Intendiamoci: nelle materie che interessano la vita è
sempre necessario un uso sobrio e prudente della legge e i giudici devono
avere forti principi di riferimento per le loro decisioni. Ma la sobrietà,
o addirittura l´assenza, dell´intervento legislativo significa cose
radicalmente diverse a seconda che manifesti rispetto della libertà
individuale o, al contrario, intenzione di mantenere vincoli costrittivi,
volontà di girare la testa dall´altra parte di fronte alle dinamiche
sociali ed alle difficoltà dell´esistenza. Il legislatore auspicato da
Ruini non avrebbe dovuto votare la legge sul divorzio, quella sull´interruzione
di gravidanza e neppure quella pericolosa riforma del diritto di famiglia
del 1975, a lungo avversata da ambienti cattolici perché abbandonava il
modello gerarchico e riconosceva i diritti dei figli nati fuori dal
matrimonio (e anche allora si impugnava una interpretazione gretta della
nozione di famiglia). Oggi siamo di fronte ad una situazione analoga.
Affrontando con poche norme le questioni delle unioni di fatto e del
diritto di morire con dignità, il legislatore non invade indebitamente la
sfera delle decisioni private. Rimuove ostacoli ormai irragionevoli,
sviluppa logiche già ben visibili nel nostro sistema costituzionale, non
impone nulla a nessuno e mette ciascuno nella condizione di esercitare
responsabilmente la propria libertà. Perché, a questo punto, non si può
dar ragione neppure al Presidente della Cassazione? Perché nelle sue
parole si scorge anche un ritrarsi da responsabilità che sono proprie
della magistratura, un riflesso dell´atteggiamento gravemente
rinunciatario che si è manifestato nelle decisioni riguardanti
Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro. Due casi che i giudici avrebbero
potuto risolvere seguendo in particolare la linea tracciata dagli articoli
della Costituzione sulla libertà personale e sul diritto alla salute (e
che era stata indicata con precisione da un parere della Procura di Roma).
Sembra quasi che i giudici, messi di fronte a temi assai impegnativi e che
dividono la società, abbiano scelto di chiamarsi fuori, di lasciare che
sia solo la politica ad affrontare e risolvere questioni che pure li
investono direttamente. Questo accade perché, provati da un lungo braccio
di ferro con una politica che voleva mortificarne indipendenza ed
autonomia, hanno deciso di prendersi una rivincita e di lasciarla sola e
nuda, indicandola come unica responsabile delle difficoltà presenti? Ma
questa sarebbe davvero una ingiustificata reazione corporativa e il segno
di una regressione culturale che impedisce loro di cogliere quale sia oggi
il compito istituzionale della magistratura, senza che possa essere
accusata di indebite invasioni di campo, di esercitare una illegittima
supplenza. Commentando la giurisprudenza della Corte europea dei diritti
dell´uomo, si è proprio messo in evidenza che ormai spetta sempre a
questi giudici "risolvere le più gravi e difficili questioni di
diritto civile poste dal cambiamento dei costumi, dalla scienza e dalla
tecnica". Questo non è l´effetto di distrazioni o ritardi del
legislatore, ma del fatto che la vita propone ormai una molteplicità di
situazioni sempre nuove e sempre variabili, che nessuna legge può
cogliere e disciplinare nella loro singolarità, in un inseguimento
continuo e impossibile. Ad essa, invece, spetta il compito di fissare i
principi di base, che l´intervento del giudice adatterà poi ai casi
concreti. Questo quadro di principi è, e non può che essere, quello
della Costituzione italiana, integrato da indicazioni che vengono da
documenti internazionali, in primo luogo dalla Carta dei diritti
fondamentali dell´Unione europea. Ed è proprio su questo punto che si
sta svolgendo il conflitto. Si leggono interpretazioni di norme
costituzionali contrastanti con la loro stessa lettera o comunque
incompatibili con il sistema complessivo di cui fanno parte. Ma sempre più
spesso si va oltre, e si parla e si scrive come se la Costituzione non
esistesse. Si fa riferimento a valori, rispettabilissimi, ma che non
trovano alcun riscontro nel testo costituzionale, o addirittura
contrastano con esso. Da tempo sottolineo che è in atto un tentativo,
strisciante ma visibilissimo, di sostituire al quadro dei valori
costituzionali un quadro del tutto diverso, portando così a compimento
una impropria e inammissibile revisione costituzionale. Qui è il limite
dei dialoghi possibili intorno ai temi in discussione. I principi
costituzionali non possono essere revocati in dubbio contrapponendo ad
essi altri valori "non negoziabili", che nella religione
cattolica troverebbero un fondamento così forte da imporli ad ogni altro.
Gustavo Zagrebelsky ha più volte messo in evidenza come ciò apra un
conflitto insanabile con la stessa democrazia. E, nella concretezza della
vicenda italiana, ciò pone il problema della linea che stanno seguendo le
gerarchie ecclesiastiche. Un problema che non si affronta e non si risolve
ripetendo, come peraltro è ovvio, che la Chiesa deve poter esercitare
pienamente il suo magistero spirituale. Da anni sappiamo che la Chiesa,
venuta meno la mediazione svolta dalla Dc, agisce ormai in presa diretta
sulla politica italiana. Lo si ripete in questi giorni. Ma questo vuol
dire che essa si comporta come un soggetto politico tra gli altri, sia
pure con il peso grandissimo della sua storia, e che come tale deve essere
considerata. Entrando direttamente nella politica, la Chiesa
"relativizza" sé e i suoi valori, non può pretendere
trattamenti privilegiati, che è pretesa autoritaria, incompatibile
appunto con la democrazia. Nella debolezza della situazione politica
italiana, nelle sue fragilità e convenienze, la pressione della Chiesa si
sta manifestando con una intensità sconosciuta quando, in Francia o in
Belgio o in Germania o in Spagna o in Olanda, sono state affrontate, e in
modo assai più radicale, analoghe questioni intorno alla vita. La debole
Italia più agevole terreno di conquista? Una politica che porta a
ritenere inammissibile nel "cortile di casa" quel che è
tollerato quando Roma è più lontana? Inquieta, a questo punto, la quasi
totale assenza di un mondo cattolico che conosciamo portatore di un´altra
cultura che, ad esempio, si fa sentire con chiarezza nelle questioni
riguardanti la pace. Una dura ortodossia avvolge i temi "eticamente
sensibili". Nessuno è autorizzato ad avviare una discussione aperta,
dunque l´unica via per un vero dialogo, fosse anche il cardinal Martini.
La dura reprimenda che gli è stata rivolta, con un´accusa neppure velata
di "deviazionismo", aveva evidentemente anche l´obiettivo di
impedire che si aprisse una falla, di intimidire chi avesse voluto
seguirne l´esempio. Anche nel silenzio di quei cattolici, come nelle
aggressività di altri e nel disorientamento di troppa sinistra, scorgiamo
la conferma di una debolezza politica e culturale che non autorizza troppe
speranze. testo integrale pubblicato da "La Repubblica" - 8 febbraio 2007 |