Il 6 agosto 1978 moriva Giovanni Battista Montini. Per tutta la vita volle essere un «servitore della Verità» Paolo VI, asceta della ricerca Fu definito impropriamente «amletico», per lui la fede era uno studio continuo e tormentato. Nel '64 agli universitari romani disse: «Spingete i vostri dubbi fino alle estreme conseguenze»
di Vittore Branca
A venticinque anni dalla morte Paolo VI - Giovanni Battista Montini - appare sempre più chiaramente come l'ispiratore e il maestro dei papi del secondo Novecento. Tale l'hanno pubblicamente e solennemente riconosciuto e proclamato i tre pontefici, diversissimi fra loro, Giovanni XXIII, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II. Oltre che per le grandi iniziative, rinnovatrici religiosamente e socialmente, oltre che per le insistenti e riuscite aperture ecumeniche e per gli appelli alla pace fra gli uomini, questo riconoscimento si è imposto, credo, perchè papa Montini superò risolutamente l'atteggiamento di diffidenza verso la piena libertà civile e morale delle scienze e verso la cultura e la ricerca scientifica moderna e laica. Era una diffidenza che per più di due secoli aveva caratterizzato - e in certo senso bloccato - la Chiesa Cattolica. Uno dei nostri giornalisti più autorevoli a livello mondiale, Alberto Cavallari, laicissimo, non esitò ad affermare nel '75, sul «Corriere della Sera», che «lo stesso valore della libertà, questo valore fino a ieri laico, con Montini è diventato cardine di un cattolicesimo umanista». E quello stesso quotidiano, tutto liberal-laico, pochi giorni dopo la morte VI, il 23 agosto 1978, rivelò, a cura mia, un appunto segreto - e che segreto doveva rimanere fino alla morte - che Montini, trentacinquenne ma già nella segreteria di Stato, aveva stilato. Era una regola di vita e di azione per sé e per i suoi più stretti discepoli. La Verità, in quell'appunto, era dichiarata una realtà stessa con Dio e con Gesù Cristo. «Voglio che la mia vita sia una testimonianza alla Verità per imitare così Gesù Cristo, come a me si conviene (Vangelo di S. Giovanni, XVIII 37 "Io sono nato e venuto al mondo per essere testimone della Verità: chiunque è per l verità ascolta la mia voce"). Intendo per testimonianza la custodia, la ricerca, la professione della verità; intendo per verità l'adesione a ogni intellegibile realtà: Dio... a ogni cosa in me e fuori di me può essere oggetto di conoscenza e di espressione e per ogni luce a me concessa, dalla Natura e dalla Grazia, può esser posseduta, goduta, manifestata... Voglio per questa via creare la perfezione spirituale e la mia salute eterna, in conformità alla preghiera a Dio di Gesù per i suoi discepoli "santificali nella Verità"» . Don Montini affermava così chiaramente la sacralità della ricerca e della cultura, nello spirito più indipendente e rigoroso, come vera vita e vita cristiana. Si riferiva anche, come fece in una memorabile relazione del 1931 ai suoi "fucini"- soppressi e perseguitati e bastonati dai fascisti - a quella suranalogie de la foi che avevano arditamente prospettato Loisy e Maritain. Egli, rigoroso assertore dei principi dottrinali e morali del cattolicesimo e aileno da qualsiasi concessione al relativismo storicistico, affermò però continuamente che unico giudice nella ricerca umanistica e scientifica deve essere, in piena libertà, la coscienza personale: come fece proclamare e sanzionare dal Concilio Vaticano II. Per queste convinzioni, vegliate in sé da tempo, abolì l'Indice dei libri proibiti (già si era battuto fra ' 30 e ' 40 perché non vi fossero inclusi, come ho segnalato altrove, Pirandello e Graham Greene) e gli ancora sussistenti anatemi e diffidenze contro certe posizioni, più che legittime, dei modernisti. «Ogni contatto con la ragione, cioè ogni determinazione scientifica, accresce il senso della presenza di Dio... è presentimento dell'ineffabile Vero posto al vertice di ogni parziale conoscenza umana» affermava fin dal 1929 nel suo libro-manifesto, Coscienza universitaria. Scriveva poi il 10 marzo 1933 a Olga Montagner, chimica (che sarà mia moglie) e a me il 26 marzo 1936, universitari e "fucini" vicinissimi a lui: «La ricerca paziente, assidua, intelligente della Verità é l'unione con Dio, nella pratica fedele dei doveri religiosi, anche quando il fervore non é presente» (vedi facsimile della lettera): «La ricerca ha dignità pari alla preghiera: ed é empietà sfruttare o strumentalizzare la ricerca a fini diversi». Come la preghiera strumentalizzata o volta a fini ideologici o, peggio, politici ed economici, non è più ricerca, non è più culto della Verità. Così Montini egualmente da direttore di coscienza e da pontefice: fino al «saluto specialissimo» e nello Spirito di Verità a pensatori e scienziati e artisti, anche laicissimi e non credenti ma «fedeli ricercatori della Verità», col quale l'8 dicembre 1965 volle concludere il Concilio Vaticano II: fino alla dichiarazione da Castelgandolfo, in uno degli ultimi suoi giorni:«Il nostro ufficio è di servire la Verità: gaudete Veritate, godete nella e colla Verità». Tutto pervaso da questo culto e da questo entusiasmo per la Verità anche il suo Testamento: con quel commosso saluto al mondo d'oggi , definito «drammatico» e «stupendo» perchè teso a realizzare, anche attraverso tragiche deviazioni e crudeltà, una Verità sociale. Nel contrasto fra quei due aggettivi («drammatico» e «stupendo») c'è pure il riflesso dell'ansia tormentosa di Montini, sempre alla ricerca di Vero, anche attraverso interrogativi angosciosi ed esperienze dolorose e tradimenti di discepoli, propri come quelli subiti da Cristo e poi da Pietro e Paolo . Quell'ansia e quei dubbi, che puntavano scrupolosamente e dinamicamente al Vero, fecero dire molto impropriamente a qualcuno che Paolo VI era un «Papa amletico». Montini però, in un appunto segreto, autoironico, del 1975, rivelatomi dal suo segretario Mons. Macchi: «Il mio stato d'animo? Amleto ? Don Chisciotte ? Non mi sento indovinato. Due sono i sentimenti dominanti: superabundo gaudio: sono pieno di consolazione, pervaso di gioia in ogni tribolazione». Era sempre un maestro, grande maestro della vita come ricerca continua, anche attraverso il dubbio e il tormento speculativi: una ricerca che mai può essere completamente appagata, come mai possono essere appagate e soddisfatte l'ascetica e la mistica nell'avvicinare Dio. «Lo studio è fatica e dolore; dolore e fatica dell'anima, materia della più alta moralità: crediamo alla mistica della ricerca perché vogliamo un'ascetica della ricerca... La dedizione totale allo studio e alla ricerca della Verità... è per noi tal cosa da riassumere e improntare di sé tutti gli altri aspetti della vita»). Cosi in Coscienza universitaria; e da papa, nel 1964, parlando agli studenti nella Cappella dell'Università di Roma: «Prolungate sino al convincimento la vostra vigilia [di studio e di ricerca], ma siate onesti, cercate sempre, spingete i vostri dubbi sino alle estreme conseguenze»; sino al «trovare perché si cerca indefessamente» di Agostino e di Pascal, sino al "dubbio" di Unamuno che conduce alla Verità e alla Fede. Nessuno ha saputo essere, come Montini in questi nostri anni, così alto e generoso difensore di quel binomio Vita-Verità dell'uomo e del suo diritto alla vita piena, contro ogni attentato e ogni debolezza e ogni idolatria economica della società, contro ogni forma di violazione dell'integrità umana, fisica e pscicologica. Significative le sue parole e la sua azione contro ogni razzismo, contro ogni "lager" materiale e morale, contro ogni emarginazione e ogni violenza. L'angosciata preghiera per Moro ha sublimato questi motivi al di là dell'episodio e quasi della stessa vita terrena. Così Giovanni Battista Montini, veramente come il grande testimone - del quale portava il nome - del Cristo-Verità, «venne come testimone per rendere testimonianza alla Luce-Verità perchè per mezzo di lui tutti credessero...» al Dio «pieno di Grazia e di Verità » (Vangelo di S. Giovanni I 7 6). Ma «Venne nella sua e i suoi non l'accolsero» (cit. 11), e alle volte lo abbandonarono e lo tradirono nel Vaticano stesso. Ora però, finalmente, Montini-Paolo VI é stato riconosciuto come «pieno di grazia e di verità»(14): quale, già presentandolo a Venezia nel 1957, l'aveva profeticamente definito l'unico papa beatificato del Novecento, Angelo Giuseppe Roncalli.
testo integrale tratto da "Domenica - Il sole 24 ore" - 3 Agosto 2003 |