Mercoledì prossimo ricorre il 25°
della morte
Paolo VI,
più il tempo passa più la sua figura giganteggia
Il
cardinale Garrone ha detto che era talmente grande,che quando parlava,
benché si
sforzasse di scendere al livello dei suoi ascoltatori,era sempre un
gradino sopra
Giovanni
Battista Re*
«Paolo VI sarà valutato
grande col tempo», così diceva Yves Congar, basandosi sull'esperienza
secondo cui le persone davvero di valore raramente sono le più applaudite
in vita, per essere invece tra le più ricordate e apprezzate dopo la
morte. E il tempo, in questi 25 anni trascorsi dal decesso di Paolo VI, è
stato galantuomo. Più ci si distanzia da quel momento, e più la sua
figura va crescendo. Mentre era in vita, ebbe varie critiche e dovette
soffrire non poco. Dopo la sua morte innumerevoli sono stati i
riconoscimenti della sua grandezza, dell'importanza del suo pontificato,
del valore del suo pensiero e della sua opera. Ora ci si rende conto del
ruolo che egli ha avuto nella Chiesa cattolica: la sua grande statura va
crescendo sia sul piano della valutazione storica come su quello della
santità. Il cardinale Garrone ha detto di Paolo VI che era talmente
grande, che quando parlava, benché si sforzasse di scendere al livello
dei suoi ascoltatori, era sempre un gradino sopra.
È stato il Papa della complessità, chiamato a governare la Chiesa in una
delle stagioni più difficili del Novecento. Pochi come lui hanno saputo
interpretare le ansie, le inquietudini, le ricerche e le fatiche dell'uomo
contemporaneo. Aveva la capacità di interrogarsi per un'innata
disponibilità a cercare di capire le ragioni degli altri. Così entrerà
nella storia come un Papa che ha amato e stimato il suo tempo ed ha
cercato di avvicinare tutti gli uomini. Egli guardò alla realtà moderna
con simpatia. Un giorno ebbe a dire: «Se il mondo si sente straniero al
cristianesimo, il cristianesimo non si sente straniero al mondo».
Nel desiderio di offrire a tutti il messaggio di speranza e di salvezza
che Cristo ha recato all'umanità, si fece pellegrino sulle strade della
terra. In realtà, fu lui l'iniziatore dei viaggi papali. Il suo
predecessore ne aveva sì parlato, ma l'età gli permise di andare solo a
Loreto ed Assisi. Paolo VI era talmente convinto che il ministero petrino
dovesse portare il Papa sulle vie del mondo che, di ritorno da una visita
pastorale, disse al futuro cardinale Jacques Martin, allora prefetto della
Casa Pontificia: «Vedrete quanti viaggi farà il mio successore».
Papa Montini resterà nei secoli per l'apporto dato al Concilio Vaticano
II. Se fu, infatti, Giovanni XXIII a volerlo e ad iniziarlo, toccò a lui
portarlo avanti con mano esperta, delicata e ferma, fino al suo compimento
e ad iniziarne l'applicazione. Egli rispettò la libertà del Concilio, ma
nei passaggi nodali seppe intervenire con l'autorità propria del Papa e
una saggezza che merita ammirazione. Basti pensare al momento della
cosiddetta "Nota Previa" per la Costituzione apostolica Lumen
Gentium, o quando gli organi direttivi del Concilio - il 20 settembre 1965
- avevano deciso di non sottoporre a votazione la "Dichiarazione sul
diritto alla libertà religiosa" e l'indomani mattina egli dava
l'ordine invece di procedere alla votazione.
Paolo VI è stato un grande uomo di Dio, che ha amato con passione
profonda la Chiesa, della quale aveva fatto tema prediletto del suo
pontificato, come fu - per suo stesso suggerimento - argomento cruciale
del Concilio. Nel "Pensiero alla morte" dirà: «La Chiesa...
potrei dire che da sempre l'ho amata, e che per essa, non per altro, mi
pare d'aver vissuto». La sua era una spiritualità cristocentrica:
l'amore a Cristo ha costituito l'orientamento fondante di tutta la sua
esistenza e ha caratterizzato in modo profondo anche l'esercizio del suo
ministero sulla cattedra di Pietro. Basterebbe ricordare le parole con cui
spiegò perché avesse assunto il nome di Paolo, precisando che era
l'Apostolo «che supremamente amò Cristo, che in sommo grado desiderò e
si sforzò di portare il Vangelo di Cristo a tutte le genti, che per il
nome di Cristo offrì la sua vita» (omelia per l'incoronazione, 30 giugno
1963).
Paolo VI è stato l'uomo del dialogo, attento a non chiudere mai le porte
dell'incontro, nella ferma convinzione che questo dev'essere lo stile di
tutti i rapporti ecclesiali. Per lui «nessuno è estraneo al cuore della
Chiesa. Nessuno è indifferente al suo ministero. Nessuno le è nemico,
che non voglia esso stesso esserlo» (udienza generale del 5 agosto 1964).
In tutto il suo ministero, dagli anni della Fuci al lavoro nella
Segreteria di Stato, dall'episcopato milanese al soglio di Pietro, Papa
Montini è stato tessitore paziente di rapporti con tutti, vicini e
lontani, aperto alla comprensione, alla misericordia, all'amore, nella
costante consapevolezza però che ogni dialogo, ogni incontro deve portare
a Cristo. In un appunto scriveva: «Forse la nostra vita non ha altra più
chiara nota che la definisca dell'amore al nostro tempo, al nostro mondo,
a quante anime abbiamo potuto avvicinare e avvicineremo; ma nella lealtà
e nella convinzione che Cristo è necessario e vero». Indicò all'umanità
l'ideale della costruzione della "civiltà dell'amore". Egli era
convinto che l'amore, solo l'amore, è la forza costruttiva di ogni
positivo cammino dell'umanità. La civiltà dell'amore da costruire nei
cuori e nelle coscienze è stata per lui più di un'idea e di un progetto.
È stata la guida e lo sforzo di tutta la sua vita.
In un mondo povero d'amore e solcato da problemi e violenze, lavorò
infatti per instaurare una civiltà in cui la solidarietà e l'amore
giungessero là dove la giustizia sociale, pur tanto importante, non
poteva arrivare. Per questa civiltà dell'amore Paolo VI si è speso senza
misura, pregando ed operando, rinnovando le strutture della Chiesa,
andando egli stesso incontro a tutti gli uomini di buona volontà e
cercando tutte le occasioni per diffondere ovunque una parola di speranza
e di pace e di invito a superare gli egoismi ed i rancori.
Davvero grande, dunque, l'eredità che Paolo VI ci ha lasciato. Che il suo
insegnamento continui ad illuminare il cammino dell'umanità.
*cardinale, prefetto della Congregazione dei
vescovi
testo integrale tratto da "Avvenire" -
3 agosto 2003