"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

 Nel covo «santini» di Cuffaro
Il governatore, eletto al senato: «Non so come siano finiti lì». 

Il procuratore Grasso: «Latitanza coperta dalla politica»

di
ALFREDO PECORARO
ANDREA FABOZZI


Non sa «come siano finiti lì», ma certo il ritrovamento dei fac simile elettorali col nome di Totò Cuffaro (Udc) nel casolare dove è stato catturato il boss Bernardo Provenzano, desta almeno qualche interrogativo. Tra gli oggetti rinvenuti nel covo del capo di Cosa nostra, nelle campagne del corleonese, la polizia ha trovato del materiale elettorale, tra cui stampe di propaganda del governatore in Sicilia, candidato al senato e poi eletto. Subito dopo la cattura del boss gli investigatori hanno messo sotto sopra il casolare, setacciando ogni angolo. I fac simile erano dentro un barattolo di vetro con penne e altri fogli. Assieme a quelli di Cuffaro, sotto processo a Palermo per favoreggiamento a Cosa nostra nell'ambito dell'inchiesta sulle talpe alla Dda, c'era anche materiale propagandistico di Nicolò Nicolosi, sindaco a Corleone e fondatore del Patto per la Sicilia, partito alleato della Cdl. Come Cuffaro anche Nicolosi è stato appena eletto al senato. Il barattolo con i fac simile si trovava nel locale utilizzato da Giovanni Marino, il pastore proprietario del casolare arrestato assieme a Provenzano, e utilizzato per la preparazione di formaggi e ricotta. Anche se gli investigatori non confermano il ritrovamento del materiale elettorale, alcune fotografie e immagini di tv private invece non lasciano dubbi. Tant'è che lo stesso Cuffaro allarga le braccia: «Non so come quel fac simile sia finito lì». «Ne ho fatti stampare oltre 3 milioni da distribuire in tutta la Sicilia - aggiunge - non so se il pastore l'abbia mai dato a Provenzano, ma se ne hanno tenuto conto hanno fatto il peggiore investimento della loro vita ». Affermazione apodittica sul genere «La mafia fa schifo», slogan scelto dal presidente siciliano per una campagna anti Cosa nostra che gli ha attirato le critiche di chi lo accusa di rapporti poco limpidi con personaggi condannati o indagati per mafia. Del resto ieri mattina Cuffaro era stato tra i primi a complimentarsi per l'arresto di Provenzano. «Finalmente questa terra si libera da una cappa che l'ha oppressa per 40 anni - aveva detto - tutti noi siciliani dobbiamo impegnarci affinché non ci sia mai più un altro Provenzano ». «Non appena il vertice di Cosa nostra viene decapitato - ha detto invece il procuratore nazionale Antimafia Piero Grasso - l'organizzazione subisce un colpo, ma presto il vuoto sarà colmato ». Poi Grasso ha ripetuto la sua analisi sulle coperture di cui ha goduto «il fantasma di Corleone »: «Imprenditori, tecnici e politici hanno favorito la sua latitanza». Un'accusa che il procuratore aveva articolato più diffusamente nella relazione della Direzione nazionale Antimafia per il 2005, parlando di «una borghesia mafiosa fatta di tecnici, esponenti della burocrazia, professionisti, imprenditori e politici che o sono strumentali o interagiscono con la mafia in una forma di scambio permanente fondato sulla difesa di sempre nuovi interessi comuni». Il neo senatore Cuffaro è ora protetto dall'immunità parlamentare. In passato però ne ha già fatto a meno ed è quello che ripete di voler fare, annunciando l'intenzione di dimettersi per ricandidarsi alla guida della regione Sicilia. C'è però chi avanza dubbi, mentre è certo che nella sua coalizione, soprattutto da Forza Italia, sono forti le pressioni perché faccia un passo indietro. Il governatore infatti oltre al processo per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra dovrà fronteggiare l'accusa di rivelazione di segreto d'ufficio: la Corte d'appello di Palermo - accogliendo il ricorso della procura contro un primo prosciogliemto deciso dal gup - ha fissato per il 2 maggio prossimo l'apertura di un nuovo processo a carico di Cuffaro. Nel processo cosiddetto «Talpe alla dda» sono già stati esaminati i rapporti tra Cuffaro eMichele Aiello, ingegnere e proprietario di diverse cliniche private. Aiello è considerato un prestanome di Bernardo Provenzano. Cuffaro sarebbe intervenuto in suo favore per adeguare (al rialzo) il tariffario regionale sanitario per quanto riguarda le prestazioni di radioterapia ad alta specializzazione effettuate dai laboratori di Aiello. L'argomento sarebbe stato al centro di un incontro che doveva restare segreto tra Cuffaro e lo stesso Aiello (che pochi giorni dopo sarebbe stato arrestato) nel retrobottega di un negozio di abbigliamento a Bagheria. «In quell'incontro dell'ottobre 2003 - ha detto Aiello nell'aula del tribunale il 14 febbraio scorso - il presidente mi disse che dopo poche settimane il tariffario sarebbe stato approvato, ma le cifre indicate erano più basse di quelle che ci aspettavamo. Mi chiedeva però di non protestare perché nell'arco di pochi mesi le avrebbero aggiornate». «Non è secondario rilevare - si legge nell'ultima relazione di minoranza della commissione parlamentare Antimafia - che con la clinica in amministrazione giudiziaria il costo delle prestazioni si è abbattuto di circa il 50%». Cuffaro è accusato di aver rivelato ad Aiello notizie sulle indagini che lo riguardavano. Ed è accusato di aver fatto lo stesso in favore del medico Mimmo Miceli (sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa), di Salvatore Aragona (altro medico già condannato per mafia) e di Giuseppe Guttadauro (boss del mandamento mafioso di Brancaccio) in collaborazione con i marescialli dei carabinieri Riolo e Borzacchelli (quest'ultimo poi eletto deputato regionale con l'Udc). Le accuse a Cuffaro sono sostenute anche dal collaboratore di giustizia Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate. Ma soprattutto l'uomo che ha fornito a Bernardo Provenzano la carta d'identità falsa che gli servì per andare a farsi operare a Marsiglia.

testo integrale tratto da "IL MANIFESTO" -  12 aprile 2006

 

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