"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

  ETICA POLITICA SOCIETÀ

Chiesa e modernità

di Giannino Piana 

Il rapporto tra chiesa e politica non si è mai sviluppato in modo del tutto pacifico. Alla lunga stagione dell'invadenza della chiesa nella sfera della politica - il Medioevo è stato largamente contrassegnato dall' egemonia di questa concezione - è subentrata, in epoca moderna, la tendenza, di segno opposto, ad emarginare la chiesa dalla politica, con la riduzione della religione a realtà da vivere nel chiuso delle coscienze e delle sagrestie, perciò con la negazione di ogni sua rilevanza sociale. A determinare l'alternarsi di queste posizioni contrastanti hanno concorso, da un lato, fattori di carattere storico e più in generale culturale e, dall'altro, la stessa riflessione teologica, che ha, di volta in volta, elaborato interpretazioni diverse del rapporto chiesa-mondo.

 L’avvento della modernità è stato per la chiesa contrassegnato, fin dall'inizio, da una situazione di forte conflitto. L’avanzare delle libertà moderne (non esclusa quella religiosa) veniva guardato con diffidenza dalla chiesa, quando non era da essa ­come è avvenuto nell'Ottocento - apertamente osteggiato. A sua volta, la società tendeva a ridimensionare il fenomeno religioso, riducendolo a «fatto privato» e destituendolo di ogni valenza pubblica. Si faceva strada così un processo di esclusione (e di autoesclusione) della chiesa dalla politica, cha aveva (e non poteva che avere) gravi ripercussioni tanto sulla vita delle comunità cristiane che della società. Questa prospettiva, che si è consolidata nel tempo a livello di prassi storica, ha trovato conferma anche nell'ambito della teologia, dove è venuta affermandosi, in termini sempre più accentuati, una visione negativa del mondo come luogo del male e del peccato - il mondo «per il quale Gesù non ha pregato» secondo la nota dizione di Giovanni - e dunque come realtà con cui la chiesa non ha nulla da condividere. A fare da supporto a questo modello dualistico, per il quale chiesa e mondo non sono soltanto reciprocamente estranei ma radicalmente alternativi, hanno concorso, da un lato, il prevalere di una concezione astratta della fede del tutto avulsa dalla storia -la devotio moderna riconducendo la fede a rapporto individuale dell'uomo con Dio esalta questa prospettiva - e, dall'altro, l'interpretazione della salvezza in un' ottica puramente escatologica, per la quale le attese umane non hanno (e non possono avere) alcun rapporto con la speranza cristiana radicalmente proiettata verso l'al di là.

L’incidenza di questa concezione non si è fatta sentire soltanto a livello di esperienza individuale - la coscienza del singolo credente finisce per essere lacerata tra la fedeltà a Dio e la fedeltà alla terra - ma anche a livello della vita delle comunità cristiane, con il prevalere di atteggiamenti di diffidenza nei confronti degli ordinamenti mondani e con il costituirsi di rapporti legati esclusivamente a logiche di potere. Lungi dal collaborare tra loro, chiesa e stato si considerano poteri alternativi, come tali interessati a difendere i loro rispettivi spazi di influenza e di azione. 

 la svolta del Vaticano II

A provocare una svolta salutare nei confronti di tale relazione è stato soprattutto il Vaticano II, che ha inaugurato la stagione del dialogo tra chiesa e mondo. La svolta è stata anzitutto determinata dall'affermarsi di una visione positiva del mondo ­concepito come !'insieme delle realtà create riscattate, dopo la caduta originale, dall' evento della redenzione di Cristo - , ma anche dall'emergere di una nuova visione della chiesa come realtà immersa nella storia, la cui auto coscienza non può dunque prescindere dal riferimento ad essa. Chiesa e mondo non sono allora più concepite come entità separate, ma come realtà in profonda continuità tra loro e mutuamente interagenti.

Ma il Concilio non si limita a ristabilire questa relazione, che ha radici strutturali invalicabili; assegna soprattutto alla chiesa una precisa missione nei confronti della storia, facendola portatrice di una salvezza che è per !'intera umanità e per il cosmo. La chiesa non è soltanto nel mondo ma per il mondo e al suo servizio; essa­come ci ricorda il Proemio della Gaudium et spes - è chiamata ad assumere su di sé le domande e le attese ma anche le inquietudini, le angosce e le sofferenze degli uomini per rendere ragione di una speranza che spinge all'impegno nel presente e garantisce il riscatto di ogni cosa nel futuro di Dio.

Le realtà terrestri, e in primo luogo la politica, acquisiscono così piena dignità. L’impegno a rendere abitabile la terra e ad edificare la polis è già impegno alla costruzione del regno; la storia, in quanto storia salvata, è l'ambito entro il quale il credente e le comunità cristiane devono esercitare la loro azione trasformatrice. Pur non potendo lasciarsi coinvolgere direttamente nella vita politica, in forza del rispetto dell'autonomia delle istituzioni civili e perciò della non intromissione nella loro sfera di intervento, la chiesa deve far sentire la propria voce e portare il proprio contributo alla soluzione dei problemi umani, e non può essere dunque del tutto estranea a ciò che avviene in un campo - quello della politica - da questo punto di vista assai determinante.

 

istituzione critico- profetica

La questione di fondo riguarda pertanto le modalità di tale presenza, la scelta cioè di una forma di intervento che eviti i rischi della caduta nell'integralismo e della ideologicizzazione della fede - rischi in passato frequenti, ma anche oggi non del tutto scongiurati - le cui conseguenze hanno ripercussioni negative di grande portata. L’ecclesiologia postconciliare - soprattutto laddove si è impegnata a ridefinire sulla scorta della Gaudium et spes, il ruolo della chiesa nel mondo - ha ripensato il rapporto con la politica in una prospettiva nuova: a contare non sono più le logiche di potere, per le quali il peso della chiesa si misura dalla capacità di far valere la propria potenza materiale (ricchezza e prestigio sociale); è, invece, la povertà (e di conseguenza la libertà) cui essa deva dare testimonianza. È come dire che la forza della chiesa non sta nel potere mondano ma nel suo radicale spogliamento, nella rinuncia a ogni forma di ricchezza e di sicurezza terrestre per annunciare la «buona notizia», che è per i poveri e i perdenti di questo mondo. Non è questo, d'altra parte, il senso della vera «sapienza» che Paolo contrappone, nella prima lettera ai Corinti, alla sapienza mondana? E non è soprattutto questo il senso del paradosso della «croce», dove il totale annichilimento (la kénosi) diviene la «cifra» della potenza di Dio?

Facendo propria questa scelta la chiesa si trasforma in «istituzione critico-profetica» - l'espressione è di J. B. Metz -, cioè in istituzione, che, avendo rinunciato a ogni ambizione mondana e a qualsiasi forma di potere temporale, può rivestire il ruolo di «coscienza critica» della società e dell' azione politica; la sua forza interiore le consente infatti di mettere sotto processo le tentazioni egemoniche che affiorano nella politica, come conseguenza della mitizzazione di una ideologia o di un sistema particolare, e di stimolare la tensione verso l'autentica liberazione umana. Solo la libertà che viene dall'abbandono di qualsiasi interesse terreno ­ libertà che ha la sua sorgente nella povertà ­ mette in condizione la chiesa di esercitare la parresìa, il coraggio di osare, la capacità, in altre parole, di «gridare dai tetti» la verità scomoda ma liberante del vangelo.

La critica, tuttavia, non basta. Ad essa va associato in positivo il compito di avanzare prospettive di cambiamento nel segno della profezia. Anche a tale riguardo non conta ciò che si dice ma ciò che si sa testimoniare con la vita; conta la disponibilità delle comunità cristiane a fare propria, nella vita quotidiana, la logica delle beatitudini evangeliche rendendone trasparente l'efficacia nel vivo della società attuale e spingendo la politica ad appropriarsene. Si pensi soltanto all'importanza che può rivestire la povertà evangelica, come austerità e riduzione dei bisogni (spesso artificialmente indotti), per vincere fenomeni come la miseria e la fame che assillano interi continenti e per migliorare, anche in Occidente, la qualità della vita. O ancora: si pensi al valore di atteggiamenti come la riconciliazione e il perdono in un mondo lacerato da conflitti e attraversato da sempre più ampi focolai di guerra, che rendono del tutto instabile la geopolitica mondiale.

L’efficacia dell'annuncio che la chiesa può (deve) fare con forza di questi valori, denunciando le situazioni di oppressione e spingendo la politica a intervenire per sanarle, è strettamente dipendente dalla capacità delle comunità cristiane di renderne trasparente l'alto significato sociale e la possibilità della loro incarnazione anche nel nostro tempo mediante l'adesione ad essi nella prassi quotidiana. Solo in questo modo è possibile stimolare i vari ambiti della convivenza umana, e in primo luogo la politica, a ricuperarne le istanze per concorrere a fare della polis uno degli ambiti privilegiati della promozione umana.

testo integrale pubblicato da  "Rocca" n. 23  - 1 dicembre 2007

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