"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
SAPER PENSARE IL MONDO NUOVO di CARLO PETRINI Siamo
arrivati al dunque: quello che è sempre sembrato un argomento marginale
nell´agenda politica dei grandi Paesi del mondo, ciò che è sempre stato
ritenuto confinabile tra la protesta di piazza e i piccoli consessi degli
ambientalisti, ora è entrato prepotentemente nelle stanze del G8. L´evidenza
ha messo di fronte ai maggiori consumatori di energia del pianeta la
questione del cambiamento climatico come non più prorogabile, e loro in
qualche modo sono nuovamente riusciti a prorogare. Quindi il compromesso
raggiunto a Heiligendamm, un impegno generico a prendere in mano la
situazione in un futuro più o meno prossimo, non è un successo: la
montagna ha partorito un topolino.Non bastano le dichiarazioni d´intenti,
il problema è molto più drammatico; il sistema che va urgentemente
corretto è molto più complesso. Purtroppo, gli otto grandi rappresentano
diverse civiltà, diverse sensibilità, ma sono tutti accomunati dalla
stessa visione economica, determinata dai parametri di crescita che hanno
segnato la traiettoria del loro sviluppo. Questa visione stabilisce che il
benessere materiale è l´unico obiettivo e che lo sviluppo è subordinato
a un grande consumo di risorse: per cui i Paesi industriali dovrebbero
mantenere il livello raggiunto, mentre chi è in via di sviluppo dovrebbe
lottare per arrivare dove sono arrivati loro. Tant´è vero che il tavolo
si sta aprendo a quei Paesi emergenti, come la Cina e l´India, che stanno
ripercorrendo furiosamente le tappe degli otto e che presto, se ci si basa
su questa visione economica, saranno destinati a surclassarli. Mi chiedo,
di fronte a questo scenario, quanto i G8 siano consapevoli che la natura
ha dei limiti e che il loro stile di vita attuale non tiene conto del
fatto che le risorse non sono infinite. Non sono soli al mondo e sono
chiamati a rispettare i diritti degli assenti. Oggi è quanto mai nel loro
interesse riuscire a conciliare l´ecologia con l´equità, riuscire a
garantire uno sviluppo per tutti, perché "la finitezza delle risorse
è la cornice della giustizia". Ma ci riusciranno, ne terranno conto?
La questione non è soltanto etica, parliamo di sicurezza mondiale, di
interdipendenza tra i popoli che abitano la terra, di benessere nell´interesse
comune. Si tratta di far proprio un nuovo concetto di sviluppo. C´è un
modello che ben descrive quanto sarebbe necessario fare, o meglio quanto
resterebbe soltanto più da fare, ed è stato elaborato da Aubrey Meyer
nel 2000. Si chiama "Contrazione e convergenza" e parte dal
presupposto che nessuno ha il diritto di sfruttare in maniera
sproporzionata le risorse: le nazioni dunque dovrebbero muoversi tutte
verso lo stesso traguardo, compatibile con gli interessi degli altri Paesi
e con la capacità di tenuta della biosfera. Ci riferiamo naturalmente
alle risorse fossili: i Paesi industriali dovrebbero ridurre (contrazione)
il loro consumo più di quanto i Paesi in via di sviluppo lo aumentino
(per raggiungere la convergenza). Sarà necessario un abbassamento del 50%
entro il 2050? Dipende come: l´abbassamento dovrà tener conto che i
Paesi poveri hanno pur diritto a una crescita di consumi, perché per
avere un minimo di benessere ci vuole un minimo di energia. Essi dovranno
poter raggiungere almeno una dignity line, un livello che consenta ai loro
cittadini di vivere una vita dignitosa. Quindi l´abbassamento dei ricchi
dovrà essere più consistente, altrimenti non ne verremo mai a capo.
Sembrerebbe utopistico pretendere un tale bagno di umiltà da parte dei
grandi della terra, ma ricordiamoci che è anche nel loro interesse.
Inoltre, ridurre così tanto i nostri consumi di energie fossili non
significherebbe necessariamente ridurre anche il nostro benessere. Con la
riconversione della produzione energetica e la sua decentralizzazione si
può sviluppare una diversa economia, perfettamente in grado di garantire
una buona qualità della vita a tutti. Il punto è proprio la
decentralizzazione, l´implementazione di economie locali capaci di fare
leva sulla diversità e sulle caratteristiche peculiari dei vari
territori, armonizzando le due diverse tendenze che ci chiede il modello
"contrazione e convergenza", per portarci a un sistema dove l´importante
non sarà più consumare, ma il benessere. Soltanto l´economia locale ci
può garantire una produzione decentrata dell´energia: il segreto per
garantirci un futuro, o, se vogliamo, anche l´uovo di Colombo che
dovrebbe essere messo ritto sul tavolo del G8. È una scelta politica e
tecnica: la fornitura di energia che di solito è centralizzata e basata
sull´energia fossile (sia nel Nord sia nel Sud del mondo) deve essere
decentrata e fondata su fonti rinnovabili. In una fornitura decentrata
gran parte dell´elettricità viene prodotta in piccole unità: piccole
centrali idroelettriche, impianti di biomassa, fotovoltaico, eolico. Sono
metodi che hanno delle filiere molto più corte, si possono inserire bene
nelle condizioni economiche e naturali dei luoghi e se ne può facilmente
misurare la sostenibilità. Inoltre si possono utilizzare materie prime
locali e i consumatori si trasformano pian piano in produttori di energia,
rafforzando la loro partecipazione, consapevolezza e responsabilità. Se
è vero che i piccoli impianti sono meno efficienti delle grandi centrali,
secondo molti studiosi tanti piccoli impianti generano però benefici a
livello macroeconomico: creano un mercato di massa e favoriscono l´introduzione
di nuovi soggetti sul mercato. Il lavoro e il reddito sarebbero rinforzati
a livello locale e questi risvolti benefici ricadrebbero non soltanto nel
Nord del mondo, ma nel Sud, dove c´è bisogno di far partire lo sviluppo
economico. La molteplicità delle fonti si adatterebbe a livello
territoriale: si pensi all´Africa e all´impiego del fotovoltaico, alle
zone disabitate e impervie del mondo dove si può implementare l´eolico,
a quello che potrebbero fare piccoli stati caraibici ricavando l´etanolo
dallo zucchero o alle potenzialità delle biomasse nelle zone dove si
generano grandi scarti organici provenienti da altre filiere. Sono
soltanto alcuni esempi di come un modello energetico decentralizzato
potrebbe migliorare le condizioni di vita in molte parti del globo senza
peggiorarle dove già si sta bene. Durante il G8 si è discusso il grosso
problema dell´Africa e degli aiuti umanitari: perché nessuno pensa di
convogliare aiuti nella direzione di questo nuovo tipo di produzione
energetica? Sarebbe un motore formidabile per lo sviluppo, e finalmente
questi popoli avrebbero la possibilità reale di camminare con le proprie
gambe. Aiutandoli a produrre elettricità in maniera alternativa e a
livello locale, sono sicuro che con piccoli ospedali, scuole, case più
accoglienti, una vita più agiata, sarà difficile che le campagne si
svuotino, che le terre si abbandonino e che si prosegua con grandi
megalopoli sempre più ingigantite e insostenibili e una cronica
dipendenza alimentare dai Paesi ricchi. Sto forse buttando in aria bei
sogni di fronte a un consesso che decide buona parte del nostro futuro?
Non credo, è tutta questione di volontà, e di pensare in maniera
innovativa: sono tutte cose fattibili. Per questo motivo il vero sogno,
forse, sarebbe vedere l´Italia partecipare al G8 con un tale livello
propositivo, perché la nostra nazione, sempre più piccola di fronte ai
grandi, può davvero giocare un ruolo decisivo su queste tematiche. L´Italia
è il simbolo della diversità: siamo diversi al nostro interno e siamo
sempre stati il crocevia di migrazioni e conquiste, generando un´incredibile
capacità di adattamento e una buona dose di genialità. Noi italiani
siamo sempre anche stati maestri nella convivialità, e per questa nostra
capacità ci distinguiamo spesso anche negli incontri ufficiali. Ecco,
sarebbe bello se riuscissimo finalmente a fare nostra la riflessione di
Ivan Illich, secondo il quale il termine convivialità, a partire dal suo
significato di saper vivere e mangiare insieme, ha assunto ormai, più
ampiamente, il significato "della capacità, da parte di una
collettività umana di sviluppare un interscambio armonioso con gli
individui e i gruppi che la compongono e la capacità di accogliere ciò
che è estraneo a questa collettività". Siamo pronti per pensare un
mondo nuovo?
testo integrale pubblicato da "La Repubblica" - 8 giugno 2007 |