"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

CERCATE ANCORA  

Se ti perdi nell'alterità

di Arturo Paoli

La svolta del pensiero filosofico in occidente dalla morte della filosofia, viene definita dal pensatore argentino Dussel come passaggio dalla lontananza alla prossimità, dalla conoscenza all'etica e, nel suo progredire, alla saggezza. Mi viene spesso in mente il discorso di chiusura del Concilio Vaticano II, pronunziato da Paolo VI: che cosa ha la Chiesa da offrire all'umanità? Bisogna che la Chiesa non perda mai questa prospettiva, superando la prospettiva apologetica. Noi seguaci del Cristo crediamo che Gesù è il Salvatore e il maestro di tutti gli uomini, di tutte le generazioni, di ogni tempo. E questo fu il soffio del Concilio Vaticano II, la sua vera originalità che aprì la Chiesa a una vera primavera. Lo Spirito non muore e non cambia, e non teme di rispon­dere all'appello portato dal tempo.

Un filosofo francese molto ascoltato, sollecita una risposta che ci devono i giovani di questo tempo. Il filosofo parte da una criti­ca assai severa da una maniera di spingere il pensiero alla ricerca della «verità». E evidente che, come pensatore, assume la responsabilità di rispondere alla vera esigenza dell'uomo di «nutrire la sua vita». Partendo da questa responsabilità si chiede se la vera esigenza dell'umanità sia la verità che è stata la meta unica della ricerca filosofica fino a quella morte dichiarata da Lévinas: «si ammette certo che la ricerca della verità, di cui conosciamo l'antico legame con il pensiero dell'Essere e quanto sia dipendente da una attesa della rivelazione, sia da prendere, in fin dei conti, per una figura maestosa e singolare nell' avvento e nella formazione dello Spirito. Si accetterà anche che la ragione, nella sua funzione dimostrativa sia stata im­portante nei campi limitrofi della matematica e della filosofia ... ma la felicità è per tutti» (1).

Questa uscita mi è apparsa come uno splen­dore di luce all'uscita da un lungo tunnel tenebroso. Certo il cammino di ricerca del pensiero è di pochi, ma la felicità è un bisogno di tutti. Chi infatti non vorrebbe la felicità? Ma presto il filosofo ci delude. Non bisogna aspirare alla felicità. Mi metto a danzare perché scopro come il discorso della montagna risponde a questo bisogno e all'apparente negazione espressa nella dichiarazione del filosofo. Come figli di Dio abbiamo il diritto alla felicità e il dovere di cercarla ... non cercandola. E in questo ossimoro colgo la prossimità del filosofo al discorso della montagna. Prima di tutto tormentato e scosso dall' attuale controversia tra verità e opinione, ricerca autonoma del pensiero laico e ricerca del pensiero «dei credenti» definito ancillare in un articolo di Scalfari, vedo una roccia di sicuro approdo al monte delle beatitudini. E mi accorgo che a Gesù, prima di passare per la porta dell'occidente greco, è stata tolta la patente di saggio, perché incompatibile con tutte le prerogative araldiche che hanno scoperto gli abitanti della casa della ragione. Bisognerà forse arrivare alla disfatta totale di questo progetto «globalizzazione» che è in fondo !'idolatria del mercato per scoprire quella saggezza che discende da Dio.

Attualmente siamo in una disputa che non permette un' alternativa determinante: razionalità dipendente o razionalità autonoma? Il filosofo francese si scioglie da questo groviglio e crede non ci siano tante porte nel nostro mondo cattolico per uscire da questo immobilismo, apparentemente movimentato. Egli ricorre alla saggezza cinese perché occuparci della saggezza cristiana vuoI dire pagare un prezzo troppo alto. Ma a me «povero untorello» è permesso di pensare che il discorso della montagna sia il grido di libertà del Cristo contro la schiavitù della legge. E appoggio questa mia affermazione ai primi tre capitoli della Prima Lettera ai Corinti, che possono essere definiti una grande prova di coraggio e una sfida al mondo ebraico attaccato all' assoluto della Legge e al mondo greco all'assoluto della Verità: «Il Signore sa che i disegni dei sapienti sono vani ... egli prende i sapienti per mezzo della loro astuzia» (1Cor. 3,20).

Dunque Gesù ha detto - caro professor Jullien - come risolvere il suo ossimoro. Non possiamo rinunziare alla felicità che è il sen­so unico della nostra vita, ma non dobbiamo cercare la felicità perché - aggiungo - ci mettiamo nei guai e difficilmente ne possiamo uscire. Forse questi guai sono più pericolosi di quelli che hanno messo al centro la verità. Voglio fare qui una piccola digressione: anche se non ci sono più i roghi accesi, e gli strumenti di tortura sono passati ai musei, in questa epoca della modernità ho conosciuto da vicino molte torture psichiche cadute su persone degne di molta stima. Ma Gesù ha guardato in faccia l'esistenza concreta dell'uomo e ha osato affermare il suo statuto di felicità non cercandola al di fuori della propria esistenza. Gesù ha detto: nutrire la vita senza cercare la felicità, perché solo così sarai makairos, felice, starai bene nella tua esistenza. Il punto di partenza è la povertà cui si arriva o risalendo dalla miseria, dalla carenza di beni necessari, o scendendo dall'abbondanza dell'eccesso di beni. Molti saggi hanno scoperto, predicato e praticato la povertà come essenziale alla felicità. Finché si è rosi dalle voglie, finché i nostri desideri non sono rivolti a valori essenziali, impossibile star bene nell' esistenza. La povertà non è considerata nei catechismi ed è sempre stata il piede di terra cotta della chiesa. Tralascio di parlare del nostro mondo centro di fabbricazione della miseria e quindi intrinsecamente anti evangelico e conseguentemente alla ricerca di oggetti che ci liberino dalla ricerca di felicità esistenziale. Attraverso forme di spiritualità si fa credere di poter trovare un' esistenza felice, ma inutilmente. Ora è vero che la povertà è essenziale per raggiungere la felicità, o meglio la gioia, che è indipendente da fattori esterni, ma la povertà nel discorso della montagna è messa in un contesto di scelte personali. La gioia è una sinfonia cui concorrono strumenti diversi; le altre qualità della persona tendono a liberare il soggetto umano dall'egocentrismo e da tutte le forme di narcisismo che sono la causa di quella farsa sempre aperta sulla scena del mondo i cui personaggi sono gli ipocriti. Anche nel vangelo ci sono delle vene di ironia nel rappresentare questi tartufi, ma Gesù li considera inesorabilmente falliti. Ogni qualità dell'anima è come un abito del grande armadio pronto ad essere indossato, e questi indossatori e indossatrici si incontrano spesso sulla scena del mondo.

Mi scuseranno gli esegeti e gli estensori di trattati di spiritualità; ma mi piace pensare il discorso delle beatitudini come le linee dell'uomo rinato; invece di un trattato di spiritualità mi appare come una pagina di antropologia filosofica. Gesù pensa sempre al discepolo come la persona che rinunzia al proprio io egoista ed egocentrico, per mettere la sua vita al servizio di quell'ideale che egli chiama Regno di Dio. Un ideale, come è ormai chiaro per tutti, che si deve realizzare nel tempo e qui sulla terra. Se un religioso si mettesse in mente di voler mettere in pratica le beatitudini leggendole come virtù, o diventa pazzo o ipocrita. Gesù ci dice: vieni e seguimi, ti capiteranno nella vita delle situazioni di persecuzioni, di umiliazioni. Sarai preso da angoscia vivendo vicino agli oppressi da tante ingiustizie e da tanto egoismo, e avvertirai fiammate di odio e bisogno di risolvere con la violenza situazioni intollerabili. Ma nel silenzio e nella preghiera sentirai la voce che ti ricorda «felici gli affamati e gli assetati di giustizia, felici i costruttori di pace» e inviterai le persone sommerse dalle ingiustizie a cominciare dalla solidarietà. Ti vengono proposte delle soluzioni furbe e disoneste che ti aiuterebbero a risolvere il problema della fame almeno in quell' area in cui ti aggiri; ma nel silenzio capirai profonda­mente che puri di cuore vuoI dire rifiutare tutti i raggiri e le macchinazioni che compromettono questa semplicità del discepolo; e allora saprai mettere coraggiosamente alla porta chi ti offre aiuto corrompendo il tuo cuore. All'epilogo della mia vita penso che la felicità proposta dal discorso della montagna, non si può raggiungere, se non rifiutando le varie felicità che vengono proposte. Ma allo stesso tempo si raggiunge vivendo quel tipo di vita povera con i poveri avendo sempre presente che con loro, e non senza loro, pos­siamo collaborare alla venuta del Regno di Giustizia, di Pace, di Fraternità.

Le qualità essenziali di questa felicità non cercata si raggiungono nel dono di sé, nell'uscita dall'io e questo è il segreto della gio­ia: Jullien ha scoperto il segreto in un saggio cinese vissuto circa trecento anni prima di Cristo: « Chi vuol salvare la propria esistenza deve perderla». Penso che il creatore ha calato l'uomo sulla terra oppure ha accolto l'uomo sulla terra nella sua emergenza pri­maria e ha messo nella sua carne questa legge: ti salverai se ti perdi nell'alterità. Questo segreto è stato sempre predicato perché trascurarlo voleva dire rinunziare a predicare il vangelo; ma spesso sparisce nel rachitismo antropologico, che sta alla base di una spiritualità da guardia svizzera che difende la chiesa istituzione dal mondo e per conseguenza trasmette ai suoi difensori questa paura. Nell'ultimo congresso di Verona è uscita una preghiera in cui si invoca una chiesa libera e liberante e Gesù ha detto «la Verità vi farà liberi». È suonata l'ora in cui i cristiani o sono capaci di scendere nel mondo, come veri testimoni del discorso delle beatitudini, che sono un invito chiaro a donare la propria vita per realizzare il regno della giustizia, oppure questo mondo sprofonda sotto il suo proprio peso. il discorso della montagna si conclude con queste parole; «Felici voi quando vi insulteranno e diranno ogni sorta di male di voi per causa mia». Ascoltiamo questa esortazione come un invito al coraggio che è in quelle parole che chiudono l'ultima cena: «alziamoci e andiamo».

Arturo Paoli

1. François Jullien, Nutrire la vita, Raffaello Cortina,~ilano,p. 113

 

testo integrale pubblicato da  "Rocca" n. 23  - 1 dicembre 2007

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