"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

CERCATE ANCORA  

La povertà dei sazi

di Arturo Paoli

L'invito ad essere povero è così essenziale per un cristiano che, chi vuole essere serio nella sua relazione con il Maestro, non può evitare di interrogarsi con una certa inquietudine. Mi è capitato recentemente, dovendo parlare delle Beatitudini ad una comunità non povera e della mia attuale situazione italiana, non certo di povero. Per continuare ad essere leale con Gesù, ho condiviso con i miei ascoltatori !'inquietudine di non essere povero. Così ho aperto con loro il capitolo sesto di Matteo che è uno di quei brani che chiariscono il senso di quel discorso. Le beatitudini non indicano solo il cammino per arrivare a quella gioia che Gesù ha promesso alla fine del lungo discorso di addio, ma il criterio con il quale Dio giudica la nostra vita. Mi sono chiesto, affrontando le conseguenze di fare del male: c'è una povertà dei sazi? 

Il dramma dei poveri

La risposta trovata dai religiosi povertà di spirito mi è sempre parsa una barzelletta su cui si potrebbe anche ridere come una delle tante goffaggini in cui tutti cadiamo, se non si avesse l'esperienza di quanto dolorosa, drammatica e vera sia la povertà dei poveri. Nei versetti di Matteo si parla della povertà non tanto come condizione di vita, o privazione del necessario, quanto piuttosto come liberazione da un certo tipo di angoscia, come pace dello spirito. La parola chiave di questa pagina del Vangelo, che rivela lo stato psico-affettivo dell'uomo Gesù, è non accogliete nella vostra psiche (secondo il testo greco) la preoccupazione di quello che mangerete o come vi vestirete, preoccupazione che nei veri poveri diventa il grido che sale verso Dio. Sono due i bisogni importanti che definiscono il nostro essere al mondo fra gli altri e con gli altri: la casa, la vita domestica e quindi il lavoro per procurarcela e mantenerla; e soprattutto come alimentare la vita. Nella situazione storica attuale, si potrebbe dire: non lasciatevi aggredire dalle voglie, non permettete alle voglie di abitare nelle vostre anime, intendendo per anima, secondo l'uso che ne fa il filosofo Galimberti, la psiche, lo spirito, tutto ciò che non è materia. Credo che partendo da questa liberazione interiore, il discepolo di Gesù può cercare come vivere in pace in mezzo all' epidemia consumista, anche se è impossibile essere immuni del tutto dal contagio; ma in tempo di peste è necessario seguire dei consigli per mettere il nostro corpo in condizione di resistere al contagio e continuare ad essere in salute. In questa pagina evangelica pregata con quell'ardore e quella fede di chi, come me, si sente in un ambiente di alto tenore di contagio, uscito dalla convivenza dei poveri dove non si sente il bisogno di una resistenza cosciente e sempre desta, si trovano dei consigli essenziali per vivere questa povertà altra. Alla fine del suo discorso Gesù indica la scelta essenziale per salvarci. Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia. Penso che il trasferimento da una situazione abitativa in cui la povertà poteva apparire ovvia, ad una povertà di resistenza vissuta come progetto di liberazione, possa presentare un certo vantaggio che può venire da un appassionamento più forte al progetto-Regno. 

Guardate

Credo che sia una possibilità di salvezza in questo mondo consumista. Il Regno di Dio avviene come processo di liberazione nelle relazioni essenziali: con il Trascendente, con i propri simili, con i beni. Relazione in un divenire dinamico. Gesù definisce la relazione con le cose create che ci circondano e che dobbiamo usare, con il verbo guardate. Guardate i gigli, guardate gli uccelli... non poteva enumerare tutte le creature che quotidianamente cadono sotto il nostro sguardo. Gli oggetti e tutta l'organizzazione produttiva mette sotto il nostro sguardo oggetti innumerevoli, eccitando le voglie con i metodi più raffinati della propaganda visiva e uditiva che ci impediscono di guardare: più siamo ciechi e più avidamente ci impadroniamo di cose che sono a nostra portata di mano. Così poco a poco ci mettono fuori dall'invito di Gesù: guardate. Incapaci di vedere le creature in mezzo alle quali viviamo, viaggiamo dal Tibet al Mato Grosso per catturare negli strumenti fotografici l'immagine. Non abbiamo tempo di permettere alle cose create di entrare in noi attraverso la contemplazione e permettere che ci donino la loro armonia e la loro pace, quella gioia visiva di essere dono. Così la nostra esistenza perde una dimensione essenziale, quella di sentirsi dono, quella che Roberto Mancini (1) definisce il senso dell'origine.

Credo che l'estraneità, per non dire la conflittualità dell'uomo con la natura, sia una delle conseguenze più gravi prodotte dall'era globalizzata. Questo spiega l'atteggiamento di dominio e di potere distruttivo dell'uomo con la natura. Gesù consiglia la liberazione attraverso questo guardare che riporterebbe ciascuno di noi ad una situazione creaturale che è la sola liberante; ma è possibile all'uomo del nostro tempo senza distruggere l'idolatria? Solo la liberazione dalle voglie permette l'attenzione all'unum necessarium che è la sola preparazione per ricevere il dono contemplativo. Le guerre, le ingiustizie sociali, la miseria che sono le piaghe visibili di una società profondamente ammalata, sono il risultato dell'insonne attività di umani frantumati dentro, di esseri schizoidi che vivono l'inganno di adorare il vero Dio, servendo notte e giorno !'idolo. Gesù continua ad amare questi uomini, non ha rinunciato a salvarli e continua con il suo metodo ad inviare loro i salvatori, quelli che vanno senza borse né calzari, quelli che Gesù definisce luce del mondo, sale della terra.

 

Trascinati verso la salvezza

Questi poveri nell' epoca della sazietà sono quelli che nella febbrile attività di conquista, imitando Maria, l'amica del Maestro, si mettono ai suoi piedi e ascoltano il lamento di questo soffio celeste divenuto triste come un uccello ferito e spesso morto. Ci sono troppi cadaveri anche se chiusi nei lori completi blu, che contaminano l'aria. Colui che porta con sé la gioia, che non si spegne nel dolore del mondo, porta la libertà di esistere in un mondo di schiavi e soprattutto porta quell'amore tenace, che non si arrende e resiste a tutti i rifiuti e alla sfida di chi presenta offerte più desiderabili. È solo il contemplativo che può essere di aiuto a questa umanità: solo questi, nella nebbia del nostro tempo, vede. Beati voi perché i vostri occhi vedono e i vostri orecchi ascoltano (Mt 13,15). Ritorno spesso alla profezia del monaco con cui ho condiviso spesso dolori e speranza, Benedetto Calati: non temere, il contemplativo salverà il mondo. Il contemplativo è tracciato da Gesù nell'incontro notturno con Nicodemo: il dottore della legge decide di andare dal Maestro di cui tanto si parla in bene e in male. Gesù gli dice seccamente che deve passare da una morte. Deve morire l'uomo delle voglie e rinascere l'uomo che si lascia guidare dallo spirito di Dio. Il verbo usato da Paolo nella Lettera ai Romani significa trascinare più che guidare. Gesù lo rappresenta in Pietro preso per la cintola da Qualcuno che lo porta dove non vuole. Chi riesce a liberarsi dalle voglie sopravviverà nel piccolo resto profetico, ed è questo il modello che il seguace di Cristo deve presentare a chi lo avvicina. Pensiamo rivolte a noi le parole che aprono il discorso delle Beatitudini: beati voi poveri perché vostro è il Regno dei cieli e pensiamo che come discepoli del Maestro, il Regno è nelle nostre mani. Da questo pensiero condiviso nelle piccole comunità di ricerca possiamo scoprire una vera novità di vivere.

Arturo Paoli

(1) Roberto Mancini, L'uomo e la comunità, Ed. Qiqajon, Magnano (Bi).

 

testo integrale pubblicato da  "Rocca" n. 07  - 1 aprile 2007

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