di Robert P. Imbelli
La beatificazione di John Henry Newman promette di essere
motivo di gioia e di grazia per tutta la Chiesa. Sarà, però, una grazia
particolare per i pastori e i teologi della Chiesa, soprattutto in preparazione
del cinquantesimo anniversario dell'apertura del concilio Vaticano II.
Come
è noto, circa cento anni prima che Giovanni XXIII indicesse il concilio, Newman
lo aveva previsto. Inoltre, alcuni documenti del concilio, in particolare la
Dei verbum (la costituzione dogmatica sulla rivelazione divina) e la
Lumen gentium (la costituzione dogmatica sulla Chiesa) riflettono la
lungimiranza e l'influenza di Newman.
Oltre a prevedere il Vaticano II, John
Henry Newman può essere una guida privilegiata per la ricezione e
l'assimilazione permanenti del concilio. Infatti Newman è un rappresentante
eccezionale della visione e dell'idea specificatamente cattolica. I suoi scritti
rivelano una generosità di spirito che procede per inclusione invece che per
riduzione: un'apertura alla presenza e alla promessa multiformi di Dio. Newman
incarna l'esortazione di san Paolo ai Filippesi: "Quello che è vero, quello che
è nobile, quello che è giusto, quello che è puro, quello che è amabile, quello
che è onorato, ciò che è virtù e ciò che merita lode, questo sia oggetto
dei vostri pensieri" (4, 8).
Tuttavia, questa apertura e questa
inclusività non sono mai indiscriminate. Newman combina, con una modalità molto
particolare, generosità di spirito e sagacia. La sua prosa accorta e cristallina
è espressione felice di una mente abituata a differenziare e a distinguere per
evitare una sintesi superficiale e affrettata. La visione intellettuale e
spirituale di Newman non costringe la grazia e non canonizza la natura.
In
questo modo egli celebra la "coscienza" come "eco della voce di Dio" e, nello
stesso tempo, riconosce quanto siamo disposti a smorzare quell'eco a seconda
delle nostre preferenze e dei nostri pregiudizi. Afferma che "a nessuno è stata
negata una rivelazione di Dio": la grazia è davvero ovunque, ma Newman ci
avverte del fatto che solo "una parte del mondo ha goduto di un'autentica
rivelazione". Non tutto è grazia.
Nel corso della sua lunga vita, dalla
conversione negli anni dell'adolescenza al discorso del "biglietto" in occasione
del ricevimento della notifica formale della sua nomina cardinalizia, non ci fu
che un unico criterio personale dello spirito generoso e del raffinato
discernimento di Newman: il Signore incarnato, Gesù Cristo. La prima Lettera di
Giovanni ammonisce: "Carissimi, non prestate fede a ogni spirito, ma mettete
alla prova gli spiriti, per saggiare se provengono veramente da Dio ...ogni
spirito che riconosce Gesù Cristo venuto nella carne, è da Dio" (4, 1 e 2).
Tutti gli aneliti umani a Dio, che sono veramente pieni di grazia, trovano in
Cristo fonte e compimento. Come dichiara Newman nella sua grande opera A
Grammar of Assent: "tutta la Provvidenza di Dio è incentrata su Lui".
In un'epoca in cui la teologia della rivelazione era prevalentemente
considerata in termini "proporzionali", Newman fu fermo nel rivendicare una
modalità "personalistica" alla rivelazione divina, compiuta in Cristo. In The
Influence of natural and Revealed Religion Respectively, il secondo dei suoi
grandi Sermoni all'Università di Oxford, parla dell'economia divina della
rivelazione quale "metodo di concretizzazione". Per esempio afferma che principi
filosofici astratti quali Parola, Luce, Vita, Verità, Saggezza, si concretizzano
in Cristo. Ciò che altrimenti rimarrebbe "nozionistico", diventa "reale" in Lui,
affetto concreto, vivido, entusiasmante e imitazione ispiratrice. Newman
riassume il suo convincimento con queste parole: "È l'incarnazione del Figlio
di Dio piuttosto che qualsiasi dottrina ricavata da una visione parziale della
Scrittura (per quanto possa essere vera e importante) il fondamento della vita o
del crollo della Chiesa".
È degno di nota che il testo scritturale, ovvero
il punto di partenza di questo magnifico sermone, che serve a orientare tutta
l'esposizione di Newman, sia l'inizio della prima Lettera di Giovanni. Questi
sono esattamente gli stessi versetti che i padri del concilio Vaticano II
proclamarono nel proemio alla Dei Verbum, esponendo, in tal modo, la loro
visione profondamente concreta della rivelazione: "Annunziamo a voi la vita
eterna, che era presso il Padre e si manifestò a noi: vi annunziamo ciò che
abbiamo veduto e udito, affinché anche voi siate in comunione con noi, e la
nostra comunione sia col padre e col Figlio suo Gesù Cristo".
Egualmente
degno di nota è il fatto che fra coloro che si impegnarono maggiormente nella
elaborazione della Dei Verbum c'era il giovane teologo Joseph Ratzinger,
la cui conoscenza e il cui apprezzamento di Newman sono stati ampiamente
dimostrati. Quindi, considerare Newman come uno dei padri del concilio non
significa soltanto attribuirgli un titolo "onorifico", ma celebrare il ruolo che
svolse nel doppio compito del concilio di ressourcement e
aggiornamento.
Sebbene, per Newman, il "metodo di personalizzazione"
trovi espressione e incarnazione normativa massime in Cristo, esso si estende
anche al "corpo dei fedeli, o chiesa, considerati dimora dell'unico Spirito
Santo: perché la Chiesa, il Corpo di Cristo, è investita di una responsabilità
metaforica ed è tenuta ad agire come unità, ai fini pratici di influenzare e
orientare la condotta umana". In questo si riconoscono chiare anticipazioni
della comprensione da parte del concilio Vaticano II del fatto che la Chiesa è
"in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento
dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano".
Nel
cercare, dunque, di recepire e di fare nuovamente nostro il concilio, John Henry
Newman può aiutarci a proposito del significato cruciale dell'espressione "in
Cristo". La sua generosità di spirito e il discernimento sensibile sono sempre
stati ancorati alla dedizione totale del cuore e della mente a Cristo, che ha
vivificato la sua preghiera e illuminato il suo cammino. La sua visione e il suo
pensiero potrebbero essere generosamente inclusivi, perché sono profondamente
radicati nell'unico Signore e Salvatore, Gesù Cristo. Sia Newman sia il concilio
Vaticano II proclamano con gioia Cristo come Lumen gentium, luce
delle nazioni. La loro inclusività cattolica deriva dal proprio credo
cristologico.