ENCICLICA PARLA NOZZA
Dalla riflessione di Benedetto XVI l’impegno a non ridurre la carità in
beneficenza
La
scuola del Papa:
non
basta dare,occorre amare
Il
direttore della Caritas italiana:
«Dal
Pontefice un richiamo al nostro essere Chiesa
Solo
se è radicato in Dio il dono di sé cambia la vita»
Di
Pierangelo Giovanetti
«La testimonianza della
carità è una dimensione costitutiva dell'essere cristiano. Senza amore
non si è cristiani. E vivere la carità non è solo «farsi prossimo»
agli ultimi e ai poveri (nel qual caso sarebbe soltanto una bella
filantropia), ma è amare, esprimere nella vita l'amore di Dio. Credo che
Benedetto XVI non aveva modo migliore per richiamarci ad una verità così
grande, che dedicando proprio la sua prima enciclica a Dio-amore».
L'ha letta tutta d'un fiato l'enciclica Deus caritas est, monsignor
Vittorio Nozza, direttore della Caritas italiana. «È un richiamo forte
anche al nostro essere Chiesa» - dice -. «Perché a volte ci fermiamo
all'annuncio e alla celebrazione dimenticando la dimensione della carità,
che è altrettanto costitutiva del nostro essere Chiesa in Cristo».
Monsignor Nozza, spesso si confonde il vivere la carità con il «fare
elemosina», riducendo tutto a beneficenza senza che cambi la vita.
L'enciclica su questo ha parole chiare.
«Certo, c'è molto da crescere anche nelle nostre comunità.
Benedetto XVI ci richiama a non esaurire la dimensione caritativa con il
soddisfacimento di beni, perché sarebbe assistenzialismo. Vivere la carità
vuol dire saper ascoltare l'altro, farsi carico dei suoi bisogni anche
immateriali, riempire d'amore la sua solitudine, condividere con lui la
strada, cercare insieme di dare senso al nostro cammino. Insomma, in una
parola, amare l'altro e imparare dall'altro ad amare. È evidente, quindi,
che non si risolve con un'offerta, pensando che il resto sia compito di
chi fa volontariato. Carità è un modo di vivere diverso, in ogni nostra
relazione».
A lungo si è sostenuto che è lo Stato a dover provvedere al
soddisfacimento dei bisogni dell'individuo. Ma secondo lei, lo Stato
riesce a soddisfare ciò di cui l'uomo ha bisogno?
«Se anche lo Stato soddisfacesse tutti i bisogni materiali della
persona, ci sarebbe sempre bisogno di cristiani e di uomini di buona
volontà pronti a dar e sapore alle relazioni, ad "umanizzare"
le situazioni di povertà, a stare al fianco di ammalati, immigrati,
carcerati, malati di mente, per portare insieme il peso della loro
sofferenza, farli sentire parte della società. Le relazioni umane non
sono delegabili allo Stato».
L'enciclica evidenzia che nella carità non si dà soltanto, ma si
riceve. È un rapporto biunivoco.
«Questo è molto importante, e spesso non lo teniamo presente. Le
persone che aiutiamo hanno un loro vissuto, e la loro presenza è un
richiamo alla nostra fragilità umana, alla nostra povertà. Ci
interrogano sul nostro modo di vivere, sulla qualità delle nostre
relazioni umane, sul fatto che ciascuno di noi si può trovare in quella
situazione. Ecco quindi che condividere con loro la sofferenza diventa
un'azione liberatoria anche per noi. A volte, anche noi cristiani abbiamo
la tentazione di riempire l'altro di cose come fosse un recipiente, non
accorgendoci invece che mette in discussione la nostra vita».
Benedetto XVI ha richiamato i politici a fare la loro parte, a creare
un giusto ordine della società e dello Stato. «Senza giustizia gli stati
sono solo una grande banda di ladri», dice il Papa.
«È un richiamo fortissimo quello del Papa ai politici. Già il
Concilio aveva ribadito che non si può dare per carità, ciò che va dato
per giustizia. Adesso Benedetto XVI lancia un forte monito perché le
autorità politiche facciano fino in fondo il loro dovere. Se non
sradichiamo le cause delle ingiustizie, possiamo fare tutte le offerte che
vogliamo ma non serve a niente. Se non si va a togliere alla radice ciò
che genera sfruttamento e ingiustizia, non serve a nulla dare un
contentino con un finanziamento a questa o a quell'opera. Pensiamo alle
politiche familiari: a cosa serve un intervento una tantum, se non
si garantisce una base di servizi sociali adeguati alla famiglia, se non
si fanno politiche familiari di lungo periodo. Stessa cosa per
l'immigrazione. Non serve a nulla fare un intervento per rimandare a casa
il singolo immigrato, se non si approntano politiche per favorire
l'integrazione di chi c'è».
Benedetto XVI ha anche parlato dei rapporti fra Stato e Chiesa,
ribadendo che la Chiesa non può e non deve mettersi al posto dello Stato.
Cioè non è compito della Chiesa fare battaglie politiche per realizzare
la società giusta.
«L'azione dell'uno non esclude quella dell'altro, ma anzi una è
complementare all'altro. Questo non va a detrimento dell'azione della
Chiesa, che è esperta di umanità. La sua specificità è proprio questa:
portare umanità anche dentro le buone cose che fa lo Stato. A volte la
Chiesa è chiamata ad esercitare un'azione di supplenza. Ma il suo compito
è quello della profezia. Del richiamare anche lo Stato, la politica,
tutti noi, a traguardi più alti, all'attenzione alle nuove povertà, ad
accorgersi dei problemi che ci sono nella società. È quello che anche
come Caritas cerchiamo di fare attraverso quelle che chiamiamo
"opere-segno", per indicare piste nuove, nuovi percorsi di
azione, nuovi stili per operare tra gli ultimi».
testo integrale tratto da "Avvenire" -
27 gennaio 2006