"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
CHIESA Scollamento
tra
gerarchia e fedeli di
Carlo Molari In
questi ultimi mesi diversi episodi hanno messo in luce lo scollamento
sempre più profondo che si sta creando nella chiesa cattolica italiana
tra i credenti e le gerarchie ecclesiastiche. Molti fedeli hanno reagito
con dichiarazioni private o pubbliche, con documenti presentati ai
parroci, con lettere inviate a giornali e riviste. In questo modo essi
hanno sentito il dovere di esprimere il dissenso di fronte ad alcune
decisioni delle autorità ecclesiastiche come la proibizione dei
funerali religiosi di Piergiorgio Welby (1945-2006), o l’opposizione
alla legge sul riconoscimento di alcuni diritti delle coppie di fatto.
Anche un editoriale della rivista diocesana di Bruxelles, Dimanches,
commentando il caso Welby ed esprimendo la meraviglia per la decisione,
ha scritto: «Sono numerosi coloro che hanno fatto notare lo shock delle
immagini: funerali religiosi per Pinochet e una chiesa sbarrata per il
signor Welby»... Si è di nuovo ascoltato: «Sono a disagio con
la mia Chiesa»» (Il Regno 2/2007, p. 67). Non
pochi hanno espresso la vergogna di appartenere ad una chiesa che nei suoi
vertici mostra grande insensibilità e procede senza tenere conto alcuno
delle opinioni di coloro che vivono l'esperienza di fede nel confronto
quotidiano con i problemi concreti dell'esistenza. Possibile, si
chiedono, che non valga nulla il senso di fede dei credenti e solo negli
uffici delle autorità lo Spirito trovi spazi per esprimersi? Molti
hanno anche presa la decisione di camminare per conto proprio, senza più
dare ascolto al Magistero, ormai screditato! Decisione insensata perché
nessuno nel cammino di fede è autosufficiente, ma decisione che
rispecchia la distanza abissale, che si sta creando in Italia tra la
gerarchia e tutti gli altri fedeli. Basta interrogare coloro che
gravitano attorno alle chiese, ascoltare le loro reazioni ai documenti
pubblicati o alle prese di posizione dei vertici ecclesiali per
toccarla con mano. È un grave problema non solo disciplinare, ma anche
teologico perché coinvolge i principi relativi alla verità della
chiesa e al modo di conoscerla. Le strutture, infatti, che non sono più
a contatto con il popolo credente non sono in grado di discernere i segni
dei tempi e di cogliere «ciò che è giusto» (Lc 12,57).
Lo
sfogo di un lettore Fra
le numerose lettere pervenute alla redazione di Rocca una
particolarmente lunga e articolata, che per questo è stata pubblicata
solo nella parte che mi riguarda (n. 4/2007, p. 8) affronta anche il
problema della verità nella chiesa. Il lettore (Francesco Maule di
Creazzo, Vicenza) parte da alcune esperienze compiute. È rimasto
colpito dalla reazione di un suo coetaneo che in seguito ai fatti recenti
ha chiesto di farsi cancellare dal registro dei battezzati manifestando
la rabbia e il disagio «nei confronti di una gerarchia ecclesiale che
nei suoi vertici sta facendo allontanare e faticare sia chi è già di per
sé lontano e critico, sia chi cerca di restare dentro un percorso e una
proposta di fede ... radicata in Cristo». Francesco, da parte sua,
esprime la convinzione che la gerarchia ecclesiastica «sembra oramai
viaggiare su dimensioni lontanissime da quelle su cui si misurano ogni
giorno persone serie, impegnate, profondamente radicate nella vita
evangelica». Essa, in questo modo, «a forza di insistere ed irrigidirsi
su posizioni talvolta assurde o quantomeno distanti da quelle che vivono
i cristiani di parrocchia, quelli sobri oppure radicali, sembra diventare
aliena e talvolta, purtroppo, quasi comica». Il lettore rievoca i
numerosi laici «che hanno strutturato le loro esistenze e le loro
interiorità
sui principi del Concilio Vaticano II» (cita la Costituzione Gaudium et
Spes, l'EnciclicaPacem in terris), in modo da vivere una fede adulta e
di testimoniare un cristianesimo che «sa misurarsi apertamente col 'mondo',
e non vi entra continuamente in conflitto, non insiste sulla differenza
pur essendone consapevole». Egli si chiede appunto se il sensus fidei dei
credenti corrisponda oggi a quello espresso dall'attuale gerarchia e in
tale modo giustifica i frequenti attriti e le gravi divergenze con il
mondo intellettuale e culturale. La possibilità di una fede adulta sta
proprio nelle opportunità quotidiane di conoscere la verità della
vita attraverso l'esperienza di fede. Il Concilio ne aveva affermato
!'importanza sostenendo che «la totalità dei fedeli che hanno ricevuto
l'unzione dello Spirito santo non può sbagliarsi nel credere manifesta
questa proprietà che gli è particolare mediante il senso soprannaturale
della fede in tutto il popolo, quando 'dai vescovi fino agli ultimi
fedeli laici' esprime l'universale suo consenso in materia di fede e di
costumi» (Lumen gentium n. 12 EV 1, 316). Il Concilio aveva citato la
prima lettera di Giovanni secondo la quale «voi avete ricevuto l'unzione
dal santo e tutti avete la scienza» (1 Gv 2,20). L’invito che
l'Apostolo fa ai fedeli è appunto quello di restare ancorati all'azione
dello Spirito perché, dice, in questo caso: «non avete bisogno che
alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è
veritiera e non mentisce, così state saldi in lui, come essa vi insegna»
(ib 27).
Domande
e riflessioni Forse
con un po' di esagerazione ma con fine ironia Francesco scrive: «A questo
punto, dopo un evento come Verona con gli esiti che ha portato, mi sembra
siamo giunti ad una posizione più tragica del preconcilio, quando i
laici erano tagliati fuori; almeno erano chiaramente fuori dai processi
di riflessione, decisione e azione della Chiesa. Ora invece siamo al
delirio: ti fanno credere di essere coinvolto, di ascoltare, di
partecipare, di essere parte del processo, in realtà gli esiti mostrano
lo scollamento, la distanza, il non ascolto. In questo modo è difficile
se non impossibile reagire, perché possono dire 'ma c'eravate anche voi,
i vostri delegati' e giù percentuali e documenti etc etc.». Aggiunge
poi amaramente: «Credo che oggi un cristiano di 'frontiera'
paradossalmente faccia più fatica a trovare le ragioni del confronto
verso l'interno che non verso l'esterno, sia questo la cultura laica'
credente in maniera diversa' o quella delle altre religioni». Infine
rivolgendo alcune domande ai teologi che scrivono su Rocca, scrive: «Come
mantenere l'equilibrio e la fedeltà all'interno di questo quadro? Come
non lasciarsi schiacciare dalla propria (la mia) visione pessimistica o
meglio di fatica e sofferenza per una chiesa che potrebbe affascinarmi e
affascinare e che nelle sue gerarchie sembra impedire sempre più al
volto del Risorto di illuminare le vite ferite delle persone e della
storia di oggi? Vi sembra questo sia un periodo più buio di altri (io
vivo di riflesso quello che può aver dato il concilio Vaticano II alla
Chiesa) o siamo nella norma e devo imparare ad adattarmi?». Comincio
rispondendo all'ultimo interrogativo espressione più di uno stato d'animo
amaro che di una esatta valutazione storica. Non direi che siamo al
preconcilio perché la situazione ecclesiale degli anni '50 nell'ultima
fase del Pontificato di Pio XII era caratterizzata da una pesantezza ora
difficilmente immaginabile. Quello che venne chiamato lo splendido
isolamento di Pio XII (morto il 9 ottobre 1958), che non si fidava più di
nessuno e aveva allontanato anche Montini a Milano senza nominarlo
Cardinale. Dopo l'Enciclica Humani Generis (12 agosto 1950, Ench. Enc.
6, nn. 701-743) e l'opposizione alla théologie nouvelle che negli anni
precedenti aveva condotto all' emarginazione dei domenicani D. M. Chenu
e Y. Congar e poi all'allontanamento dalla scuola anche del gesuita P. De
Lubac, il clima ecclesiale era caratterizzato da diffusi sospetti. No!
Non siamo tornati al preconcilio. La maggioranza della chiesa è ancora
sotto l'influsso delle scelte conciliari e i passi avanti sono
definitivi. I mezzi di comunicazione non sempre lo rilevano perché
riportano solo le decisioni dei vertici ecclesiali e non sono attenti al
cammino reale della Chiesa. Chi non vi ha accesso non può far sentire la
sua voce. Resta vero che nella chiesa italiana il cammino postconciliare
è stato fortemente rallentato negli ultimi decenni e gli episodi
recenti hanno messo in luce un distacco al limite della crisi tra i
vertici e la stragrande maggioranza del popolo credente. Ma non per
questo ci si deve adattare alla situazione attuale come necessaria e
soprattutto permanente. Occorre reagire nella consapevolezza di un
prossimo futuro possibile che occorre però preparare perché possa
fiorire. Se il clima della chiesa italiana è oggi pesante e inquinato può
essere certamente purificato. È necessaria la pazienza del tempo e nel
frattempo occorre lavorare con tenacia per rendere possibile
l'irruzione del nuovo. Se Congar o De Lubac o Rahner avessero abbandonato
la chiesa per le restrizioni subite al loro tempo, il Vaticano II non
avrebbe prodotto i frutti che tutti possono ancora sperimentare. La
speranza attuale non sta nelle nostre forze ma nella potenza dello
Spirito, cioè della Vita e della Verità, nella efficacia del Vangelo di
Cristo. Chi lo vive con fedeltà è in grado di far esplodere tutta la sua
energia e di far fiorire il futuro diverso. Carlo
Molari
testo integrale pubblicato da "Rocca" n. 07 - 1 aprile 2007 |