"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
Musulmani, le prove da superare di Vittorio MessoriParole
importanti, quelle di Benedetto XVI sulle «popolazioni d'Asia e
d'Africa» che si sentono minacciate da una cultura come quella
dell'Occidente che, cinicamente, nulla considera sacro, sulla
base di una ragione che degenera in razionalismo, di «un
drastico illuminismo e laicismo». L'agnosticismo, l'ateismo,
il rifiuto della religione: questo, non il cristianesimo autentico,
sarebbe causa di sgomento per le altre culture. Parole
importanti, dicevamo; ma che nel breve spazio di un'omelia non
possono esaurire un quadro complesso, dove ogni schematismo
sarebbe abusivo. Ovviamente, quello straordinario teologo che
è Joseph Ratzinger è il primo a esserne consapevole. A
Monaco, non ha nominato esplicitamente l'islam, ma su di esso
si è appuntato subito l'interesse dei commentatori. Ebbene,
per quanto riguarda i musulmani (diverso sarebbe il discorso
per altre religioni) non va dimenticato che, in Medio Oriente
e altrove, c'è una endiadi indissolubile, contro la quale si
indirizza l'odio dei musulmani: «giudei e crociati».
Crociati: dunque, eredi di una cristianità medievale che
ancora nulla sapeva di secolarizzazione. L'islam, poi, è
unito dall'orrore per quel crocifisso che in Occidente gli
immigrati vorrebbero far sparire dai muri di scuole ed uffici
pubblici. La sua vista è intollerabile. In quel segno, in
effetti - che è il cuore del cristianesimo che il
razionalismo rifiuta - c'è quanto più indigna un credente nel
Corano: l'idea che Allah, il Radicalmente Uno, l'inaccessibile,
possa avere un Figlio e che questi muoia nel modo disonorante
degli schiavi. Gli
esempi potrebbero continuare, per confermare come, nei secoli,
l'ostilità anticristiana fu tanto più viva, quanto più
l'Occidente si ispirava al Vangelo e non al cosiddetto «libero
pensiero». Per prendere dall'oggi un solo particolare, nei
Paesi a maggioranza musulmana è vietato al clero cristiano quanto
rappresenta, da noi, il segno di una religiosità anti-modernista: indossare
in pubblico, cioè, la talare o il saio. Per
andare oltre: non sono pochi coloro che pensano che proprio quel
«drastico illuminismo e laicismo» denunciati, giustamente,
da Benedetto XVI spaventino sì gli islamici consapevoli, ma
perchè vi individuano un pericolo che per essi potrebbe
essere mortale. In effetti, l'Occidente moderno ha distillato
dei veleni ma (sarebbe ingiusto e antistorico negarlo) ha
affermato anche dei valori. Da oltre due secoli, questo
Occidente ha fatto passare la «sua» religione attraverso un
crogiolo arroventato. Un dramma, certo, ma che ha portato pure
a risultati positivi. Sul piano socio-politico le Chiese, in
particolare quella cattolica, hanno visto sradicata
violentemente la simbiosi con il potere secolare. La fine
dell'Ancien Régime ha provocato una crisi che ha potuto
essere superata grazie all'evangelico «date a Cesare quel che
è di Cesare, a Dio quel che è di Dio». Sul piano teologico,
l'aggressione si è concentrata sulle basi stesse, sulla
storicità della Scrittura, in particolare del Nuovo
Testamento. Anche qui, i credenti hanno retto all'urto: i testi
sacri, per loro, sono ispirati da Dio ma redatti dall'uomo,
sono al contempo infallibili nella sostanza e faIlibili per
quanto riguarda la redazione, che ha obbedito a diversi generi
letterari. C'è
una «elasticità» del cristianesimo (retto dalla legge dell'et-et,
non da quella dell'aut-aut), c'è una sua capacità genetica di
adattamento che manca del tutto all'islamismo. Relegata da oltre
un millennio quasi solo nella zona attorno ai Tropici, con sei
secoli in meno rispetto alla fede nel Vangelo, quella nel
Corano non conosce separazioni tra sfera religiosa e secolare,
tra teologia e diritto, tra credo e politica. Non conosce e
non può conoscere frattura tra temporale e spirituale: la
Umma, la comunità dei credenti, deve coincidere con la
comunità intera. Nata da e per antiche tribù, quella fede è
un blocco, per essa la fine dell'Ancien Régime significherebbe la
fine della religione, dipendente com'è da legalismi e da
interdetti che le sono essenziali. La mancanza, poi, di una
gerarchia, di un'autorità religiosa normativa per tutti i
credenti rende ancor più inestricabile il legame con le autorità
politiche. La diaspora, alla lunga, le è fatale. La
«rigidità» musulmana si manifesta anche nella sua fonte
dottrinale: il Corano è intoccabile, ogni sua parola è stata
dettata a Muhammad dall'arcangelo Gabriele come «portavoce»
fedelissimo di Allah, la sua intangibilità è tale da far
considerare come blasfema ogni traduzione dall'arabo antico.
Che accadrà, quando la Scrittura musulmana sarà passata
all'impietoso vaglio critico occidentale cui è sottoposta, da
ormai due secoli, la Scrittura ebraico-cristiana? Quale
credibilità conserverà quel testo, s Veleni
l'«illuminismo e il laicismo drastici»? Ci mancherebbe, per
un cristiano lo sono. Ma ad essi, malgrado tutto, la fede è
sopravvissuta. Spesso, anzi, ne è stata purificata. Avverrà
lo stesso per l'islam che vi si immerge ora? La domanda è giustificata.
testo integrale pubblicato da "Corriere della Sera" - 11 settembre 2006 |