Un
no secco all'eutanasia, una chiusura senza se e senza ma. Nella
prolusione al Consiglio permanente della Conferenza episcopale
italiana, il presidente Camillo Ruini è tornato alla grande sulla
scena politica, dalla quale mancava praticamente dal Convegno
Ecclesiale di ottobre.
E
lo ha fatto battendo su temi un po' scontati e attesi, come il no
ai Pacs e la conferma della linea dura sulle staminali, con in aggiunta
un'inattesa apertura al Governo sulla Finanziaria e un occhio di
favore a ipotesi di larghe intese.
Ma
la novità forte c'è stata sull'eutanasia, da leggere soprattutto
come risposta all'intervento sul Sole-24 Ore di domenica del
cardinale Carlo Maria Martini, che ha pronunciato un netto no
all'accanimento terapeutico. Un intervento, quello dell'Arcivescovo
emerito di Milano, che è rimbombato ieri nelle stanze della Cei
di Via Aurelia e che ha portato a rivisitare il testo della
prolusione di Ruini. Infatti l'eutanasia, prima del caso di
Piergiorgio Welby, era rimasta quasi sempre sullo sfondo, mentre
ora entra di forza nell'agenda politica di Ruini che, dopo ieri,
non appare in uscita a breve dalla guida della Cei.
«Un
punto essenziale, sul quale sembra esservi un ampio consenso, è
il rifiuto dell'eutanasia, quali che siano i motivi e i mezzi, le
azioni o le omissioni, addotti e impiegati al fine di ottenerla.
Al tempo stesso è legittimo rifiutare l'accanimento terapeutico,
cioè il ricorso a procedure mediche straordinarie che risultino
troppo onerose o pericolose per il paziente e sproporzionate
rispetto ai risultati attesi. La rinuncia all'accanimento
terapeutico — ha detto il cardinale, che al tema ha dedicato una
delle 12 cartelle della prolusione — non può giungere però al
punto di legittimare forme più o meno mascherate di eutanasia e
in particolare quell'abbandono terapeutico che priva il paziente
del necessario sostegno vitale».
Il
presidente della Cei ha citato il caso Welby definendo «sofferta»
la decisione del Vicariato di non concedere i funerali religiosi.
Un decisione che «nasce dal fatto che il defunto, fino alla fine,
ha perseverato lucidamente e consapevolmente nella volontà di
porre termine alla propria vita: in quelle condizioni una
decisione diversa sarebbe stata infatti per la Chiesa impossibile
e contraddittoria, perché avrebbe legittimato un atteggiamento
contrario alla legge di Dio».
Ruini
ha argomentato lungamente il tema. «La volontà del malato,
attuale o anticipata o espressa attraverso un suo fiduciario
scelto liberamente, e quella dei suoi familiari, non possono avere
per oggetto la decisione di togliere la vita al malato stesso. Va
inoltre salvaguardato il rapporto, personale e in concreto
sommamente importante, tra il medico, il paziente e i suoi
familiari, come anche il rispetto della coscienza del medico
chiamato a dare applicazione alla volontà del malato, e più in
generale della deontologia medica. «In questa materia tanto
delicata — ha ribattuto il presidente della Cei — appare
dunque una norma di saggezza non pretendere che tutto possa essere
previsto e regolato per legge. Sono altrettanto importanti e
doverose le terapie che attenuano la sofferenza e una vicinanza
affettuosa e costante ai pazienti e alle loro famiglie».
Ruini
ha poi ribadito la contrarietà della Chiesa cattolica ai Pacs e
alle unioni di fatto: i diritti dei conviventi e dei loro figli
sono già assicurati dal «diritto comune», ha detto. Non c'è
motivo di «creare un modello» legislativo che «configurerebbe
qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti non
corrisponderebbero uguali doveri». Il cardinale ha osservato che
alcune coppie gay spingono per i Pacs, «con cui intenderebbero
aprire la strada per il matrimonio» omosessuale. «Una simile
rivendicazione — ha proseguito — contrasta con fondamentali
dati antropologici e in particolare con la non esistenza del bene
della generazione dei figli, che è la ragione specifica del
riconoscimento sociale del matrimonio».
Qui
Ruini è entrato nel capitolo famiglia: l'adozione del «quoziente
familiare» consentirebbe politiche di «sostegno organico» a
un'istituzione che, nonostante svolga un ruolo centrale, non
riesce a invertire «la gravissima crisi della natalità, che
minaccia il futuro del nostro Paese». Da qui l'invito a sostenere
praticamente la «famiglia legittima fondata sul matrimonio»,
rimuovendo anche «tutti gli ostacoli di ordine pratico» o
giuridico che dissuadono i giovani dal matrimonio.
Poi
l'apertura al Governo Prodi: «La legge finanziaria dovrebbe
contribuire non poco al risanamento del debito», ha detto,
sottolineando che la manovra ha avuto tuttavia «un percorso
eccezionalmente tribolato e una conclusione che, per la sua forma
e modalità, ha preoccupato lo stesso Presidente della Repubblica,
oltre ad aver sollevato le pubbliche proteste di numerose e
diverse categorie di cittadini».
Secondo
Ruini, «assai variegati e segnati da molteplici fatti e
circostanze sono stati in questi mesi il cammino e la situazione
dell'Italia. Sul versante economico e sociale si sta sviluppando e
consolidando — ha detto—la ripresa, di cui già si avevano
avuti da qualche tempo i primi segnali. Con la ripresa, ulteriori
e significativi risultati positivi si registrano sul fronte
dell'occupazione, sebbene purtroppo la percentuale dei senza
lavoro sia ancora tripla nel Mezzogiorno rispetto al Settentrione».
Eppoi l'accenno, neanche troppo velato, a grandi intese politiche:
Governo e opposizione, «senza confondere i ruoli», dovrebbero «uscire
dalle contrapposizioni fini a se stesse» e cercare lo «sviluppo
complessivo e solidale dell'Italia», a partire dalle riforme
elettorale e costituzionale.