Hamas-Fatah,
il bacio sulle barbe
di Igor Mann
L’accordo
fra Al Fatah (i palestinesi nati dalla costola laica di Arafat) e Hamas
(i palestinesi religiosamente legati all’irredentismo foraggiato dalla
Teocrazia iraniana) è stato firmato ieri alla Mecca.
Sancisce la decisione, definita «storica», di formare un governo
palestinese di unità nazionale. Il sospirato accordo, fermissimamente
voluto dal Sovrano dell’Arabia Saudita, Abdallah, stabilisce che il
nuovo esecutivo «rispetterà le risoluzioni dell’Onu e gli accordi
firmati in passato dall’OLP». Codesti accordi si riassumono, in
fatto, nel riconoscimento di Israele che, a sua volta, implica la
rinuncia alla violenza, giusta la nutrita serie di risoluzioni delle
Nazioni Unite.
Habemus pacem finalmente? Niente affatto.È un accordo di mettersi
d’accordo. Perché palestinesi laici e palestinesi religiosi sono
entrambi stremati.
Nel mondo islamico, in quello arabo in particolare, è tremendamente
importante non perdere la faccia. Come poteva Hamas (cui pesa assai la
contrapposizione armata con Al Fatah) rinnegare «ufficialmente» la sua
ragion d’esistere, quella di distruggere Israele? Ci vollero anni e
anni, invero difficili, per convincere Arafat a «riconoscere» Israele,
segnando una svolta storica davvero, che vedemmo giorno dopo giorno
farsi sempre più problematica sino a dissolversi nello scontro, nel
sangue. Furono spesi milioni di dollari e oceani di parole dopo gli
accordi di Oslo, un primo passo, rozzo finché si vuole, ma chiaramente
in direzione d’una pace in buona e dovuta forma.
L’assassinio di Rabin uccise con lui ogni speranza di pacifica
convivenza di due Stati in Terra Santa: uno ebraico, uno palestinese. La
politica a zigzag di Sharon, una sorta di venefica doccia scozzese irta
di contraddizioni tanto da risultare alla fine indecifrabile, non
soltanto ha sparigliato le carte ma, più grave ancora, ha fatto da
diabolica flebo iniettando nelle vene di Hamas sete di violenza e
bulimia politica. Stando così le cose e non potendo, né Al Fatah né
Hamas, dir no a re Abdallah che è sì oggetto di ampio rispetto ma
anche accorto distributore, spesso generoso, di Dollari, s’è fatto
ricorso a una pratica esclusivamente araba, quella del sottinteso. Il
fatto che Hamas concordi con Al Fatah di mettersi insieme per governare,
sottintende che Hamas «prende atto» contestualmente degli accordi
internazionali via via sottoscritti da Arafat e dai suoi successori; così,
in blocco. «Compri uno, prendi tre». Nel «tre» per «uno» quest’ultimo
è il riconoscimento «de facto» di Israele.
Stringendo la mano di Khaled Meshaal (Hamas) sotto l’occhio
compiaciuto di re Fahd, il pacifico palazzinaro Abu Mazem avrebbe detto
qualcosa di molto arabo al leader di Hamas. Qualcosa come «a Dio
piacendo tutto ritornerà come nulla fosse accaduto tra di noi». Una
variante dell’espressione araba bos ilha che significa «baciarsi le
barbe». Venne fuori subito dopo la strage dei fedayn a opera dei
beduini di re Hussein, nel Settembre Nero del ’70, e ha funzionato non
poche volte: seppelliti i morti, i leaders si sono abbracciati e baciati
(«sulla barba») risolvendo all’araba anche terribili vertenze.
Poiché, tuttavia, il problema per ambedue le fazioni palestinesi è
quello di una boccata d’ossigeno (tradotta in dollari fa un miliardo
di verdoni) gli antagonisti formalmente riappacificati dal munifico Re
dei Re, custode insigne dei Luoghi Sacri dell’islam concordano sulla
necessità di accordarsi. In fatto sarà una tregua, forse di lunga
durata, durante la quale ognuno dei due schieramenti cercherà di
plagiare l’altro. Hamas non vuole (forse non può legata mani e piedi
com’è a Teheran e a Damasco) rinunciare al suo crespo disegno:
combattere costi quel che costi Israele, uno o trent’anni, non
importa, per infine «cancellarlo dalla faccia della Terra». Riesce
difficile pensare che il pacioso Abu Mazem segua Hamas su codesta
perigliosa strada. Non ci stupiremmo se più prima che poi egli si
spogliasse d’ogni veste ufficiale riparando in Svizzera.
Hamas, converrà ripeterlo, «nasce bene»; come associazione impegnata
nell’assistenza dei diseredati giusta la predicazione di Maometto.
Hamas, acronimo di Harakat al-Mukawma al-Islamiya (movimento di
resistenza islamica) è stata creata, nella metà degli Anni 80, come
movimento culturalreligioso in competizione con la laica Olp. E mentre
il movimento palestinese, orfano del misirizzi Arafat, è alla patetica
ricerca d’un leader che sappia conciliare dignità e sovranità
nell’ambito della ineluttabile convivenza con Israele, i quadri del
gruppo più importante, Al Fatah, appaiono in piena crisi esistenziale.
Frastornati da un irredentismo suicida che subisce il fascino del
verbalismo antisemita della dirigenza iraniana, i più accorti tra gli
za’im palestinesi sono alla ricerca di un Mandela palestinese. Molti
lo identificano in quel Marwan Barghouti che pur schiacciato da quattro
ergastoli «comunica» con la sua gente a dispetto del carcere di
massima sicurezza. In fatto grazie agli israeliani che lasciano che i
suoi messaggi escano dalla cella per diffondersi in tutta la Palestina
storica. (Gli incidenti di ieri sulla Spianata dei Templi, il luogo che
accese il rogo della prima intifada, hanno all’origine un vecchio
contenzioso stradale, erano per così dire annunciati).
A quanto se ne sa, nell’attuale leadership israeliana, angustiata da
scandali sul tipo dei nostri, ma spasmodicamente impegnata a passare a
setaccio tutta la già impeccabile struttura militare inopinatamente
messa in difficoltà dagli «straccioni» di Hezbollah; nella camera dei
bottoni, a Gerusalemme va e viene la tentazione di considerare con un
grano in più di pragmatismo l’eventuale spendibilità della «carta
Barghouti». Anche a Israele «l’accordo per un accordo» siglato
enfaticamente alla Mecca, può giovare. Perché una tregua la produrrà.
Una pausa di riflessione fa comodo a tutti. Ma ogni ragionevole scenario
politico rischia di rimaner soffocato da un inedito cappio: il cordone
ombelicale con cui Teheran alimenta le masse arabe predicando rivolta
continua nel segno d’un Califfato del Tremila. Vendicatore delle
Crociate degli infedeli.