Nella
nostra società aperta è essenziale essere in grado di
distinguere un acceso dibattito, fondato su rispettabili
differenze di opinioni, dall´uso reiterato di argomentazioni
false e fuorvianti al fine di persuadere il popolo americano. L´integrità
è la linfa vitale della democrazia. L´inganno è un veleno che
scorre nelle sue vene.
Principio fondamentale di ogni democrazia rappresentativa è che
il popolo abbia fiducia nel proprio governo. Se i nostri leader
tradiscono questa fiducia, tutte le nostre parole di speranza e di
ottimismo e tutte le nostre promesse di progresso e di giustizia
non potranno che suonare come falsità alle orecchie della nostra
gente e del mondo intero, e i nostri obiettivi non potranno mai
essere raggiunti.
Questa Amministrazione è tristemente venuta meno al rispetto
delle regole basilari che garantiscono un dibattito politico
chiaro e limpido. Su ogni questione dice una cosa al popolo
americano e ne fa un´altra. Inventa ripetutamente «fatti» per
poter più legittimamente attuare i programmi predeterminati nella
sua agenda. Questo schema è stato seguito sin dai primi giorni
del presidente Bush alla Casa Bianca, e il risultato è che si è
venuto a creare il maggior deficit di credibilità dai tempi di
Richard Nixon.
Negli ultimi mesi è divenuto sempre più chiaro che l´amministrazione
Bush ha mentito sulla minaccia rappresentata per la nazione dal
regime iracheno. A un anno dall´inizio della guerra gli americani
continuano a chiedersi perché l´Amministrazione abbia deciso di
intervenire in Iraq, sebbene questo Paese non costituisse un
pericolo reale, sebbene non possedesse armi nucleari, chimiche o
biologiche, sebbene non avesse concreti legami con Al Qaeda né
collegamenti con gli attacchi terroristici dell´11 settembre.
Tragicamente, prendendo la decisione di entrare in guerra, l´amministrazione
Bush si è aggrappata alla sua ostinata ideologia per occultare la
fredda e dura evidenza: l´Iraq non rappresentava una minaccia
immediata. Ha ingannato il Congresso e il popolo americano, poiché
era conscia del fatto che non avrebbe ottenuto l´autorizzazione
alla guerra da parte del Congresso qualora fosse stato a
conoscenza della reale situazione.
Con la guerra in Iraq, fondata dunque su un inconsistente
pretesto, il presidente Bush ha trascurato la vera guerra al
terrorismo, concedendo ad Al Qaeda due anni, ben due anni, per
riorganizzarsi e riassestarsi nelle regioni di confine dell´Afghanistan.
Come dimostrano gli attentati di Madrid e altri recenti eventi, Al
Qaeda si è servita di questo tempo per dislocare cellule in tutto
il mondo e creare legami con numerosi gruppi terroristici di altri
Paesi.
Con la guerra in Iraq abbiamo inoltre deteriorato i rapporti con i
nostri alleati storici in tutto il mondo, non considerando che il
loro aiuto è per noi di fondamentale eurgente importanza sia
sotto il profilo militare, sia per quanto concerne l´intelligence
e più in generale il rispetto della legalità. Abbiamo
accresciuto l´odio nei confronti dell´America e contribuito a
rendere la guerra al terrorismo ancora più difficile da vincere.
La nostra politica estera versa in una crisi strutturale, molto
pericolosa. Abbiamo perso il rispetto delle altre nazioni del
mondo. Come possiamo ricostruirlo? Come possiamo riprendere a
lavorare con gli altri Stati per vincere la guerra al terrorismo e
far prevalere gli ideali che condividiamo? Possiamo forse
aspettarci che lo faccia il presidente Bush? Lui è il problema,
non certo la soluzione. L´Iraq è il Vietnam di George W. Bush e
questo Paese ha bisogno di un nuovo Presidente.
E´ chiaro che la prima vittima della guerra è stata la verità.
Ma l´atteggiamento equivoco e mellifluo di questa Amministrazione
non si limita alle questioni di guerra e pace. E´ stato
ampiamente dimostrato come sia parte integrante di tutta l´azione
politica del Presidente, sia interna sia estera. In questa
Amministrazione, la verità è la prima vittima della politica.
Questa tattica è una delle arti apprese dall´odierna Casa Bianca
dalle battaglie politiche dei primi Anni Novanta. Il popolo
americano nell´ultimo decennio non ha mai dato fiducia ai
programmi dell´estrema destra repubblicana quando essi sono stati
esposti in modo chiaro e diretto. Persino molti di coloro che
avevano contribuito al trionfo di Newt Gingrich nel 1994
guardarono con costernazione al modo in cui il crudo estremismo
della leadership repubblicana al Congresso intimoriva e respingeva
gli elettori.
Sfortunatamente gli strateghi repubblicani non hanno imparato ciò
che avrebbero dovuto da quell´esperienza. Durante la campagna del
2000 l´America ha conosciuto un candidato presidente che ha
promesso che la politica estera statunitense sarebbe stata quella
di una «umile nazione», non di una «nazione arrogante». Si è
presentato come un conservatore, ma ha promesso che sarebbe stato
un «conservatore compassionevole». Ha promesso di venire
incontro alle pressanti richieste degli anziani volte ad ottenere
il rimborso delle spese mediche tramite il Medicare.
Che fine hanno fatto tutte queste promesse? Una volta giunto alla
Casa Bianca, George Bush in politica estera si è dimostrato
arrogante, tutt´altro che umile; in politica interna si è
rivelato conservatore, tutt´altro che compassionevole. Ormai è
chiaro, il linguaggio rassicurante della campagna elettorale del
2000 non era altro che un cavallo di Troia cinicamente costruito
per portare l´estrema destra repubblicana alla Casa Bianca.
Gran parte del dibattito di queste ultime settimane è stato
incentrato sugli inganni del Presidente sull’Iraq e sulla guerra
al terrorismo. Richard Clarke ha svelato la verità sulle gravi
leggerezze dell´Amministrazione che pure era a conoscenza della
terribile e crescente minaccia terroristica prima dell´11
settembre.
E´ stata inoltre fatta chiarezza sulle errate valutazioni del
Presidente sull’Iraq. La scriteriata guerra irachena ci ha fatto
perdere di vista la vera guerra che dobbiamo vincere, e anzi la ha
resa maggiormente insidiosa, lasciando l´America sempre più
isolata nel mondo.