"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
IL
FATTO Locri,
una cooperativa Il progetto Policoro finito nel mirino di 'ndrangheta e massoneria deviata Sabotaggi
e intimidazioni all’azienda agricola che ha rotto Dal Nostro Inviato A Locri Paolo Lambruschi Una lunga catena di morte, 26 omicidi di mafia, avvolge da due anni e mezzo la Locride. Il più famoso dei quali, l'uccisione il 16 ottobre 2005 in pieno centro a Locri del vicepresidente del consiglio regionale Francesco Fortugno, provocò una rivolta giovanile. Altri delitti sono stati commessi in contrade vicine ai terreni della cooperativa agricola diocesana «Valle del Bonamico», oggetto a sua volta di sabotaggi e intimidazioni. Ora qualcuno vuole fermare questa realtà vivace, progettata dalla diocesi, inserita nel progetto Policoro, che produce frutti di bosco e vino biologico in piena zona di 'ndrangheta, il triangolo Platì-San Luca-Careri, dando lavoro anche a detenuti e figli di mafiosi. Due facce di una situazione pesante che ha portato il vescovo Giancarlo Bregantini a lanciare il 24 marzo scorso una scomunica ai mafiosi per gli attentati contro la vita e il lavoro dell'uomo. Gli hanno risposto la notte di sabato 8 aprile con l'ennesimo sabotaggio contro l'azienda «Frutti del sole», socia della «Valle del Bonamico», parte del consorzio diocesano Goel. Le indagini non hanno ancora dato esito. Ma stavolta a Locri dopo la rituale solidarietà al vescovo, è partita anche una campagna di veleni. C'è chi, come la vicepresidente della commissione nazionale antimafia Angela Napoli, polemizza con la diocesi che impiega ex detenuti e parenti di mafiosi e non approva il finanziamento di 50mila euro stanziato dalla giunta regionale. Altri articoli apparsi sulla stampa locale gettano ombre sui danni effettivi subiti e criticano le donazioni giunte al Goel da privati e banche dopo il primo attentato del 22 marzo. Per capire qualcosa sui misteri di questo lembo di Calabria ionica, terra di cosche potenti come quella dei Cordì, giova ricordare una vecchia storia, quella della Omc. Era la fabbrica di moto di Locri che nel 1930 arrivò ad assumere 250 operai. Gli affari andavano bene, era la prima volta che un progetto industriale attecchiva in queste terre. Ma il proprietario all'improvviso non riuscì più ad avere credito dalla banca locale per pagare il debito di 300mila lire dovuto all'investimento iniziale. Ebbe un bel dire ai giudici del Tribunale fallimentare che bisognava aspettare qualche mese. Dovette chiudere. Così avevano deciso i notabili locali, i banchieri che gli avevano prestato i soldi e li rivolevano indietro subito. Perché? Dava fastidio vedere 250 famiglie affrancarsi dall'assistenzialismo e dalla miseria per diventare libere. Va aggiunto un particolare utile. I notabili erano fratelli massoni perché la Calabria è la seconda regione italiana dopo la Toscana, secondo una ricerca Eurispes, per presenza massonica. Borghesia latifondista e redditiera, parassitaria direbbe qualche storico, ingrassata con l'esproprio delle proprietà ecclesiastiche. Nella seconda metà del 900 la Calabria, in particolare Locri, città che vive grazie al pubblico impiego e dove la disoccupazione giovanile tocca il il 75%, sono state svuotate dall'emigrazione che tuttora continua. La Caritas diocesana l'anno scorso ha dovuto aiutare più di 600 famiglie ad arrivare a fine mese e segnala l'aumento dei casi di usura. Ma i «frammassoni», sempre nell'ombra, sono rimasti qui, eccome. Una parte ha deviato alleandosi con la 'ndrangheta, che dopo la stagione dei sequestri ora ha scelto il narcotraffico e il traffico d'armi, riciclando i proventi al Nord. Una consorteria, un tumore che soffoca lo sviluppo di questo Sud isolato e povero. Nel 2006 per arrivare a Reggio Calabria (90 km) ci vuole un'ora e mezzo di auto, i collegamenti ferroviari di lunga percorrenza sono stati tagliati. E il turismo, nonostante il mare e la natura incontaminata dell'Aspromonte o meraviglie monumentali come Gerace, funziona solo ad agosto, quando tornano i paesani emigrati. Da dieci anni ci prova la Chiesa di Locri a rompere i vecchi schemi attraverso il progetto Policoro, avviando un consorzio di cooperative e puntando sulla parte sana della società. E ora sta dando fastidio . Perché opera in tanti campi, dall'agricoltura al riciclo dei rifiuti, dai servizi sociali al commercio equo. Vince appalti pubblici danneggiando interessi consolidati. Impiega mille persone e, per dare un'idea, in provincia solo il porto di Gioia Tauro ne impiega duemila. Toglie l'acqua al pesce, dando lavoro e un'alternativa legale a chi vive in piccoli borghi di 'ndrangheta dove tutti sono imparentati. «Essere onesti qui spesso è anomalo - spiega Enzo Linarello, presidente di Goel e delegato diocesano per la pastorale del lavoro - e noi saltiamo la logica dell'appartenenza. In questo sistema, se non sei di qualcuno fatichi per avere certificati che ti spettano di diritto e sei fuori dagli appalti. Il mercato pubblico in Calabria rimane il più importante, ben 2420 milioni di euro nel 2004, oltre il 250% in più rispetto al 2002. Senza contare le richieste di tangenti, di assunzioni e scambi di favori. La politica? Il voto di scambio è trasversale, i voti hanno seguito esponenti politici passati da uno schieramento all'altro, a tergicristallo». Concetti ribaditi dal consorzio nel documento «Etica e sviluppo locale», redatto dopo l'omicidio Fortugno, considerato il salto di qualità di queste «strutture di peccato», in cui mafia e massoneria deviata si sono saldate «con un indotto di cortigiani e comitati d'affari organici o collusi». Che prendono di mira la «Valle del Bonamico» perché è in prima linea. «Siamo il classico granello di sabbia nell'ingranaggio - aggiunge il presidente della cooperativa, Piero Schirripa, medico, cooperatore fin dagli anni 70 - offriamo lavoro e siamo sani. In cinque anni siamo passati da 2 a 40 ettari di terreno, impiegando 600 persone. Certo, con noi lavorano anche figli di note famiglie mafiose. Che hanno visto la vita di violenza e paura offerta dalla 'ndrangheta e hanno deciso di tagliare il cordone ombelicale. La miglior risposta l'ha data il presidente di Confindustria calabrese, chiedendo di diventarne socio. Noi offriamo rispett abilità, non rispetto, onorabilità e non onore». A Locri la posta in gioco è alta, questa gente lotta per poter camminare da sola, libera da violenza e prepotenza.
testo integrale tratto da "AVVENIRE" - 13 aprile 2006 |