"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

"Stiamo perdendo la guerra in Iraq" Gates ribalta la linea degli Usa
di Alberto flores d´arcais

NEW YORK - «Stiamo vincendo la guerra in Iraq?». «No, Sir». Robert M. Gates non ha usato mezzi termini. Quando il senatore democratico Carl Levin gli ha posto la domanda il nuovo ministro della Difesa Usa non ha usato quei giri di parole con cui la Casa Bianca cerca di mascherare una realtà amara. «Questo è il mio punto di vista, yes, Sir», ha ripetuto poco dopo, quando un senatore repubblicano, John McCain, ha domandato a sua volta: «Non stiamo vincendo la guerra in Iraq, giusto?». Prima di entrare ufficialmente al Pentagono Robert Gates ha dovuto affrontare l´audizione al Senato e davanti ai membri della commissione Forze armate ha risposto alle domande sulla guerra, sul nucleare iraniano, sul dialogo con i paesi arabi e sul terrorismo: con parole che hanno di fatto sconfessato tre anni di operato del suo predecessore Donald Rumsfeld. Come vanno le cose in Iraq? «Quello che stiamo facendo non è soddisfacente. Quanto riusciremo a fare nel prossimo paio di anni determinerà se il popolo americano, quello iracheno e il prossimo presidente degli Stati Uniti si troveranno di fronte a un lento e stabile miglioramento della situazione in Iraq e nella regione oppure se dovranno affrontare il rischio di una conflagrazione regionale». Erano sufficienti le truppe all´inizio della guerra? «Nella fase iniziale dell´invasione erano chiaramente insufficenti». Aumenterà le truppe? «Vorrei poterle ridurre drasticamente». Prevede un calendario per il ritiro? «Dobbiamo lavorare insieme a una strategia che non lasci l´Iraq nel caos e che tuteli i nostri interessi di lungo termine e le speranze della regione». Cosa propone? «Sono aperto ad un ampio raggio di idee e proposte. Il fine è e resta quello di costruire un Iraq che sia in grado di sostenersi da solo, di difendersi da solo e di autogovernarsi». Cosa le chiede Bush? «Di guardare alla situazione con un occhio fresco, sapendo che tutte le opzioni sono sul tavolo». Pensa che l´Iran stia preparando l´atomica? «Yes, Sir, lo penso». I leader di Teheran stanno mentendo? «Yes, Sir». Occorre attaccare l´Iran? «Un´azione militare contro l´Iran sarebbe assolutamente l´ultima risorsa». Perché? «Lo stiamo vedendo in Iraq: una volta scatenata la guerra tutto diventa imprevedibile. Le conseguenze di un conflitto militare con l´Iran sarebbero decisamente drammatiche». Appoggerebbe un attacco alla Siria? «No, Sir. Avrebbe conseguenze drammatiche in tutto il Medio Oriente». Si può dialogare con Siria e Iran? «Una stabilità di lungo termine in Iraq sarà influenzata sia dalla Siria che dall´Iran. Penso che gli Stati Uniti debbano trovare la strada per portare questi due paesi ad essere più costruttivi. Come fare? In questo momento non ho alcuna specifica idea a proposito». Dopo l´11 settembre la minaccia maggiore per gli Stati Uniti era rappresentata da Bin Laden o da Saddam Hussein? «Da Osama Bin Laden, Sir». Bin Laden è ancora una minaccia per gli Stati Uniti? «Penso che la sua abilità nell´organizzare direttamente e pianificare un certo tipo di attacchi contro di noi, pesanti come quelli dell´11 settembre, sia oggi molto limitata». Resta una minaccia? «Anche se non sta più organizzando gli attacchi, se non è più operativo, resta un simbolo potente; per questo credo che riuscire a catturarlo o ucciderlo avrebbe un potente impatto simbolico». Gli Stati Uniti stanno cercando di catturarlo? «Non ho alcun dubbio che le nostre forze abbiano fatto di tutto per catturare Osama Bin Laden». Riusciremo a catturarlo? «Secondo me l´unico modo per cui alla fine Bin Laden possa essere catturato è che succeda come per Saddam Hussein. Qualcuno dei suoi che ce lo consegni». Il nuovo capo del Pentagono si è detto in linea di massima aperto a valutare l´idea di aumentare di un milione di dollari alla settimana la taglia (oggi è di 25 milioni di dollari) che pende sulla testa di Bin Laden, in una sorta di lotteria tipo il «Powerball» americano o il nostro Superenalotto. E´ stata un´audizione serena, quella di Gates, senza attriti, a dimostrazione della volontà anche da parte democratica di procedere in tempi brevi alla conferma della sua nomina (entro oggi in commissione entro il fine settimana in aula). I nodi dell´Iraq restano però ancora irrisolti e il Congresso attende adesso le decisioni della Casa Bianca. Il senatore democratico Carl Levin, che a gennaio diventerà il presidente della commissione, ha sostenuto che Gates, una volta confermato, «dovrà fare i conti con la sfida monumentale di raccogliere i pezzi di una linea politica in frantumi e delle priorità sbagliate degli ultimi anni». E l´attuale presidente della commissione, il repubblicano John Warner, ha invitato Bush a non prendere decisioni affrettate dopo che avrà ricevuto questa mattina le conclusioni del gruppo di studio bipartisan presieduto da James Baker e Lee Hamilton: «Sospenda ogni decisione prima di aver consultato in modo bipartisan il Congresso: è un dovere morale per il presidente».

 testo integrale pubblicato da  "La Repubblica" -  6 dicembre 2006