Camillo
Ruini giudica tutto sommato favorevolmente la finanziaria
(Romano Prodi magari ne sarà contento, noi restiamo
abbastanza indifferenti) ed esorta a non sfruttare gli
immigrati (e noi naturalmente siamo d’accordo, anche per
l’esplicito appello a superare «visioni antropologiche
persistenti in alcune culture, che riservano alla donna una
collocazione fortemente sottomessa all’arbitrio
dell’uomo»). Ma naturalmente i passaggi più attesi della
sua prolusione al Consiglio permanente della Cei erano
altri, i Pacs, l’eutanasia, il caso Welby: e qui non
possiamo proprio essere d’accordo, e neanche affettare
indifferenza.
Non è vero, infatti, che i diritti dei conviventi e dei
loro figli siano già garantiti, come sostiene il cardinale,
dal «diritto comune». Non è vero nemmeno che «creare un
modello legislativamente precostituito», e insomma
legiferare in materia come il Parlamento si appresta
(speriamo) a fare, «configurerebbe qualcosa di simile a un
matrimonio»: se così fosse molti di noi non si
scandalizzerebbero più di tanto, ma le cose non stanno
affatto in questi termini. E non è vero neanche che a
spingere per i Pacs sarebbero soprattutto i gay al fine di
«aprire, se possibile, anche la strada per il matrimonio
omosessuale»: se così fosse i più zapateristi (e i più
blairisti) tra noi potrebbero persino essere d’accordo, ma
si dà il caso che in Italia i matrimoni gay non siano in
alcun modo all’ordine del giorno. Non volendo essere
imputati di quel gravissimo reato che è, anche agli occhi
di molti laici o presunti tali, il laicismo, ci guardiamo
bene dal parlare di ingerenza del presidente della Cei.
Osserviamo solo, ma molto, molto pacatamente, che sarebbe
buona cosa se tutti quanti, compreso il cardinal Ruini,
dicessimo la verità, e rappresentassimo per quello che sono
le posizioni che, legittimamente, intendiamo contrastare.
L’eutanasia, infine. Che la Chiesa la rifiuti «quali che
siano i motivi e i mezzi addotti o impiegati al fine di
ottenerla» ci sembra assolutamente fuori discussione.
Motivare il rifiuto del funerale religioso a Piergiorgio
Welby perché «il defunto ha perseverato lucidamente e
consapevolmente nella volontà di porre termine alla propria
vita», come il cardinal Ruini fece il 23 dicembre ed è
tornato a fare ieri, sembra tutt’altra e meno commendevole
cosa non solo a noi, ma a tanti cattolici praticanti che
evidentemente hanno della pietà, della misericordia e del
perdono una concezione diversa. A loro parlano, crediamo, le
sofferte riflessioni del cardinal Martini. Sia quelle
sull’accanimento terapeutico pubblicate domenica dal Sole
24 Ore, sia quelle del 2000 sulle «forme di convivenza», e
insomma sulle unioni di fatto, che il Riformista pubblica
oggi.