"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

 UNA CHIESA CHE DIFENDA

I DISOCCUPATI SILENZIOSI

di Rosario Giuè

Ora che la cattedrale di Palermo è stata liberata dai disoccupati e dagli ex detenuti – finiti poi alla Favorita per pulire gratis il parco – è possibile fare una riflessione serena e più libera su quanto è accaduto e sul ruolo della chiesa palermitana in altre situazioni simili. L’occupazione della cattedrale come palcoscenico di protesta non è una cosa nuova. Già nel recente passato essa stata occupata dai senzatetto. E la cattedrale potrebbe essere rioccupata se dall’incontro «tecnico» con il prefetto non dovessero venire risposte soddisfacenti.

Dopo una settimana di occupazione è bastato l’annuncio semplice ma deciso del parroco, don Gino Lo Galbo, di vedersi costretto a non celebrare più messa nel duomo occupato e di trasferirsi altrove, per mettere in crisi le modalità della protesta e spingere gli occupanti e lasciare libero il luogo di culto e più importante monumento della città.

Perché si occupa la cattedrale? Si occupa la cattedrale, certo, perché si ritiene che la come casa di Dio sia anche la casa dei poveri. Più ancora si occupa la cattedrale per avere la solidarietà della comunità ecclesiale e per avere al proprio fianco il  potere politico-simbolico delle autorità ecclesiali. Si confida che occupando la cattedrale le autorità ecclesiastiche si sentano più direttamente coinvolte nella crisi e possano spendersi a favore delle specifiche richieste degli occupanti davanti all’autorità civili. Ma si occupa la cattedrale anche perché si gioca sul fatto, come ha ben notato Nino Alongi,  non chiamerà le forze dell’ordine e non chiedere l’uso della forza per lo sgombero. Si confida che questa eventualità non sarebbe politicamente corretta.

Come quando gli alunni occupano la scuola contando sulla presunzione che il preside benevolmente non chiamerà le forze dell’ordine a sgomberare l’istituto per non comparire sui giornali come «preside fascista». Tanto i danni dell’occupazione poi li pagherà la collettività.

Ma è necessario chiedersi quale potrebbe essere in futuro il ruolo della comunità ecclesiale in circostanze simili. La chiesa deve appoggiare sempre e comunque le richieste degli occupanti «senza se e senza ma»? Certo, la chiesa dovrebbe fare propria la causa dei poveri, degli emarginati, degli esclusi. La chiesa dovrebbe operare una pastorale di liberazione, guardando i processi sociali e i conflitti storici a partire dal punto di vista dei poveri e degli esclusi. Ma deve fare ciò sempre e comunque al di là di ogni valutazione? Deve sposare la causa dei disoccupati del momento, anche quando questi cercano di entrare nel bacino dei precari del pubblico impiego senza procedure aperte a tutti, senza alcun concorso o graduatoria, negando così la giusta opportunità di partenza anche ad altri poveri o esclusi? La chiesa deve davvero solidarizzare sempre e comunque con i gruppi di senza casa  solo perché si fanno sentire con forza, mentre altri poveri attendono la casa da anni  e, arrivati all’ultimo momento di una lunghissima attesa, si vedono costretti rimanere ancora senza un tetto  perché l’abitazione a loro assegnata legittimamente è stata occupata con la furbizia e con la forza da altri?

Anche in queste circostanze la chiesa deve solidarizzare rischiando di allevare un andazzo già molto deleterio? O non deve piuttosto richiamare con chiarezza al rispetto di regole a garanzia di tutti, anche a garanzia di altri poveri cristi che non hanno avuto la forza  o la fortuna di organizzarsi o la scaltrezza di seguire la dritta di qualche capopopolo di turno  o di qualche politico navigato  che della clientela fa la sua fortuna?

Tanti insegnati potrebbero raccontare dei loro studenti, ragazzi e ragazze che si diplomano o si laureano e non hanno per anni una prospettiva di lavoro. Ma siccome non occupano la cattedrale di queste migliaia  di persone non parla nessuno. Per loro non c’è una richiesta di tavolo tecnico. Eppure anche loro sono figli di madre che vogliono costruirsi un futuro. Anche loro aspirano a farsi una famiglia, ad avere una casa e non sanno se e quando l’avranno.

Se le cose stanno, così allora, il compito della comunità ecclesiale non è quello di appoggiare sempre e comunque gli occupanti della cattedrale. Essa è chiamata a essere voce dei poveri, ma di tutti i poveri e di tutti gli esclusi. E’ chiamata a essere avvocata dei disoccupati e degli ex-detenuti, anche a rischio di apparire impopolare ad alcuni. Se, invece, la chiesa, ora per quieto vivere ora per un malinteso senso di carità, legittimasse qualsiasi protesta  e non si facesse carico di tutti, rinuncerebbe al proprio mistero educativo. Solo se si spende a richiamare tutti senza equivoci al senso di responsabilità contribuisce a costruire un futuro inclusivo e davvero fecondo per questa nostra città.                

 Testo integrale tratto da “La Repubblica – Palermo” – 18.08.2006