Vaticano-Islam,
questo matrimonio non s'ha da fare
di FILIPPO
GENTILONI
Dal Vaticano è uscito un documento piuttosto
contraddittorio, su un tema particolarmente scottante, il rapporto fra i
cattolici e gli immigrati di religione musulmana. Da una parte, grande
apertura e accoglienza - come si evince anche dal titolo stesso del testo:
Erga migrantes caritas Christi - dall'altra, attenzione ai rischi.
Se ne individua, fra gli altri, uno in particolare, le nozze fra cattolici
e musulmani. Meglio evitarle ( pare che in Italia siano già più di 1500
all'anno!). E meglio evitare anche di mettere a disposizione dei musulmani
gli edifici di culto cattolici. Un documento, dunque, che dimostra un
certo timore e un notevole imbarazzo. Non è una novità. Centinaia di
incontri e dialoghi non sono serviti a granché. Così come non sono
servite le continue dichiarazioni di pace e amore, nonchè di fede
nell'unico Dio, anche se lo chiamiamo con nomi diversi. La storia racconta
di grandi scontri come le crociate e di rari momenti di comprensione e di
dialogo, come nella Spagna dei primi secoli del Medioevo. Ma oggi? Oggi il
mondo cattolico è decisamente sulla difensiva. Basti pensare alla
reazione dell'islam - quasi tutto - alle guerre americane di conquista e
di imposizione di una democrazia che l'islam stenta ad apprezzare. Anche
se non lo si dice e anzi lo si vuole negare, cristiani contro musulmani.
Guerra «anche» di religione. Dall'Iraq alla Cecenia. Un po' dappertutto.
Basti pensare all'Africa che per i cristiani nel corso dei secoli XIX e XX
era stata una terra di facili conquiste missionarie e che oggi, invece, è
terra di affermazione islamica. I cristiani fermati e spesso considerati
succubi del colonialismo antico; l'islam più giovane e più genuinamente
africano. Inutile ripetere in mille incontri che Dio, Jahweh, Allah sono
la stessa persona. L'islam più giovane e forte non è d'accordo, anche là
dove non prepara i kamikaze e anzi li condanna.
Il Vaticano è imbarazzato anche perché, nonostante tutti dialoghi e le
preghiere in comune, non incontra un interlocutore unico, autorizzato e
riconosciuto da tutti i musulmani. Niente Vaticano islamico ma una
infinita divisione e moltiplicazione che, oltre a rappresentare un
ostacolo per il dialogo, è anche una forza, come si conferma
quotidianamente in Iraq. Il Vaticano non trova un interlocutore valido,
come non lo trova la polizia italiana in cerca di colpevoli.
A complicare il presunto dialogo c'è anche il fatto che - tranne alcune
eccezioni - l'islam non distingue il livello religioso dagli altri
livelli, quello sociale e quello politico. Distinzioni difficili: anche il
cristianesimo, specialmente quello cattolico, ha faticato. Dopo secoli di
tentativi, ancora oggi negli stati a maggioranza cristiana, la religione
stenta a evitare le confusioni. L'islam in genere identifica i diversi
piani, e anche da questa identificazione - noi diciamo confusione - trae
la sua forza. Il dialogo, così, non decolla. Il passaggio dalla teologia
alle armi è facile. E il paradiso, comunque lo si chiami, è vicino a chi
combatte e muore: la religione benedice questa politica e la premia. Il
cristianesimo, con le sue distinzioni e le sue lontananze faticosamente
conquistate e oggi irrinunciabili, ha lasciato il campo alla politica, per
la quale si combatte e si muore più difficilmente che per una fede
religiosa con il suo paradiso. Nessuna meraviglia se il cristianesimo oggi
combatte in difesa.
Nessuna meraviglia se il Vaticano è imbarazzato. Anche per un altro
motivo che non può non toccare il Vaticano da molto vicino, il problema
della terra «santa». Qui il Vaticano deve percorrere una via molto
stretta, fra il sostegno - ormai tradizionale - alla causa palestinese e
il rischio di contribuire ai diffusi rigurgiti di antisemitismo.
L'imbarazzo è tale da condurre il Vaticano ad un atteggiamento che
rasenta il silenzio anche quando una parola chiara - «evangelica» -
sarebbe opportuna. Il momento è difficile, su tutto lo scacchiere
mondiale e le grandi religioni, anche senza volerlo né desiderarlo, si
trovano costrette ad assumere un ruolo da protagoniste. Il Vaticano cerca
di evitarlo, in nome della distinzione fra religione e politica e anche in
nome di un cristianesimo che ormai, dopo secoli di diffidenza, ha
accettato il valore della democrazia. Nessuna meraviglia, però, se anche
al suo interno le voci alla Oriana Fallaci si fanno sentire, soprattutto
negli Usa, ma anche da noi. Voci che nei confronti dell'islam, chiedono
meno dialogo e più condanna. Il primo sarebbe assolutamente inutile, la
seconda, invece, garantirebbe meglio l'identità. Se non le armi, risorge
almeno lo spirito delle crociate.
Due diversi atteggiamenti, dunque, nell'ambito dell'imbarazzo cattolico
nei confronti dell'imprevisto vigore dell'islam. Sembra che ambedue siano
riscontrabili perfino negli ovattati corridoi dei palazzi apostolici.
L'ultimo documento lo conferma.
testo integrale tratto da "IL Manifesto"
- 16 maggio 2004