"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"  -  



  

Riflessione pubblicata su HOREB numero 54 – 3/2009    "Ospiti e ospitali" 




ACCOGLIENZA IN PARROCCHIA *

di  Carlo D'Antoni

 

Quello che mi è chiesto è di "raccontare" la mia esperienza di parroco riguardo il tema dell'accoglienza. Confesso che non mi viene facile e ci ho pensato parecchio sopra. Infatti a me questa dimensione dell'essere appare come costitutiva dell' identità della chiesa, prima ancora  che un "settore" della sua attività nel territorio. Anzi, l'accoglienza è per me "il" segno visibile dell'obbedienza che ci lega personalmente ed ecclesialmente al Signore. Per cui è con difficoltà che riesco a mettere "davanti a me" questa sacra parola, perché ci sono dentro fino al collo. Certe realtà di fondo si vivono e poi eventualmente e con inadeguato linguaggio se ne può dire qualche cosa. Ma è un servizio che rendo volentieri. Grembo materno ed eucaristia. Questi due mondi connotano ciò che in parrocchia tentiamo di vivere con tutti, con i poveri innanzitutto, in quanto legati sacramentalmente alla persona di Gesù di Nazareth.

 

Grembo materno

 Chi attraversa il portone della chiesa (oppure, è cercato per strada e condotto in chiesa) deve sentirsi come introdotto dentro un grembo di donna che subito si organizza, si modifica, si abilita per farlo essere uomo. E bisogna fargli spazio, dargli il suo spazio, perché il miracolo della vita (della guarigione integrale) possa ripetersi. La chiesa è donna, donna incinta di tutti coloro che "in" essa trovano accoglienza e come con un cordone ombelicale vengono collegati alle risorse spirituali, culturali, materiali dei suoi membri. La chiesa esiste per servire. Servire la vita. La vita concretissima di questo e di quell'uomo. La donna nel suo grembo accoglie gratis una vita, se la ritrova dentro, non le può sbarrare il passo e sa che per lei tutto cambia, che deve modificarsi. Questa vita che chiede accoglienza alla madre - chiesa può essere un cristiano o un musulmano o un ateo, oppure uno "sporco barbone", un petulante e antipatico disoccupato o drogato o alcolizzato. La chiesa non può farne un aborto, espellerlo. La chiesa è contro l'aborto, mi pare. La chiesa è contro l'eugenetica e quindi non può accettare solo le gravidanze di figli che le somigliano, devoti, obbedienti, che soddisferanno tutte le sue aspettative. Non accogliere un povero a me pare che sia un aborto della Santa Madre Chiesa. Desiderare figli secondo le sue aspettative mi sembra semplicemente blasfemo. Questa donna, questa chiesa deve partorire i figli per quello che sono. Prendiamo per esempio i cosiddetti clandestini che sbarcano in Sicilia e che prima o poi vengono a bussare ai nostri portoni : sono stati anonimizzati, retrocessi a "pratiche burocratiche" (e infatti a indicarli basta un numero), costituiscono non una umanità ma un fenomeno sociologico, un problema per l'ordine sociale, sono valutati degni di vivere asseconda del ritorno economico che possiamo ricavarne. Vengono da noi e ci chiedono in fondo una sola, fondamentale cosa: essere riconosciuti ! Esistere. Avere un nome ! E allora devono essere partoriti, rimessi cioè ciascuno sulla sua strada, verso il loro futuro, riabilitati alla vita, con una dignità che è originaria. Non sono errori della storia. Senza chiedere niente. Gli dobbiamo tutto. Non ci devono niente. Così ragiona una madre.

Credo che ogni volta che la chiesa la smette di parlare di cose giuste e si mette a fare le cose giuste, le è donata l'esperienza di trasfigurazione tipica delle donne che diventano mamme. Non lo so se è solo una impressione mia, ma mi sembra che la maternità illumina, rende radiosa la faccia della donna. Bellissima. Ed è questo che voglio raccontare: quante facce bellissime vedo in coloro che in parrocchia (che se ne rendano conto o no non saprei bene) dispiegano la nostra maternità e paternità e realizzano il miracolo di pronunciare il nome di ciascuno. Non solo, ma cose che appaiono difficili se non addirittura improponibili (specie di questi tempi), quali una seria e ordinaria esperienza di ecumenismo oppure una consuetudine di dialogo interreligioso, invece fioriscono spontaneamente e ci arricchiscono, ci fanno camminare su strade che, ne sono certo, sono segnate dalle orme di Nostro Signore. Per non parlare di liturgie che si accendono smettendo i panni delle mummie e lo spessore umano che rimpolpa una vita comunitaria a volte  esangue. Ed è bello. Da sentirsi un pizzico, a volte, trasfigurati nello stupore di qualcosa di inatteso che si riceve.
Per tutto questo noi riceviamo i cosiddetti poveri di strada , immigrati dall'Africa innanzitutto, in seno alla parrocchia. Non abbiamo per loro "luoghi a parte", men che meno abbiamo "strutture adeguate". Per nostra scelta vivono nelle stanze della parrocchia, chiunque viene in parrocchia se li ritrova in mezzo ai piedi e non sempre, anzi, mai sono profumati ed eleganti (non possiamo moltiplicare i servizi igienici, i locali, i soldi, gli armadietti ecc.). Moltissimi parrocchiani "praticanti" ormai vanno a praticare altrove: chi si sente invaso a casa propria, chi schifato, chi si scopre portatore sano del virus del razzismo. Una volta avevo 280 bambini di catechismo. Ora ne ho 25. Il prossimo anno non lo so. Si sa, i genitori ci tengono ai propri bambini, e con tutte le cose che si sentono, per non parlare del pericolo di contrarre malattie. Ed è così che ho scoperto quanti abusivi mi venivano prima in chiesa. Clandestini (loro!) che però erano convinti che la chiesa fosse "cosa nostra"… e le statue dei santi gli unici ospiti ammessi.

Sono ormai oltre 15 / 18 mila gli stranieri che sono passati dalla nostra parrocchia. Chi si è fermato un giorno chi tre anni . Anche quando siamo stati oltre il centinaio ogni giorno, siamo riusciti a mangiare tre volte e a dormire senza sentire freddo. Permettetemi di raccontare una cosa. Una volta eravamo davvero troppi e allora sistemai una ottantina di letti anche dentro la chiesa. Verso mezzanotte andai a vedere come era la situazione. Ricevetti una lezione di ecclesiologia: nella penombra vidi una distesa di gente che dormiva e russava (ecco il gregoriano!). La puzza di piedi e di sudore regnava sovrana (ecco l'incenso!). Dormivano. Sereni. Solo l'altare emergeva da quei giacigli (ma allora davvero lo dobbiamo chiamare "mensa"!). Il grande crocifisso di legno dell'abside finalmente faceva qualcosa: li abbracciava, tutti, con le sue lunghissime braccia.

Molte altre volte proprio la chiesa è diventata dormitorio, sala da pranzo, discoteca, sala delle feste, asseconda dei bisogni e delle circostanze e sono sempre rimasto colpito dall'assoluto rispetto per il luogo. Mai un parrocchiano potrà dire di essere venuto in chiesa e di averla trovata sporca o maleodorante o disordinata. I musulmani? I buddisti? Rispettosissimi. Mi piacerebbe che le persone di chiesa ed anche i ragazzi e i giovani che si riuniscono in chiesa si mettessero a disposizione in questo contesto. Ma capita di rado. A volte passano in mezzo ai poveri, in mezzo ai ragazzi africani o arabi e non li vedono!  Come se fossero invisibili. Straordinariamente e senza che io mai li abbia esplicitamente cercati, vengono e danno testimonianza di servizio competente, caldo e continuato nel tempo, sapete chi? I protestanti evangelici e pentecostali, degli atei, cattolici non praticanti e giovani  "rivoluzionari" di estrema sinistra. Così come, davanti a grosse difficoltà economiche in cui ci troviamo, hanno risposto e rispondono mensilmente con una autotassazione, giovani e adulti che nulla hanno a che fare con la chiesa. Il mio non è un giudizio. Questo vedo. Probabilmente qualcosa dovrà significare, e lo dico in riferimento alle nostre catechesi e liturgie. Su questo mi interrogo. Una cosa in definitiva sto imparando: c'è forse un problema di estraneità nella chiesa: molte persone di buona volontà e gradite al Signore pur non appartenendo ai "recinti ufficiali", si avvicinano alla chiesa nella misura in cui non si fa i liturgismi suoi ed entra nel corpo dolente della storia, e allora si avvicinano senza sentirsi più estranei. E poi: ciò che i poveracci ci richiedono, al di là di ciò che loro stessi riescono a dire, è di non sentirsi più stranieri. Ma agli occhi di Dio (parlo del Padre Eterno, non di Berlusconi) lo sono mai stati?

 

Eucaristia

 In definitiva, è davvero il mistero della liturgia domenicale che costituisce  il culmine e la fonte di ogni espressione della vita ecclesiale e quindi della sua carità.

E per questo rimane un mistero della misericordia di Dio come sia possibile, nonostante la ormai senza pudore operazione di manipolazione genetica che sta trasformandoci da uomini in "consumatori" se non addirittura in merci, che ancora possiamo ricevere autenticamente la parola e i gesti salvifici di quel Gesù di Nazareth. Consumatori di prodotti, consumatori di cose.sacre. Consumatori di parole dall'alto. E la quantità di consumo pro-capite diventa segno di progresso o di regressione. Di successo o di fallimento.

Credo che la domenica la cosa sensata da fare sia principalmente adorare, rimanere nel silenzio stupito e contemplativo di un amore incredibilmente gratuito, fedele. Sempre. E poi ascoltare quella Parola. E poi ascoltarci per un discernimento obbediente sulla nostra vita. E di nuovo celebrare l'alleanza con un Dio che ancora si consegna ad un popolo per abilitarlo ad amare con il cuore stesso di Dio. Assemblea eucaristica: un popolo che può avere accesso ai pensieri di Dio, dalle sue mani ricevere doni e moltiplicarli per sfamare tutti, riabilitare tutti alla gioia, far entrare tutti nella logica del dono e del rendere grazie. Pane eucaristico: l'autocosificazione di Dio. La radicalizzazione dell'incarnazione. Pane spezzato: l'abbassamento che non finisce più da parte di Dio, una interminabile discesa agli inferi per liberarne i prigionieri. La comunione: la consegna di Dio ad ogni suo figlio perché cresca "da Dio" e diventi finalmente maggiorenne, anche lui padre e madre di altri. La comunione: chiesa che si comunica in una esperienza di radicale solidarietà. Eucaristia: la visione di Dio sulla storia e sul creato. Eucaristia: domenica dopo domenica celebrazione del patto dell'alleanza tra Dio ed il suo popolo per camminare insieme in stile esodale verso il Regno. La chiesa non può che essere eucaristica in ogni sua espressione. E solo così può manifestarsi la sua natura di sacramento di Gesù, l'uomo-Dio. Sacramento cioè di quella precisa persona che si chiamava Gesù di Nazareth e visse in quei luoghi, in quel tempo, operando quei segni ed ebbe quel preciso stile di vita. Sacramento leggibile di quel Gesù che per i credenti rimane "La Verità". Una verità in carne e ossa, da vivere prima che da capire. La chiesa non può che essere sacramento di quel preciso uomo di Nazareth, senza se e senza ma, senza nascondersi dietro le tende della religione che ormai sono state stracciate quel venerdì santo. Quelle tende che nascondevano il Dio vivente agli occhi del popolo, e agli occhi dei poveri in particolare. Chiesa ed eucaristia vivono l'una nell'altra e tutto questo è opera gratuita dell'amore  "folle" del Dio di Gesù. Gesù fu uomo eucaristico. E basta. Le cristallizzazioni dommatiche, le messe ultra solenni, le folle oceaniche che applaudono e poi se ne tornano a casa non mi sembrano un linguaggio idoneo a raccontare il mistero di quella persona, di quell'ultima cena. E neanche quell' ostensorio d'oro  che getta la gente in ginocchio e quasi la intimidisce, impedendole di toccare (essere toccata) dal gratuito dono di Dio esibito quasi come l' intoccabile dentro l'ostensorio radioso, altissimo, regale, con tutto il codazzo, nel giorno del Corpus Domini, di autorità di dietro e guardie e carabinieri in alta uniforme. "L'inutilità", la non efficienza del pane eucaristico nelle chiese vuote, mentre fuori si celebrano le liturgie stressate al dio "efficientismo" e "profitto", mi sembrano il segno gridato da Dio della solitudine e della "inutilità" dei poveri della terra che infatti sono invisibilizzati e scartati, senza voce. E aggiungerei: buttati fuori anche dalle nostre chiese con celebrazioni disincarnate, depotenziate, dal linguaggio aulico, spesso ridotte a rappresentazioni sacre dove, ormai da qualche tempo, non manca più l'applauso finale dei consumatori soddisfatti. Quel pane spezzato  è il senso della chiesa, la sua ricchezza inesausta. E' davvero Gesù di Nazareth. Davvero la liturgia vuole essere, ancora oggi evento di salvezza che compie  le aspettative degli storpi, dei ciechi, dei morti. I poveri in quel pane vi vedono inoltre la solidarietà di Dio che si fa uno di loro. Anch'essi infatti sono cosificati, spezzati, masticati dai sacerdoti del male. Ma quando la chiesa - eucaristia stende le mani (quasi una epiclesi) su di essi, che ormai sono ridotti come a pane ammuffito, duro e senza sale, da essi esce, visibile,  la benedizione di Dio che si condivide su tutti. Diventano terra di benedizione, arricchiscono tutti, ad esempio con culture, abilità e spiritualità originali e fresche. Diventano chiaramente profezie che Dio gli ha affidato e ci lasciano intravedere un nuovo mondo che sorge proprio ora, proprio in questo tempo di svolta epocale. Ci forzano a volgere lo sguardo verso un futuro desiderabile, ci sollecitano a scrutare nel futuro senza paura. Ci forzano a toccarci e a parlarci realmente, non virtualmente. Ci insegnano che significhi vivere di fede. Ci rimandano al mondo sognato dai profeti. E un po' di profezia finalmente può entrare zitta zitta nella chiesa delle pietre ammirabili. Un pizzico, e fra tante infedeltà e spesso sfiducie, noi crediamo in queste cose, ci sembra di vederle a volte. Molte altre volte no. Ci scommettiamo, in definitiva.


Carlo D’Antoni

Parrocchia Maria Madre della Chiesa

Via A. Specchi

96100 Siracusa



 
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