Uno
stile nuovo per un'Italia di pace
di Tonio
Dall'Olio
Quello che abbiamo chiesto nell'appello firmato
congiuntamente con Gino Strada, Ciotti e Zanotelli e alcune migliaia di
persone è un ritiro delle nostre truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan
ancora una volta senza Se e senza Ma. Non con il piglio di un
fondamentalismo pacifista che pregiudizialmente avversa tutto quanto si
muove nell'ambito militare e sotto il segno delle armi, ma molto più
semplicemente in punta di diritto costituzionale e internazionale, secondo
la logica del buon senso e nella consapevolezza che solo un altro tipo di
presenza potrebbe far crescere uno spirito di fiducia, di pace e di
sicurezza autentica.
C'è qualche differenza sostanziale tra l'azione di cooperazione e di
aiuto portata in Afghanistan dalle nostre agenzie umanitarie e la presenza
della missione militare al seguito degli aggressori americani! Se mi
soffermo sullo scenario afghano è perché sono consapevole che i maggiori
problemi relativi al contenuto e alle proposte avanzate nell'appello li
incontreremo riguardo a questa missione. D'altra parte c'è da considerare
che il fronte iracheno ci ha distratto troppo presto dalla situazione in
Afghanistan e sono stati in molti a pensare che nel frattempo da quelle
parti la situazione andasse progressivamente normalizzandosi. Così non è
stato. Al contrario la situazione si è incancrenita al punto tale che
oggi più di ieri gran parte della popolazione vede quegli stranieri in
armi come invasori e non sopporta di prendere gli ordini dalla potenza
mondiale e dai suoi alleati.
Anche di questo abbiamo parlato ieri col presidente della Camera che ci ha
invitato a seguito dell'appello. Per la verità non ricordo un'altra
occasione in cui il presidente della Camera abbia invitato dei
rappresentanti di società civile ad interloquire dopo una presa di
posizione sulla pace e sulla sua costruzione. L'auspicio (nostro e suo) è
che l'incontro di ieri costituisca più che un precedente: inauguri
piuttosto uno stile nuovo in cui questi due modi di fare politica e di
difendere/promuovere i beni comuni si parlino, si organizzino, si
sollecitino reciprocamente. Non ci siamo incontrati in un salotto
televisivo sotto lo sguardo di Bruno Vespa, ma nel luogo istituzionale
deputato ad ascoltare la voce dei cittadini e a trasformare in progetti le
risposte ai loro bisogni. Abbiamo concordato di definire luoghi permanenti
di ascolto e confronto perché la democrazia possa declinarsi sempre di più
come partecipazione. Un luogo in cui si assuma consapevolezza che a «fare
politica» ci sono molti soggetti oltre alle sole forze politiche. Ecco
allora che è possibile far entrare un po' di Porto Alegre anche nel
Palazzo.
Nell'incontro di ieri non si è parlato solo di Iraq e di Afghanistan. Si
è ipotizzato di dare norme attuative all'articolo 11 della Costituzione
per poterlo sdoganare dal limbo in cui lo si è collocato: una nazione che
vede scolpito nella propria Carta il «ripudio della guerra» non può
mandare in giro per il mondo uomini in armi. La speranza è che si sia
dato inizio ad uno stile nuovo che colmi il fossato tra le migliaia
(milioni) di persone in piazza a manifestare contro la guerra e le scelte
di un parlamento che invia le truppe italiane al fronte
testo
integrale pubblicato da "Il Manifesto" - 30 maggio 2006