Se errare è umano, come si sa, perseverare è
diabolico. Quando a farlo sono i governi, con quel cinismo della
politica che guarda spesso a supposti interessi geopolitici e al
business e quasi mai al senso di umanità e di giustizia, insistere
nell'errore contro ogni evidenza diventa tragico e imperdonabile. Questo
sta succedendo in Iraq da troppo tempo. Contrastarlo diventa allora un
dovere, non solo una necessità di testimonianza. Ostacolare e bloccare
quel tragico e sanguinoso errore va fatto innanzitutto con la ricerca e
la proposta della verità, la quale ha in sé una forza straordinaria,
che nessuna arma, nessuna tecnica di addomesticamento dei media, nessuna
strategia di morte e volontà di potenza riuscirà mai davvero a
impedire. Lo abbiamo visto, da ultimo, con la vicenda delle bombe al
fosforo su Fallujah, che, a partire da RaiNews24, è diventata in breve
una consapevolezza contagiosa in tutto il mondo. C'è un'informazione
che rifiuta il bavaglio e che per questo paga un alto tributo. Nel 2005
sono stati uccisi 69 giornalisti. Nella sola guerra in Iraq, in tre
anni, sono 99 gli operatori dei media caduti, 7 in questo mese. E basti
pensare che in tutta la seconda guerra mondiale furono 69.
L'informazione e la ricerca della verità sono determinanti e vitali, ma
non bastano se poi non c'è mobilitazione delle coscienze e capacità di
incidere nelle decisioni politiche. I popoli da sempre sono il vero
granello di sabbia che inceppa quella catena di montaggio della morte
costituita dalla guerra. Anche quest'anno è dunque necessario scendere
in piazza a manifestare. Come faremo oggi a Roma. Come abbiamo fatto
molte volte in questi anni, a milioni in tutto il mondo.
Non siamo sinora riusciti a fermare guerra e terrorismo, ma certo
abbiamo seminato granelli di verità, che non mancano di crescere e
irrobustirsi, avvicinando così il tempo della pace e della giustizia.
Dall'inizio dell'occupazione in Iraq il terrorismo, che continua a fare
strage di innocenti, è cresciuto in modo vistoso e devastante. Lo
dicono gli stessi dati del Dipartimento di Stato Usa: i gravi attacchi
sono quadruplicati nel giro di un anno e continuano a intensificarsi.
Come una pianta maligna che trae alimento da una guerra ingiusta e da
un'occupazione insostenibile, cui purtroppo si è prestato anche il
nostro paese. Per fermare il terrorismo, che rischia di colpire anche le
nostre strade, bisogna interromperne il nutrimento: bisogna fermare la
guerra.
Questo grideremo a Roma, in una manifestazione pacifica e colorata,
numerosa e nonviolenta. Con la ricchezza, questa sì potente, delle
diversità che dialogano e si riconoscono, che tiene assieme movimenti e
pezzi delle forze politiche, sindacati e associazioni, laici e credenti
di religioni diverse. E non deve essere sottovalutato il contributo dei
cattolici e della chiesa, che da subito ha sensibilizzato e mobilitato
le coscienze contro la strage quotidiana che ha già ucciso decine di
migliaia di civili, che ha alimentato le mafie del narcotraffico, del
commercio di armamenti e del traffico di esseri umani e che è costata e
sta costando cifre enormi, con le quali si potrebbero invece restituire
dignità e futuro ai troppi poveri del mondo: solo negli Usa le spese
per la Difesa - ma non sarebbe più onesto chiamarla «Offesa»? - il
prossimo anno supereranno i 500 miliardi di dollari. Lo stesso papa
Benedetto XVI, sin dal suo insediamento, ha mandato un messaggio forte e
chiaro, quando ha spiegato di aver voluto scegliere il proprio nome per
riallacciarsi idealmente a Benedetto XV, che definì la prima guerra
mondiale una «inutile strage» e che, ha ricordato l'attuale pontefice,
«fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo
coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne
le conseguenze nefaste», impegnandosi altresì a ricalcarne il
percorso: «sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio
della riconciliazione e dell'armonia tra gli uomini e i popoli».
Pace, riconciliazione, giustizia. Sono valori alti e un programma chiaro
davanti al quale le forze politiche non possono tirarsi indietro, né
nascondersi dietro sofismi e calcoli elettorali.
* Presidente di Libera