"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

L’INTERVENTO

LA REPRESSIONE SOLA NON BASTA

di Gianfranco Caselli*

Fino a ieri un’orgia di dichiarazioni, un febbrile rincorrersi di prese di posizione a volte assurde (se non pericolose), una sarabanda di parole in libertà per esorcizzare vergognose insufficienze, inadempienze, omissioni, sottovalutazioni.
Oppure per nascondere (con cortine fumogene) una sostanziale, colpevole impotenza o arrendevolezza di fronte a interessi economici che hanno sempre finito per averla vinta su tutto e tutti.
Le decisioni del governo vanno in controtendenza: sono l’ammissione dell’insostenibile gravità della situazione – del rischio concreto di ulteriori degenerazioni che travolgerebbero tutto – e conseguente assunzione precisa di responsabilità con scelte difficili ma serie, non ipocrite o finte. In certi casi (e la situazione che i fatti di Catania hanno evidenziato è uno di quelli) silenzio e inazione sono complici.
Vizio antico del nostro Paese: ci vuole il morto perché cessi il sonno, il torpore, la disattenzione. Di solito, all’indignazione del giorno dopo subentra il riflusso, fino all’appannamento e alla cancellazione dei fatti, poi tutto torna come prima. Questa volta si spera non sia così, si spera che il governo sappia tenere duro, sostenuto da tutti coloro che hanno a cuore non solo il calcio ma soprattutto la civiltà del nostro Paese.
Perché oltre al problema (comunque grave) della violenza criminale delle frange estremistiche delle tifoserie, sembra profilarsi anche altro.
• Il dilagare di “ideologie” (di ieri, ma ancora oggi forti) secondo cui la vita degli altri è ciarpame, gli altri non contano niente, sono nemici da abbattere.
• Il proliferare di “modelli” che della legalità si fanno beffe, anche a livelli che dovrebbero essere di esempio per gli altri; e chi difende la legalità (poliziotto o magi­strato poco importa) va combattuto.
• Le ipotesi da verificare (leggendo i giornali sembrano prendere piede) di intrecci con la mafia e organizzazioni politiche estremistiche; accanto alle ipotesi – da tenere nettamente distinte, ma inquietanti e anch’esse tutte da verificare – dell’esistenza di gruppi e dirigenti locali che potrebbero aver “concimato” un sottobosco di illegalità per trarne illusori vantaggi.
E’ quindi evidente che gli interventi repressivi non bastano. Occorrono anche (se non più) interventi sul piano culturale e dell’educazione alla legalità. Se la cultura dominante (basta pensare ai reality) è l’egoismo, la prepotenza come mezzo di realizzazione di sé, costi quel che costi, stupirsi poi per quel che accade quando il branco si scatena è ipocrita.
Occorre inoltre un serio ripensamento di quanti, anche a livelli istituzionali, hanno praticato o praticano varie forme di illegalità e poi rifiutano i controlli: benzina sul fuoco delle criminali tendenze alla violenza di gruppi organizzati e al tempo spesso facilmente manovrabili.
Quanto agli interventi repressivi, chiudere gli stadi non a norma finché non siano sistemati, intervenire sulle trasferte degli ultrà perché non si trasformino in potenziali spedizioni di branco, sono misure (specie le prime) dolorose ed impopolari, che però mi sembrano – se vogliamo essere coerenti con tutte le cose dette o promesse in questi giorni – indiscutibilmente necessarie.
Altre misure (in particolare la disposizione riguardante l’estensione della “flagranza”) mi sembrano pericolose, perché possono costituire uno strappo a principi fondamentali, e quando si interviene su questo versante si sa come e dove si comincia, ma risulta complicato prevedere dove e come si andrà a finire. Anzi, si crea­no precedenti che potrebbero poi espandersi.


*
Magistrato

 testo integrale pubblicato da  "Tuttosport" - 7 febbraio 2007