"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

QUARESIMA

Tempo di grazia per gustare la gioia della Pasqua 

di Mimì Caruso

 

     “Convertiti e credi al vangelo”, questo è ciò che abbiamo ascoltato durante il rito dell’imposizione delle ceneri all’inizio della quaresima. Un invito pressante che non possiamo lasciar cadere nel vuoto.

Dietro la parola italiana conversione c’è quasi sempre nel Nuovo Testamento, la parola greca metanoia una parola che tradotta significa rivoluzione mentale. Si può essere sorpresi di questa traduzione, ma è la traduzione letterale: meta è preposizione che indica inversione di moto, ritorno, capovolgimento; noia è un sostantivo e significa mente.  La liturgia non ci chiama, dunque, a riflettere su cose ed eventi lontani, estranei a noi, ma su cose che ci toccano nell’intimo. Non ci lascia comunque soli in questa ricerca, quest’anno ha affidato il compito di guidarci all’evangelista Luca che con saggezza ha saputo offrirci dei punti di riferimento per orientarci e aiutarci a comprendere che la via da seguire è Gesù stesso, che, nella verità, vuole condurci alla vita autentica.

A prima vista sembra strano che questo cammino abbia avuto inizio nel deserto, un luogo inospitale che non ci fa  pensare certo alla vita, ma piuttosto all’assenza di vita, eppure è proprio lo Spirito, sceso su Gesù durante il battesimo nel Giordano, a condurlo lì per essere tentato dal diavolo (Lc.4,1-13). Il termine diavolo significa colui che separa, quindi porta fuori strada, allontana dalla meta… “Se tu sei figlio di Dio” questo è il suo esordio, insinua un dubbio, provoca, vincola, ma Gesù, libero da condizionamenti vince ogni tentazione grazie a due armi: il digiuno e il ricorso alla Parola di Dio (“Sta scritto…”).

Ci sono diversi tipi di digiuno, da quello dal cibo, dalle cose, dagli altri, a quello che già i primi cristiani chiamavano “digiunare dal mondo” che consisteva nel “non conformarsi alla mentalità di questo secolo” (Rom:12,2), fino a quello vero, radicale rivelatoci da Gesù stesso, che consiste nel digiunare da se stessi! Questo è il digiuno che ci permette davvero, come diceva Giovanni il Battista, di mettere “la scure alla radice” (Mt. 3,10) perché si possono rimuovere tanti legami e tanti bisogni, ma se non si recide il nostro “io” vecchio ed egoista non si avanza di un passo nel cammino, non si accoglie l’invito alla conversione. Dobbiamo entrare in conflitto con noi stessi per essere “radicati e fondati” in Cristo Gesù (Col. 2,7) che è il sostegno e la roccia della nostra vita! Non è possibile accogliere il Regno e accoglierlo “come un bambino” vale a dire con semplicità, con entusiasmo e gioia se, come diceva Gesù stesso, non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel Regno dei cieli (Mt. 18,3). Dobbiamo perciò convincerci che è necessario, in un certo senso, farci piccoli e semplici, essere disposti a perdere tutto, smettere di sentirci al centro dell’universo… decentrarci da noi stessi, per ricentrarci su Dio, cioè mettere Dio e il suo Regno in quel centro di convergenza dei pensieri e delle intenzioni che facciamo occupare solitamente al nostro tenace “io”. Il digiuno di Gesù è stato uno svuotarsi per dare spazio… un rinunciare ad avere per essere… e lo ha condotto a riscoprire la propria identità, la propria dignità di figlio. Ed è questo il digiuno che anche a noi viene proposto per metterci alla sua sequela “Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso” (Lc. 9,23). Già inseriti in Cristo nel battesimo, si è aperta anche per noi una novità di vita grazie alla quale anche noi con Lui possiamo dire “Abbà, Padre”. La tentazione quindi è rivolta anche a noi, ci riguarda, ci coinvolge direttamente, non possiamo perciò non domandarci “qual è la vita del figlio di Dio?” Appare evidente che è una vita messa alla prova… tentata… noi, in quanto figli, non siamo più schiavi, ma siamo stati chiamati ad essere liberi; per vivere la libertà però occorre scegliere,  impegnarsi a decidere, fare discernimento, essere pronti a rinunciare …. Solo restando in costante ascolto della Parola di Dio. “Spada affilata a doppio taglio” (Ap. 1,16) che dove penetra fa spazio, fa luce, monda (“Voi siete mondi per la Parola che vi ho annunciato” Gv. 15,3) potremo portare avanti questo combattimento, questa prova continua riprendendo coscienza di ciò che realmente siamo e imparare a vivere da figli!

Continuando il cammino che Luca ci ha proposto in questa quaresima dal deserto siamo condotti sul monte, il luogo biblico deputato all’incontro con Dio (Lc. 9,28-36). Possiamo provare a rivivere l’esperienza sul Tabor mettendoci nei panni di Pietro, Giovanni e Giacomo testimoni di un evento attraverso il quale riescono a percepire Gesù in una luce nuova. Il testo precisa che sono oppressi dal sonno; il sonno a ben riflettere è una situazione di vita in qualche modo ambigua infatti, se è vero che non si può vivere senza dormire, è altrettanto vero che rappresenta una condizione di vita anomala, nel sonno non si è padroni né delle proprie azioni, né dei propri pensieri, si sospende ogni potere, non si è più padroni di nulla, si diventa poveri… eppure è il presupposto indispensabile per riacquistare vigore, energia, padronanza di sé. In questa particolare condizione, con occhi e mente ottenebrati, i tre apostoli riescono a restare svegli ed a cogliere la bellezza del volto di Gesù che, in un contesto di preghiera, quindi di ascolto profondo e di relazione-confronto costante con la legge (Mosè) e le profezie (Elia) per scoprire ed aderire al progetto del Padre, si trasfigura e rivela la bellezza di una vita vissuta pienamente proprio perché interamente affidata alla volontà del Padre. In quel momento essi prendono coscienza che Gesù non è solo un profeta o il messia, ma è il figlio prediletto che bisogna ascoltare. L’imperativo del Padre: Ascoltatelo! rimanda a ciò che Gesù sta per dire cioè che avrebbe dovuto soffrire molto ed essere disprezzato (Mc.9,12), morire e poi resuscitare dai morti (Mt.17,12; Lc. 9,31), giungere alla gloria (la trasfigurazione anticipa la resurrezione) attraverso la sofferenza, inaugurando così egli stesso quella via stretta che conduce alla vita (Mt.7,14).

Giunti alla metà del percorso quaresimale la liturgia ritiene importante sgombrare il dubbio di possibili confusioni tra realtà contingenti e responsabilità personali (Lc.13,1-2) e ribadisce la necessità di trovare risposte individuali coerenti alle proprie convinzioni (se non vi convertirete…). Passa quindi a dimostrare come tale fedeltà non è mantenere a qualunque costo posizioni prese a priori, ma si coniuga in Dio stesso con la conversione, il ritornare in qualche misura sui propri passi, il rivedere le proprie scelte tenendo conto degli eventi che si succedono, per ritrovare la vera essenza libera da risposte accidentali (Lc.13,6-9). Quel fico che, nonostante le cure non dà frutti, simbolo di un’umanità incapace di generare vita nuova, non può infatti condizionare la volontà divina di realizzazione per ogni creatura ed ecco allora non la giustizia (taglialo), ma la capacità di rivedere le proprie decisioni, la pazienza (ancora quest’anno) di ricercare sempre nuove strategie per concedere ulteriori opportunità.

A questo punto siamo invitati ad osservare più a fondo l’essenza di Dio che solo il Figlio conosce e può farci intuire e lo fa con parole (Lc. 15,1-3,11-32) e con gesti concreti  (Gv. 8,1-11).

Attraverso il mirabile racconto della parabola del Padre misericordioso possiamo cominciare ad intravedere le caratteristiche del suo modo di amare. Il suo è un amore che non trattiene, lascia liberi, ma che trepidante non cessa di sperare, di attendere (v. 20) e suscitare (v. 28) una risposta libera, e, al minimo accenno sa perdonare, accogliere e riavviare un legame.

 Dopo la parabola si passa alla realtà, ma il tema resta lo stesso ed è l’evangelista Giovanni a mostrarci, attraverso l’episodio dell’adultera, la volontà del Padre che si esplicita nel comportamento del Figlio. Egli, pur condannando apertamente il peccato, come il Padre, “non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva” (Ez. 33,11); quel va’ rivolto alla donna rimasta sola davanti alla sua colpa è un invito a riprendere un cammino, ritrovare la propria dignità, aprirsi a nuove prospettive di vita rinnovata, dimostrazione che non c’è solo la legge, c’è anche la grazia.

Dovrebbe essere ormai chiaro a questo punto del cammino quaresimale lo stile di Dio, eppure nella domenica delle Palme che è caratterizzata da un clima di festa e di trionfo la liturgia ci sorprende proponendo contraddittoriamente la lettura della Passione del Signore. Ancora una volta, come sempre, gloria e sofferenza insieme! Non conosce Dio altra strada che quella della sofferenza? Perché questo passaggio tra noi e la felicità? Recentemente si è molto discusso di dolore, di sofferenza, ma personalmente credo che di ciò si debba parlare solo sommessamente, con delicatezza e molto rispetto, senza esprimere giudizi sulle persone coinvolte. Gesù stesso dicendo “chi è senza peccato scagli la prima pietra” sa di essere l’unico ad avere il diritto di condannare, ma, conformandosi alla volontà del Padre, dimostra di non essere venuto a giudicare, ma a salvare e ci indica che la giustizia di Dio è diversa da quella degli uomini… Egli fa piovere sui giusti e sugli ingiusti, il suo “stile” è lo stare accanto, il farsi prossimo, la condivisione, la com-passione, il perdono, la misericordia. Rimane però un’obiezione che ci turba: come può Dio che è Bene assoluto permettere il male? Ci affacciamo così al vertice del Vangelo: il mistero pasquale, il mistero della sofferenza dell’innocente! Quello che non può avere una giustificazione razionale. Noi conosciamo ormai del dolore tante forme con infinite sfumature, ma questo dolore è diverso, è il dolore di un Dio, è un dolore libero, accettato, voluto sia nel Figlio, “offrendosi liberamente alla sua passione…”,  che nel Padre  “non ha risparmiato il proprio figlio, ma lo ha dato per tutti noi”;  nessun dolore da noi conosciuto è così: cioè tutto e solo dolore, senza traccia di necessità. Ma questo ci fa tremare perché non possiamo non chiederci che amore è quello di un padre che non risparmia il dolore al proprio figlio. L’unica risposta possibile ancora una volta è l’abbassarsi di Dio per starci accanto, l’accettare di soffrire la stessa angoscia che non vuole, ma che, in nome della libertà, permette per le sue creature, è la certezza donata ad ogni uomo di poter essere compreso, accolto, perdonato, rinnovato. L’evento pasquale diventa mistero pasquale, diventa annuncio per me. Si stacca dalla profondità della storia per entrare nell’oggi dell’esistenza. Non scendiamo allora troppo in fretta dal Calvario, ma stiamo un po’ “presso la croce di Cristo”. Contempliamo il dolore del Crocefisso che è solo il segno, la realtà significata è l’amore di Dio per noi. Chi ama non vuol essere compatito, ma riamato. Questa è la risposta libera che attende da ciascuno di noi… il lasciarci sedurre dalla sua passione, affidarci a Lui ed entrare nella pienezza di vita che ci propone.

I crocefissi antichi non esprimono angoscia, spasimo o tragedia, ma calma, maestà e regalità. Sulla croce Gesù è glorificato, è innalzato, attira tutto a sé, regna. Perché la signoria di Cristo si rivela nella resurrezione, ma poggia sulla croce. Cristo si è fatto peccato ed è morto una volta per sempre per i nostri peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio, cioè per rendere possibile la nostra conversione.

Se avremo vissuto la quaresima non come un dono che noi facciamo a Dio, ma come una grande grazia che il Signore ci concede ogni anno, un’ulteriore opportunità per poter ritrovare la giusta via, affrancandoci dal nostro egocentrismo e rivolgendo lo sguardo verso quel volto sfigurato dal dolore e al tempo stesso trasfigurato dalla gloria, come un momento propizio per riuscire a credere veramente all’amore folle e infinito di Dio potremo cominciare fin d’ora a gustare la gioia della Pasqua. E così, come l’ultima parola allora non fu  la morte, ma la resurrezione, la vita, la gioia anche ora noi, vinti a noi stessi, saremo in Lui vincitori.

24 MARZO 2007 

                 

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