Cuffaro vuole
far l’americano
Nello spot di una tv privata, una battuta del
presidente siciliano rievoca antichi scenari cari
agl’indipendentisti di stampo mafioso. E ora ritornati di gran
moda
di Alfio Caruso
Con la coppola in testa e il bicchiere di vino in mano, Totò Cuffaro
offre una meschina caricatura di se stesso. Recita da consumato
protagonista nello spot di una trasmissione televisiva. Si presta
ovviamente a titolo amichevole, è il classico favore reso al
proprietario di un’emittente privata di Agrigento, il suo bacino
elettorale, certo di un ritorno in tempo di votazioni. Una prassi
consolidata per il re siciliano del consenso, capace in questi ultimi
anni di raccogliere una messe di suffragi a dispetto degli scarsi
risultati da governatore e di un processo per favoreggiamento della
mafia, in cui le accuse e le prove sono cresciute con il trascorrere
delle udienze.
Questa volta la fantasia non va al potere
Nella calcolata esibizione qualcosa, però, sfugge di senno e di bocca.
Cuffaro elenca gl’immancabili soprusi perpetrati da Roma
(c’impedisce di fare il ponte, i rigassificatori, gl’inceneritori e
ci mette anche le tasse sulla sanità), ha il tono e l’espressione di
chi deve scusarsi con i propri clienti e sostenitori per qualche
promessa fin qui non mantenuta. Poi tira fuori dalla coppola l’idea
per avere tutto e subito: dichiarare guerra agli Stati Uniti,
naturalmente perderla ed essere occupati dal nemico, il quale
regalerebbe alla Sicilia ciò che l’Italia le nega. Almeno per questa
volta la fantasia non è andata al potere. Cuffaro ha, infatti,
riproposto lo scenario di quanto accadde nel ‘43 con lo sbarco
alleato: secondo le intese sotterranee doveva provocare, e provocò, la
caduta del fascismo. Saltò, per il mutato parere degli Usa, soltanto
l’ultima parte del piano: la trasformazione della Sicilia nella
quarantanovesima stelletta della bandiera a stelle e strisce. Era il
progetto del movimento indipendentista guidato dai feudatari affiliati
alla massoneria e in gran parte alla mafia: li ripagarono con
un’autonomia perfino eccessiva.
Malgrado le amplissime concessioni dello statuto speciale - mai Bossi ha
pensato di ottenere altrettanto per la sua mitologica Padania -
l’approdo americano costituisce da sessant’anni la speranza segreta
di tanti, indifferenti a ritrovarsi Cosa Nostra quale compagna di
strada. Un collaboratore di giustizia, Vincenzo Sinacori, ha raccontato
che Bagarella nel ‘93 inviò Messina Denaro da un potente boss
americano, Saro Noemi, nato nel quartiere palermitano di San Lorenzo:
intendeva sapere se gli Stati Uniti fossero interessati ad avere la
Sicilia quale cinquantunesimo stato federale. Ma questo sogno di
governare l’isola per conto di una capitale, Washington, che sarebbe
molto più lontana di tutte le altre capitali (dalla Roma antica a
quella moderna, da Baghdad a Parigi, da Madrid a Napoli), piace a molti,
oltre alle cosche. La battuta di Cuffaro cade, infatti, a poche
settimane dall’intitolazione di due strade di Catania ad Antonio
Canepa e Concetto Gallo, i capi militari del folcloristico esercito
arruolato dagli indipendentisti.
Nel marasma delle pensioni a 40 anni
La decisione è stata presa dal sindaco Scapagnini, esponente di un
movimento che si chiama Forza Italia, e caldeggiata dal presidente della
Provincia Lombardo, ras cittadino e fondatore di un partitino decisivo
negli equilibri regionali. Sullo sfondo campeggia una virulenta polemica
anti-italiana, dove finiscono sotto accusa sia il sacrosanto no al ponte
sullo Stretto, sia il vano tentativo della Corte dei Conti di veder
chiaro nel marasma retributivo e pensionistico della Regione (molti si
sono congedati a 40, a 45 anni), che da sola assorbe l’80 per cento
del bilancio. Ed essendo grande la confusione in questo paradiso abitato
dai diavoli (definizione dell’abate Labat), non esiste differenza fra
Destra, Sinistra e Centro. Conta soltanto il Partito Unico Siciliano da
mille anni intento a difendere i privilegi dei soliti cinquanta cognomi
e dieci nomi. Già il Pus...