"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

L'offensiva dei liberal contro i neoconservatori per una religione più democratica e trasversale
 

”Dio è di sinistra”

di Ennio Caretto

Da qualche mese «l'America della ragione» come la definisce l'ex senatore ed ex ambasciatore all'Onu John Danforth, un repubblicano moderato e prete presbiteriano che officiò le esequie del presidente Ronald Reagan alla Cattedrale di Washington, tenta di sottrarre alla destra cristiana il monopolio di Dio acquisito alle elezioni del 2000. E un'America trasversale, che ai repubblicani di centro assomma i democratici, una buona parte della comunità ebraica, la sinistra evangelica e i laici, e che ravvisa nei «teocon» e nel loro dogma di essere i portatori della volontà divina un pericolo per la democrazia.

 

Un'America in prevalenza non secolare ma credente, che non intende espellere la religione dalla politica, ma contesta che Dio sia conservatore, distingue tra integralismo e fede, difende il principio della separazione Stato-Chiesa. Una maggioranza silenziosa che ritrovando la propria voce ha innescato un dibattito cruciale sui valori, negando che consistano nell'essere nazionalisti, militaristi, antievoluzionisti, antiaborto e antigay come vorrebbero i «teocon». Recuperiamo Dio dalla destra è la sua invocazione.

 

I primi ad attaccare gli «ayatollah americani», così li chiama Frank Rich, il columnist «liberal» del New York Times furono all'inizio dell'anno l'ex presidente Jimmy Carter, un «cristiano rinato» e un democratico, con il saggio I nostri valori a rischio: la crisi morale dell'America, e lo storico Kevin Phillips, altro repubblicano di centro, con un libro dal titolo più provocatorio, La teocrazia americana. Carter accusò i «teocon» di polarizzare la politica e di attentare alle libertà civili con il fondamentalismo: «Il Paese non fu mai così diviso nè così irregimentato» scrisse. Phillips attribuì agli evangelici il piano di trasformare l'America in una «Repubblica cristiana» dove la Bibbia sostituirebbe i codici, e il Pentagono e i grandi interessi industriali e finanziari servirebbero a esportare all'estero il loro modello di religione e di democrazia. Lo storico rimproverò anche al presidente Bush, un convertito al loro verbo, di «cavalcarne l'onda». 

 

Secondo il filosofo politico Alan Wolfe,  un maestro del pensiero «liberal» americano, quella di Carter e di Phillips fu una decisiva azione di rottura. «Oggi i libri di denuncia dei "teocon" - sottolinea Wolfe - sono  all'ordine del giorno, e possono contribuire a colmare il "God's gap”, il divario di Dio,  che questi cristiani messianici hanno aperto  a danno dello Stato di diritto».

 

Oltre a Fede e politica di John Danforth,  lo studioso elenca La politica di Gesù del teologo protestante Obery Hendricks; La politica di Dio del televangelista Jim Wallis; Il volo santo di Ray Suarez, una stella della tv; I teocon del sociologo Damon Linker; Lettera a una nazione cristiana dell'agnostico Sam Harris; e altri. A parere di Wolfe, che dirige il «Centro della religione e la vita pubblica» all'università di Boston, i libri segnano una svolta nella guerra culturale che caratterizza la campagna per il rinnovo del Congresso a novembre: «Riflettono l'umore popolare prevalente».

 

I «christianist», come i «teocon» vengono anche chiamati nei blog internet, smentiscono che in America sia sorto un contro movimento religioso. Il reverendo Jerry Falwell, uno dei loro leader, afferma che se i repubblicani fossero sconfitti alle urne «sarebbe a causa dell'Iraq e degli scandali al Congresso». Ma Danforth, che abbandonò l'Onu due anni fa in disaccordo con il presidente Bush, polemizza con Falwell: «La destra cristiana ha ridotto il Partito repubblicano a una setta - sostiene nel suo libro -, ha condotto traumatiche crociate. Nel nome di Dio, ha imposto leggi e costumi antidemocratici. Abbiamo taciuto troppo a lungo, le abbiamo lasciato troppo spazio. Il dialogo e la tolleranza delle altre fedi sono la base delle religioni. E la politica è ricerca del consenso».

 

Ma l'ex senatore ne incolpa anche la sinistra democratica: «Ha contribuito a questa involuzione con il suo secolarismo esasperato che disconosce la religiosità che anima il 90 per cento della popolazione».

 

Obery Hendricks discende da una dinastia di teologi protestanti. Lasciò la chiesa da ragazzo per ritornarvi, riferisce, «quando capii che l'insegnamento di Cristo è politicamente rivoluzionario».

 

Cristo, evidenzia ne La politica di Gesù, «non chiede solo che tu ti redima individualmente, ma che si redima altresì l'intera società, nutrendo gli affamati, vestendo gli ignudi, visitando i carcerati, curando gli ammalati». I valori cristiani sono innanzitutto questi, proclama, «e i nostri leader politici, compresi i presidenti, vanno giudicati da come li realizzano» (su questo metro di misura, Hendricks promuove Clinton e boccia Bush).

 

E’ la stessa posizione del televangelista Jim Wallis, che ne La politica di Dio invoca «la eguaglianza economica e sociale, la giustizia, la pace, la tutela dell'ambiente». Così, con la riconciliazione e l'integrazione, si protegge la famiglia, e non demonizzando i gay, le ragazze madri, i non credenti o i seguaci di altre fedi, ammonisce Wallis. La strumentalizzazione di Dio da parte dei «teocon» è il tema de Il voto santo di Ray Suarez. Il libro denuncia l'indottrinamento delle forze armate per renderle «”un esercito cristiano" degli alunni nelle scuole per prepararli alla guerra culturale, degli elettori per indurli a votare contro i «liberal». S'insegna loro, lamenta, che le nostre politica estera e guerra preventiva sono inspirate da Cristo, e che chi non è con la destra cristiana - in America e all'estero - è contro la patria. Questa identificazione tra il fondamentalismo e il Paese è inammissibile, avverte Suarez. E si basa su un presupposto falso, l'infallibilità dell'interpretazione «teocon» della Bibbia, aggiunge Sam Harris nel suo saggio Lettera a una nazione cristiana. Come si può credere, protesta Harris, che una lettura così antiquata sia la perfetta guida alla morale? Storicamente, l'America è sempre stata riformista e revisionista, deve a ciò la sua grandezza, ma oggi rischia la restaurazione.

 

Quando e quali frutti darà lo sforzo di questo Partito trasversale della tolleranza religiosa non è ancora chiaro. Alan Wolfe calcola che i conservatori di Dio siano un quarto circa della popolazione, e prevede che a poco a poco perderanno il loro potere:  «La maggioranza degli americani incomincia a decifrare che cosa si nasconda dietro la  loro fede: uno scontro tra l'ideologia e la  censura da un lato, e il pragmatismo e la libertà di pensiero dall'altro». Talune immagini, precisa, suscitano ormai disagio, «come gli aerei da guerra e i carri armati mescolati alle croci nelle chiese, o come i monumenti ai Dieci comandamenti collocati davanti ai tribunali».

 

Ma c'è chi teme che la destra religiosa riesca ancora a condizionare non solo le elezioni congressuali di novembre, ma anche quelle presidenziali del 2008. OliverThomas, un prete del Tennessee, ha lanciato un grido d'allarme: «Ricordatevi che Dio  non è la mascotte dei repubblicani, nè dei  democratici e tantomeno dell'America. Dio  trascende tutti i Partiti e tutte le nazioni. Il suo collegio elettorale è l'universo, per gli  uomini dì buona volontà».

 testo integrale pubblicato da  "Il Corriere della Sera" - 19 ottobre 2006