"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
L’identità di Gesù di Enzo BianchiVi è una domanda che non cessa di risuonare da duemila anni e che riappare ogni volta come nuova, nonostante le migliaia di risposte che ha trovato nel corso dei secoli: “Chi è Gesù?”. E’ un interrogativo posto già da Gesù stesso ai suoi discepoli, una domanda sgorgata dal cuore di quanti lo seguivano, ne ascoltavano le parole, ne vedevano i gesti: pare quasi che la forza e la vitalità di questo dilemma stia nel non lasciarsi esaurire dalle risposte e nel suo riproporsi lungo la storia alle diverse generazioni e nelle diverse culture. Sì, Gesù continua a raggiungere gli uomini, credenti e non, anzitutto come domanda. La ritroviamo anche al cuore del recente libro di Corrado Augias e Mauro Pesce – Inchiesta su Gesù – e l’interesse che guida la domanda è, da un lato, quello dell’uomo in ricerca, dell’uomo che, pur non credente, si interroga sulla figura di Gesù, e, dall’altro, quello dello storico, dello specialista dei testi evangelici e delle origini cristiane. Ne esce un testo di scorrevole lettura che offre anche al lettore non specialista, e in modo certamente incompleto e parziale, ma sostanzialmente equilibrato, una buona panoramica circa i problemi dibattuti dalla più recente ricerca storica su Gesù di Nazaret, i risultati che ha conseguito e le ipotesi che continua a formulare. Del resto, diverse scoperte archeologiche e ritrovamenti di manoscritti hanno consentito negli ultimi decenni di rinnovare lo studio dell’ambiente dell’epoca di Gesù e di situare meglio la sua figura. Così, è ormai un dato assodato parlare di Gesù come di un ebreo, meglio, di un galileo, della prima metà del i secolo dell’era volgare. L’ambiente familiare e sociale di Yeshu‘, abbreviazione di Yeshua‘, la sua formazione culturale e religiosa, il messaggio di cui si è fatto portatore (l’annuncio della venuta del regno di Dio), la vita e la morte che ha vissuto, sono completamente riconducibili all’interno del giudaismo dell’epoca. O meglio, dei giudaismi dell’epoca, avendo Gesù operato delle scelte all’interno dell’arcipelago di movimenti e gruppi giudaici di allora (all’inizio del suo ministero egli appare, secondo tutte le testimonianze evangeliche, seguace di Giovanni il Battezzatore). La sua unicità e irripetibilità è dunque interna al mondo giudaico. L’opera monumentale di John P. Meier, Un ebreo marginale, rappresenta al meglio questa corrente di ricerca della fisionomia del Gesù storico. Merito di questa ricollocazione storica della figura di Gesù è quello di riscoprire la sua umanità semplice, troppo spesso nascosta sotto il peso di una coltre splendente ma pesante di affermazioni teologiche e dogmatiche, ma anche di riscoprire la radici ebraiche della fede cristiana, che appunto risiedono nel Gesù che è ebreo per sempre, e di porre la basi per un dialogo e una ritrovata fratellanza tra cristianesimo ed ebraismo. Ma un altro merito della ricerca storica su Gesù è quello di smentire opinioni assurde (come quelle Michel Onfray, l’autore del fortunato Trattato di ateologia, che si rifa a una tradizione stantia di argomenti neganti la storicità di Gesù) o di correggere e rettificare affermazioni gratuite e infondate, spacciate come verità tenute nascoste dalla chiesa che avrebbe stabilito il suo potere grazie alla manipolazione e alla dissimulazione della verità storica. Si situa qui il discorso circa i vangeli apocrifi, a cui Augias e Pesce fanno ampio riferimento. E lo fanno sfruttando l’eco mediatica di alcune recenti scoperte (si pensi al Vangelo di Giuda) e l’uso di alcuni apocrifi fatto da un bestseller come Il codice da Vinci di Dan Brown. Uso irritante perché questa letteratura estesa e importante (e la cui produzione non fu affatto arrestata dalla chiusura del Canone, ma proseguì ben oltre il iv secolo), che consente di reperire le tracce di correnti e tendenze diverse del cristianesimo delle origini e dei primi secoli (vi sono vangeli apocrifi giudeo-cristiani, vangeli gnostici, vangeli apocrifi della vita di Gesù in cui, con ampio ricorso all’immaginazione e al meraviglioso, si narrano dettagliatamente episodi straordinari dell’infanzia di Gesù o della vita sua e dei suoi genitori), sembra ridotta al rango di buco della serratura da cui spiare un Gesù censurato dai vangeli canonici. Il brano del Vangelo di Filippo (II-III sec.?) riportato da Dan Brown e ripreso da Augias e Pesce in cui si dice che “Maria Maddalena era la compagna di Gesù e lo baciava spesso sulla bocca” in realtà andrebbe correttamente riportato con alcune parole tra parentesi quadre, perché si tratta di un testo corrotto e parzialmente ricostruito congetturalmente dagli studiosi, inoltre tutto è, fuorché un’informazione sulla vita sessuale di Gesù. Il vocabolario a sfondo nuziale e sessuale era in realtà in questi ambienti gnostici (da cui proviene pure il Vangelo di Maria Maddalena, anch’esso usato da Dan Brown) un vocabolario iniziatico, didattico: il vocabolario affettivo esprime la trasmissione di un insegnamento o di una rivelazione dal maestro al discepolo. Un approccio storico è l’unico che può liberare questa letteratura da un uso scandalistico e sensazionalistico e che può stabilire il valore storico (molto ineguale) di ciascuno di questi scritti: il Vangelo di Tommaso (una raccolta di 114 detti di Gesù senza cornice narrativa: in sostanza una sequela di frasi introdotte da “Gesù disse:…”) è normalmente utilizzato dagli studiosi dei vangeli sinottici, anche se diverso è il valore storico di ciascun detto all’interno della stessa raccolta. L’importanza del Gesù della storia è fondamentale anche per la teologia in quanto l’identità del Dio cristiano è determinata dal suo rapporto di identificazione con un personaggio storico, l’uomo Gesù di Nazaret. Se il cristianesimo è un monoteismo lo è in maniera molto particolare (e molto diversa dall’ebraismo e dall’islam): è un monoteismo trinitario in cui il volto di Dio è narrato da Gesù, il Cristo. Ovvero: ciò che può essere conosciuto e predicato di Dio è ciò che è stato vissuto e predicato da Gesù. Qui, il rapporto con la storia assume un’ultima colorazione. Che riguarda in particolare il credente. I vangeli non sono, quanto a genere letterario, una cronaca o una biografia: troppe cose non ci dicono di Gesù perché possano essere assimilati a una biografia. Il genere letterario “vangelo” postula un rapporto particolare con il lettore, vuole condurlo alla decisione di fede: vuole che la storia di Gesù ridiventi storia attuale nella sua storia personale e nella storia della chiesa nel mondo. Al di là delle ricostruzioni storiche della figura di Gesù, il Gesù che emerge per il credente dai vangeli è sempre un Gesù confessato, creduto, che lo coinvolge in ogni tempo. Pertanto è la prassi dei cristiani e delle chiese nella storia che decide della loro buona o cattiva comprensione della vicenda di Gesù: la loro testimonianza è la risposta più credibile all’inesauribile domanda sull’identità di Gesù. La storia che essi costruiscono narra la loro fedeltà o meno al Gesù che passò facendo il bene e guarendo, amando fino alla fine i suoi discepoli, anche i nemici, anche gli aguzzini. Si può capire quindi perché, secondo alcune voci, Benedetto XVI stia lavorando a un testo che riaffermi la fede della chiesa in Gesù, richiamando tutti a tenere lo sguardo fisso su quest’uomo che in una vita pienamente umana ha “narrato” il Dio che nessuno ha mai visto né può vedere su questa terra. Sì, perché il cristianesimo è un “monoteismo” nel quale tuttavia Dio si è fatto uomo, e nel quale un uomo concreto, reale ci ha parlato definitivamente di Dio dall’intimo stesso della sua vita. testo integrale pubblicato da "Avvenire" - 15 ottobre 2006 |