"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
La schiavitù, abolita nel mondo 80 anni fa Cosa d'altri tempi ma ne siamo proprio sicuri? di Giuseppe AnzaniSono 80 anni giusti, oggi, che il mondo degli uomini ha scritto su tavole di legge l'abolizione della schiavitù. Sull'orologio della "civiltà" dell'homo sapiens, paragonata alla durata di un giorno, la data della Convenzione di Ginevra del 27 settembre 1926 cade a 6 minuti dalla mezzanotte. Ci coglie un'infinita vergogna d'essere così a lungo stati uomini così; persino la monumentale sapienza del diritto romano tenne gli schiavi simili a "cose" possedute; e ci volle una guerra civile, nella secessione americana, per liberare i negri dall'esser comprati e venduti. Forse hanno ragione gli etologi a dire che la pienezza umana del "sapiens sapiens" è un traguardo progressivo, faticoso, incompleto. Da 80 anni la schiavitù è bandita dalla legge, per quel grande patto firmato a Ginevra, ed è giusto togliere dal silenzio l'anniversario. Vi compare la definizione di schiavitù, quale condizione in cui un uomo è posseduto da un altro uomo, utilizzato alla stregua di una proprietà. È ripudiata ogni cattura, acquisto, vendita, scambio, cessione, commercio, trasporto. Gli Stati s'impegnano a sanzioni severe nelle loro leggi, e a darsi reciproca assistenza. Le parole sono forti, ma resta sullo sfondo il sentore di una decisione nutrita più di speranze che di certezze, circa la definitiva sconfitta pratica di questa infamia del mondo. Le leggi "interne" sono fioccate (quella italiana durissima), ma dopo 30 anni l'Onu avvertiva ancora il bisogno di riaprire, con la Convenzione del 7 settembre 1956, il tema della libertà dell'uomo, «diritto nativo di ogni essere umano»; e gettava in un nuovo crogiolo, nel solco della Dichiarazione Universale del ‘48, oltre alle figure classiche in declino anche le nuove forme di schiavitù; cogliendo l'identico delitto in vicende quali la schiavitù per debiti, il lavoro forzato, l'asservimento della donna, lo sfruttamento dei bambini. Oggi avvertiamo che ciò non fu una dilatazione concettuale, ma una messa a fuoco preveggente. Oggi conosciamo le nuov e piste dei carovanieri e dei mercanti di carne umana, non distrutte, non debellate, lungo le quattro direzioni individuate. Quella dello strangolamento economico. Quella della tratta di una forza-lavoro legata alla gleba del nero e del sommerso. Quella del corpo mercificato delle donne costrette con l'inganno e la violenza al marciapiede. Quella del mercato dei bimbi usati e forzati alla mendicità. L'Italia non ne è immune. Certo abbiamo leggi severe; e nel solco della sentenza della Corte Costituzionale 8 Giugno 1981 n. 96, le nostre Corti d'Assise hanno adottato una giurisprudenza inflessibile in tema di riduzione in schiavitù. Ma lo scandalo è che il turpe mercato dei nuovi schiavi ancora non sia stato estirpato; che le cronache ricorrenti di simili fatti non facciano esplodere un'attiva rivolta della coscienza comune, a partire dai molti che sanno e vedono e tacciono; o peggio che "comperano" da utenti finali i servigi che schiavi e schiave sono forzati a vendere per non morire. testo integrale pubblicato da "Avvenire" - 26 settembre 2006 |