"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"
I parlamentari cattolici e l´obbedienza ai vescovi di GIUSEPPE ALBERIGO La
Conferenza Episcopale Italiana ha inaugurato la stagione successiva alla
lunga presidenza Ruini con una "Nota" del Consiglio di
presidenza, che adempie un annuncio pubblicato dallo stesso cardinale
Ruini il 13 febbraio scorso. Il testo riguarda la famiglia fondata sul
matrimonio e le iniziative legislative in materia di unioni di fatto, come
recita il titolo. In realtà il cuore dell´atto è costituito dalle
eventuali norme che il Parlamento italiano potrebbe esaminare per regolare
le «coppie di fatto». Infatti alla famiglia il Consiglio di presidenza
della Cei – costituito tutto da celibatari che della famiglia hanno solo
un´esperienza remota.. . – dedica in tutto qualche veloce riga priva di
qualsiasi novità. Il che non è privo di interesse poiché è proprio il
rapporto sponsale tra uomo e donna che la Bibbia indica come il
"modello" della stessa relazione tra il Cristo e la Chiesa. E´
deludente che i Vescovi non abbiano colto l´occasione per toccare tanto
argomento con maggiore afflato. Ma l´attenzione era tutta concentrata
sulle prospettive di iniziative parlamentari di cui si parla da settimane.
Vero è che secondo l´orientamento della Segreteria di stato vaticana,
espresso dallo stesso cardinale Bertone, la Cei dovrebbe dedicarsi agli
aspetti pastorali della vita cristiana nel nostro Paese, ma l´ombra della
presidenza Ruini è lunga e persistente e almeno questo atto ne risente
abbondantemente. Soprattutto alcuni passaggi della parte
"politica" del documento sono estranei a qualsiasi spirito
pastorale, come quando si vorrebbe negare che il diritto possa dare forma
giuridica o riconoscimento a tipi di convivenza: affermazione paradossale,
estranea a qualsiasi sana concezione del diritto. Entrando nel vivo dell´argomento,
la Nota formula «una parola impegnativa» rivolta «specialmente ai
cattolici che operano in ambito politico». Dopo aver citato un passo
della recente esortazione di Benedetto XVI sull´impegno dei Vescovi a
essere fedeli alla loro responsabilità nei confronti del gregge, la Nota
afferma che «sarebbe incoerente quel cristiano che sostenesse la
legalizzazione delle unioni di fatto». Seguono due ampie citazioni di
atti della Congregazione per la dottrina delle fede, emesse quando essa
era diretta dall´allora cardinale Ratzinger, quasi che fossero atti del
Papa stesso, dato che poi Ratzinger è stato eletto a successore di
Pietro. L´atto si conclude affidando le riflessioni che precedono «alla
coscienza di tutti e in particolare a quanti hanno la responsabilità di
fare le leggi». Qual è la portata di questo documento? E´ proprio vero,
come alcuni sostengono, che obbligherebbe i parlamentari cattolici a
negare la loro approvazione a norme che regolassero le «unioni di fatto»
(neologismo orrendo, che vorrebbe caricaturare rapporti di amore spesso
non meno intenso che nel matrimonio-sacramento!)? Il Consiglio di
Presidenza impone «obbedienza» su questo argomento? I parlamentari
credenti sono tenuti a prestarla? La semplice formulazione di questi
interrogativi aiuta a comprenderne l´assurda improponibilità. E´
improponibile che dei membri di un parlamento liberamente eletto possano
essere vincolati a un´obbedienza estranea alle loro convinzioni di
coscienza. E´ quasi incredibile che i Vescovi vogliano impegnare la loro
autorevolezza su questo argomento, mentre trascurano di invitare i
parlamentari a negare il loro voto a atti di guerra, ben più anti
evangelici delle unioni di fatto. E´ altrettanto incredibile che i
Vescovi chiedano impegno in questa circostanza, mentre non hanno fatto
niente di simile a favore della deplorevole condizione degli
extracomunitari. D´altronde i cattolici italiani hanno già sperimentato
l´inanità di richieste analoghe quando il "non expedit"
avrebbe voluto imporre l´astensione dalle elezioni per "punire"
l´Italia che nel 1870 aveva annesso Roma, eliminando il potere temporale
dei papi. La piena cittadinanza dei cattolici italiani é stata guadagnata
con la disobbedienza a quella imposizione. In realtà si ha l´impressione
che anche tra i membri della Presidenza della Cei abbia serpeggiato
qualche dubbio, che affiora anche nelle pieghe della "Nota", che
comunque non è stata sottoposta al consenso dell´intero episcopato
italiano. L´invito conclusivo ai parlamentari «affinchè si interroghino
sulle scelte coerenti da compiere e sulle conseguenze future delle loro
decisioni» ha un tono che riecheggia quanto aveva dichiarato qualche
giorno prima Bagnasco quando aveva detto che la nota non sarebbe stata
usata come «una clava». Nè é superfluo rileggere quanto il Concilio
Vaticano II ha solennemente richiamato a proposito del fatto che «gli
imperativi della legge divina l´uomo li coglie e li riconosce attraverso
la sua coscienza che egli è tenuto a seguire fedelmente». Bisogna
augurarsi che questo atto sia inteso nella sua intenzione esortativa,
evitando che abbia effetti laceranti nel Paese e nella comunità cattolica
in seno alla quale migliaia di fedeli, spesso coppie unite nel sacramento
del matrimonio, hanno manifestato la loro ansia per un episcopato che
sembrerebbe pronto a esprimersi solo in congiunture politico-parlamentari.
In questi giorni la nazione e i cattolici in modo speciale, hanno preso
commiato, con rimpianto e con riconoscenza, da Nino Andreatta che nell´ultimo
mezzo secolo è stato uno dei più impegnati esponenti della vita
pubblica. Da credente Andreatta ha servito la Repubblica con grande lealtà
e ha promosso in molte circostanze la vita cattolica, rifiutando
fermamente, come già prima De Gasperi, i conflitti che in qualche
circostanza comportamenti ecclesiastici poco avveduti avrebbero potuto
innescare. Secondo questo spirito tutti gli italiani, cattolici e non
cattolici, non possono che augurare all´Episcopato con la guida di
Bagnasco e nella prospettiva di una equiparazione allo statuto delle altre
conferenze del mondo, una sempre più avvertita, feconda e serena
percezione dei bisogni della comunità nazionale e dell´annuncio
evangelico in modo che ciascuno possa offrire il meglio di sè e del
proprio patrimonio di vita. testo integrale pubblicato da "La Repubblica" - 30 marzo 2007 |