"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

Cattolici e islamici ai funerali di suor Leonella

Fianco a fianco le saranno piaciuti

di Giulio Albanese

Suor Leonella è morta insieme alla sua guardia del corpo, un uomo di fede islamica. In apparenza potrebbe sembrare una strana coincidenza del destino, eppure, a pensarci bene, ci troviamo di fronte a un misterioso segno della Provvidenza. È in fondo questo il forte messaggio lanciato ieri da monsignor Giorgio Bertin, arcivescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio. Il presule ha infatti rilevato, nel corso della sua toccante omelia, come cristiani e musulmani potendo morire insieme, possano anche vivere insieme.
In effetti, le lacrime, in questa dolorosa circostanza della vita, sono davvero state versate da tutti, cristiani e musulmani, credenti e non credenti. Bastava dare un'occhiata alla folla che ha gremito nel corso delle esequie il santuario della Consolata, a Westlands, nella periferia occidentale della capitale keniana, Nairobi. Ad assistere ai funerali c'era un mare magum di fedeli, ma anche tanti somali della diaspora e gente comune rimasta edificata dalla straordinaria testimonianza di vita della religiosa caduta domenica scorsa in un agguato.
Addirittura le Corti Islamiche di Mogadiscio, fautrici della sharia (la legge islamica), che dal giugno scorso controllano la capitale somala, hanno inviato - tramite Mario Raffaelli, inviato speciale del governo italiano per il processo di pace somalo - un commosso messaggio di cordoglio. In effetti, i germi di bene che suor Leonella, unitamente alle sue coraggiose consorelle, ha seminato in terra somala, sembrano miracolosamente germogliare nel cuore di tutti coloro che hanno sperimentato lo straordinario zelo missionario della Consolata. Una presenza protesa alla testimonianza di una verità sacrosanta, misconosciuta da coloro che hanno perpetrato le ignobili uccisioni nel nome di un dio con la "d" minuscola. Il Dio della Bibbia, non dimentichiamolo, è un nome di pace e non può essere usato come argomento per uccidere persone innocenti. Come affermò sapientemente papa Giovanni Paolo II nel Mes saggio per la Giornata Mondiale della Pace del 2002, "il terrorismo strumentalizza non solo l'uomo, ma anche Dio, finendo per farne un idolo di cui si serve per i propri scopi". Ecco perché un po' tutti dovremmo avere la temerarietà di andare al di là di ogni forma di risentimento, ricorrendo all'armi incruente della profezia e del dialogo, unici veri antidoti agli oscuri presagi del nostro tempo.
Se da una parte occorre dare voce a chi non ha voce, difendendo il valore sacrosanto della vita sull'esempio della comunità missionaria di Mogadiscio che in questi anni ha infuso speranza a gente disperata; dall'altra, facendo memoria proprio delle uccisioni perpetrate a Mogadiscio, risulta sempre più evidente che il dialogo tra le comunità di fede ha un valore strategico anche per la convivenza civile. In tante occasioni non dimentichiamolo, soprattutto in questo primo segmento del Terzo Millennio caratterizzato dall'insidiosa ideologia dello Scontro la le civiltà, il dialogo è stato un vero e proprio strumento di pace che ha incoraggiato gesti importanti e coraggiosi. D'altronde - ed è la storia ad insegnarlo - lo scambio fecondo di gesti e parole di vita, quello che lascia il segno nel cuore degli uomini, nasce anzitutto e soprattutto dal basso, dalle periferie del mondo missionario. Non è un dialogo tra facoltà teologiche o circoli accademici ma tra uomini e donne che cercano una convivenza davvero pacifica. È quello che il compianto Giovanni Paolo II chiamava "il dialogo della vita". Questo - siamone certi - è stato testimoniato fino in fondo da suor Leonella.

   testo integrale tratto da "AVVENIRE" - 22 SETTEMBRE 2006           

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Lei e le consorelle consapevoli del pericolo che correvano

Suor Leonella con gli occhi spalancati lungo i sentieri del martirio

di Giulio Albanese

Suor Leonella sapeva molto bene che stando a Mogadiscio avrebbe rischiato la vita. Eppure è rimasta al suo posto, assieme a quel minuscolo drappello di consorelle che da anni si prodigano a servizio dei più poveri e abbandonati. Per chi le ha viste all’opera nell’orfanotrofio Sos Kinderdorf o prodigarsi nel vicino ospedaletto di pediatria, sembrano essere una sorta di piccolo manipolo "non violento" di caschi blu di Dio col velo in testa, una straordinaria forza d’interposizione evangelica dispiegata per seminare i germi di una nuova umanità. Lungi da ogni forma di proselitismo, suor Leonella ha testimoniato l’amore di Dio, in quella remota periferia del mondo, dimenticata da tutto e da tutti, non lontano dal tristemente noto “check-point pasta” in cui nel luglio del 1993 morirono tre soldati del nostro contingente di pace. In fondo ciò che stava davvero a cuore a suor Leonella era il riscatto di quella umanità dolente immolata quotidianamente sull’altare dell’egoismo umano dai famelici Signori della guerra. «Dulce et decorum est pro patria mori», scriveva Orazio: «è cosa dolce e degna morire per la patria». Ma per questa missionaria della Consolata il sacrificio della vita è andato ben oltre l’eroismo avendo il suo impegno un orizzonte molto più ampio, quello della fede. Vengono alla mente le parole del beato Charles de Foucauld: «Appena ho creduto che c’era un Dio, compresi che non potevo fare altrimenti che vivere solo per Lui». Di questa stoffa sono fatti i martiri come suor Leonella. Ecco perché sarebbe auspicabile che l’Italia rendesse omaggio a questa nostra connazionale la quale ha camminato lungo il sentiero del martirio, in quella terra dove sono già caduti altri missionari – ahimè in gran parte ignorati dalla grande stampa – del calibro di monsignor Salvatore Colombo (1989), padre Pietro Turati (1993), la dottoressa della Caritas Graziella Fumagalli (1995) e la missionaria laica Annalena Tonelli (nel vicino Somaliland, 2003). Tutti uomini e donne che han no reso onore al nostro Paese affrontando gratuitamente, senza alcuna protezione di sorta, ogni rischio e avversità nel nome di una fraternità universale, unico vero antidoto ai fautori della violenza. Quello che caratterizza la celebrità mondana è la visibilità nel regno dell’effimero, mentre nel caso di queste sentinelle della carità, cadute nella vigna del Signore, ciò che davvero contava più di tutto era la visione di un mondo capovolto, quello delle Beatitudini. Affidandosi completamente a Dio queste anime hanno superato l’inevitabile paura della morte. Non a caso nel libro dell’Apocalisse leggiamo che i martiri «hanno vinto l’Accusatore dei nostri fratelli, colui che li accusava davanti al nostro Dio giorno e notte». Essi hanno infatti cancellato ogni sospetto sull’autenticità della loro fede attraverso un sacrificio totale che non poteva garantire loro alcun effimero vantaggio. Una cosa è certa. Le missionarie della Consolata presenti in Somalia sono sempre state “venerate” dalla loro gente. Si tratta di uomini, donne, vecchi e bambini i quali, sebbene pratichino rigorosamente la fede islamica e alcuni addirittura nutrano sentimenti di avversione nei confronti dell’Occidente, hanno saputo cogliere nella testimonianza di queste nostre connazionali uno straordinario messaggio di speranza. È vero, domenica alcune menti perverse hanno aperto il fuoco contro suor Leonella, proprio come avvenne agli altri missionari falciati impunemente dalla violenza jihadista. Ma sarebbe ingiusto fare di tutte le erbe un fascio, pensando che in Somalia – Paese senza Stato dal lontano 1991, quando cadde il regime di Siad Barre – siano tutti pervasi dalle folli dottrine degli assertori della guerra santa. Perché tutti sanno, a Mogadiscio e dintorni, che le suore della Consolata hanno conquistato il cuore della popolazione soccorrendo i più bisognosi, facendosi incondizionatamente “prossime” ai più deboli, come il Buon Samaritano. Non a caso, un anziano del quartiere di Huriwa avev a saggiamente ammonito che se un giorno la Somalia avesse perso queste religiose, il Paese sarebbe rimasto come un cielo senza stelle.

testo integrale tratto da "AVVENIRE" - 20 SETTEMBRE 2006