IL CONTINENTE AFRICANO E I PAESI
"RICCHI"
Pari
dignità,
non
stucchevoli pietismi
di
Giulio Albanese
Ogni qualvolta tentiamo di parlare
delle Afriche - è meglio usare il plurale, trattandosi di un continente
grande tre volte l'Europa - c'è il rischio di indugiare ad oltranza sulle
negatività che affliggono milioni di uomini e di donne. Quasi che il
tempo, da quelle parti, fosse inesorabilmente fermo al "Venerdì
Santo". In effetti, come peraltro ampiamente documentato in più
circostanze da questo giornale, è davvero inquietante quanto sta
accadendo nella tormentata regione sudanese del Darfur, come anche in
terra somala, soprattutto a Mogadiscio e dintorni. Eppure, per quanto
grandi possano essere le disgrazie che assillano il pianeta della
"negritudine", occorre sforzarsi di andare al di là delle
solite percezioni superficiali di certa comunicazione. Quelle cioè
banalizzanti, che riducono le Afriche ad una sorta di nebulosa, metafora
dei peggiori disastri della Storia antica e recente. Nell'inconscio della
nostra gente v'è ancora radicato un forte pregiudizio, retaggio
dell'epoca coloniale, per cui tutto si riduce ai soliti stereotipi di
atrocità, guerre, carestie, pandemie e cronica instabilità. Basta dare
un'occhiata ai soliti reportage strappalacrime, infarciti di carità
pelosa o seguire le disquisizioni nei salotti dell'etere sulle
disavventure di qualche improvvido connazionale in cerca d'avventure nelle
savane tropicali per comprendere come le Afriche rimangano sempre e
comunque primitive, prelogiche; nella migliore delle ipotesi paradisi
esotici all'eccesso e dunque meta di tutti i turismi immaginabili.
Occorre sfatare quei luoghi comuni nella consapevolezza che il continente
africano è un poliedrico contenitore di sapienza multisecolare, luogo di
passioni, ricchezza culturale e artistica, "mare magnum" di
etnie fatte di volti con le loro storie da scoprire, distanti da quelle di
noi ricchi Epuloni. Un continente che non mendica la nostra beneficenza
infarcita di stucchevoli pietismi, ma che invoca il riconoscimento della
propria dignità attraverso una so lidarietà fattiva e la promozione di
un senso di reciproca corresponsabilità.
Ecco perché sarebbe auspicabile, stando alle anticipazioni dell'ultima
fatica letteraria di Benedetto XVI, che rivedessero la loro condotta le
nazioni che ad oltranza "esportano il cinismo in un mondo senza
Dio". "Le nazioni ricche - scrive il Papa - hanno ferito i
poveri spiritualmente, disperdendo o cercando di annullare le loro
tradizioni culturali e spirituali".
Viene alla mente, come una sorta di provocazione, "Africa Paradis"
("Paradiso Africa") del beninese Sylvestre Amoussou presentato
nel febbraio scorso al Fespaco (Festival Panafricain du Cinéma et de la télévision
de Ouagadougou), la biennale del cinema africano. Una visione sicuramente
fantapolitica, all'eccesso, ma che, per la sua peculiarità, ha colto il
favore della critica. Nel filmato l'Europa è diventata un continente
invivibile, lacerato da guerre, disoccupazione e povertà. Un nuovo Medio
Evo in cui i bianchi fanno la coda per ottenere il visto per l'Africa,
continente ricco e rigoglioso, nel quale le famiglie vivono immerse nel
lusso sfrenato, i figli studiano nelle migliori università e fanno
carriera. Ma convincere i funzionari afro non è semplice. C'è chi, tra i
bianchi, è disposto a pagare per essere traghettato di nascosto nel nuovo
paradiso, dove l'immigrazione è rigidamente controllata. Il
lungometraggio di Amoussou, presenta un mondo capovolto in un'esilarante
parodia-satira dell'oggi. Per carità, questo mondo alla rovescia
spaventa, non foss'altro perché contrasta con la visione positiva di un
villaggio globale, fondato sulla fraternità universale, dove dritto e
rovescio abbiano pari dignità. Per questo occorre vigilare affinché
ognuno, in Africa e nel cosiddetto primo Mondo, si assuma la propria parte
di responsabilità, passando le "Acque del Mar Rosso" per
celebrare davvero la Pasqua del Signore.
Testo integrale tratto da “Avvenire” – 08.04.2007