Il
cardinale Ruini motiva la negazione del funerale religioso a
Piergiorgio Welby, afferma sull'eutanasia una posizione più
vicina a quella del vescovo Sgreccia che a quella del cardinale
Martini, conferma il «no» tondo alle coppie di fatto. Dice che
la decisione su Welby è stata «sofferta», ma essa era resa
necessaria dalla «volontà» suicida espressa «lucidamente» da
Piergiorgio. Il funerale in chiesa avrebbe «legittimato» quell'intenzione,
contraria «alla legge di Dio».
Ruini
ha parlato ad apertura della sessione invernale del Consiglio
permanente della Cei. Era la prima volta che trattava
pubblicamente del caso Welby, avendo avuto l'ultima parola sulla
questione del funerale in quanto vicario di Roma.
Il
cardinale ha posto in risalto questo suo coinvolgimento diretto:
la vicenda «mi ha chiamato in causa personalmente, quando è
giuntala richiesta del funerale religioso dopo la sua morte». «La
sofferta decisione di non concederlo», ha ricordato, «nasce dal
fatto che il defunto, fino alla fine, ha perseverato lucidamente e
consapevolmente nella volontà di porre termine alla propria vita:
in quelle condizioni una decisione diversa sarebbe stata infatti
per la Chiesa impossibile e contraddittoria, perché avrebbe
legittimato un atteggiamento contrario alla legge di Dio».
Ruini
ha avuto parole sentite sugli aspetti drammatici della vicenda: «Nel
prendere tale decisione non è mancata la consapevolezza di
arrecare purtroppo dolore e turbamento ai familiari e a tante
altre persone, anche credenti, mosse da sentimenti di umana pietà
e solidarietà verso chi soffre, sebbene forse meno consapevoli
del valore di ogni vita umana, di cui nemmeno la persona del
malato può disporre».
A
proposito del testamento biologico, il cardinale ha riaffermato il
«rifiuto dell'eutanasia quali che siano i motivi e i mezzi, le
azioni o le omissioni, addotti e impiegati al fine di ottenerla».
Ha anche definito «legittimo» il rifiuto dell'accanimento
terapeutico, ma ha puntualizzato che «la rinuncia all'accanimento
non può giungere al punto di legittimare forme più o meno
mascherate di eutanasia e in particolare quell'abbandono
terapeutico che priva il paziente del necessario sostegno vitale
attraverso l'alimentazione e l'idratazione».
Sulle
«unioni di fatto» il presidente dei vescovi ricorda che quelle
omosessuali contrastano «con fondamentali dati antropologici» e
motiva così la contrarietà della Chiesa al «riconoscimento
legale» di quelle eterosessuali: i diritti dei «conviventi» e
dei loro figli sono già assicurati dal «diritto comune» e
quella «protezione» può essere migliorata «attraverso
modifiche del codice civile»; non è dunque necessario «creare
un modello legislativamente precostituito, che inevitabilmente
configurerebbe qualcosa di simile a un matrimonio, dove ai diritti
non corrisponderebbero uguali doveri».
La
presa di posizione di Ruini sulle unioni di fatto ha riacceso lo
scontro tra laici e cattolici e anche chi nell'Unione è
normalmente allineato con la Cei rivendica l'autonomia della
politica. Il capogruppo dell'Ulivo Dario Franceschini precisa
che «il Parlamento legifererà» sul tema e il ministro Rosy
Bindi parla di «autonomia». Fortemente negativi i commenti che
vengono da sinistra e laici mentre a favore si sono schierati vari
esponenti della Cdl, da Alleanza nazionale a Forza Italia, all'Udc.
Sull'eutanasia,
invece, il presidente dei senatori dell'Ulivo, Anna Finocchiaro, e
Ignazio Marino (Ds), apprezzano le parole del presidente della Cei:
«Come già nell'intervento del cardinale Martini, in Ruini si
legge con chiarezza la differenza sostanziale tra eutanasia ed
accanimento terapeutico, un'impostazione che condividiamo».
Mina
Welby ha detto che «il cardinal Ruini ancora oggi non ha capito
la storia di mio marito», che «è stato addormentato per poter
morire tranquillo, non è stato ucciso». Il suo «non è suicidio».