"Tempo Perso - Alla ricerca di senso nel quotidiano"

Da Tettamanzi a Ratzinger

di Luigi Accattoli

Lunedì il cardinale Dionigi Tettamanzi aveva aperto il convegno di Verona invitando i cattolici italiani a ritrovare «lo stile del Vaticano II», che mirava a realizzare una comunità cristiana «intimamente solidale» con l'umanità che la circonda.

 

  Ieri papa Ratzinger ha parlato alla stessa assemblea con un linguaggio molto meno fiducioso su quella possibilità di condivisione, drammaticamente teso a denunciare «l'insidia del secolarismo» che minaccia tutto il mondo e che anche in Italia vorrebbe «escludere Dio dalla cultura e dalla vita pubblica».

 

 Il cardinale non si era nascosto i «tantissimi mali» della nostra epoca, ma aveva invitato a vincerli parlando all'umanità di oggi «con speranza» e proponendo a essa nella «condivisione» di «gioie e dolori» la «specifìcità cristiana», senza preoccuparsi tanto della sua «distanza» dal cristianesimo, quanto di far risaltare la «differenza» di quest'ultimo, intesa come capace di vincere quella distanza.

 

 Il Papa ha indicato invece come prioritario l'impegno a recuperare una «piena cittadinanza» alla fede cristiana nel nostro tempo, «fronteggiando» con «determinazione» quelle «scelte politiche e legislative» che tendono ad allontanare la società italiana dalla tradizione cristiana. Per fare questo i cristiani dovrebbero «incrementare» il loro «dinamismo» sulla scena pubblica, sapendosi anche alleare con persone che avvertono la stessa urgenza, benché «non condividano la nostra fede».

Su questo punto dei «teocon» era sembrato invece che il cardinale di Milano avesse messo in guardia dal fare affidamento su chi «si proclama cristiano senza esserlo».

 

 Tettamanzi era stato molto applaudito dai 2.700 convegnisti e il Papa lo è stato ancora di più. Per cogliere appieno la compresenza di queste due anime nelle giornate veronesi occorre proiettare l'evento di ieri sullo sfondo dell'ultimo tribolato trentennio della cattolicità italiana.

 

 Ieri a Verona Papa Ratzinger si è ricollegato a quanto aveva affermato il predecessore Wojtyla più di vent’anni fa, all'analogo convegno di Loreto (1985), quando aveva chiamato la Chiesa italiana ad avere «un ruolo guida e un'efficacia trainante» nella vita del Paese. Il convegno di Loreto era presieduto dai cardinali Ballestrero (allora presidente della Cei) e Martini (presidente del comitato preparatorio, ruolo che per Verona ha svolto Tettamanzi): ambedue uomini della «scelta religiosa», che cioè rifuggivano dall'impegnare la Chiesa in battaglie sulla scena pubblica.

 

 Per dare seguito a quella consegna di fare della Chiesa una «forza sociale», il papa polacco chiamò il vescovo Camillo Ruini alla segreteria della Cei e poi lo fece cardinale e gli affidò per tre volte la presidenza della Cei. Ieri papa Ratzinger ha come premiato quell'opera ventennale e gli applausi dell'assemblea sono stati la riprova che l'impresa ruiniana è sostanzialmente riuscita.

 

 Solo una minoranza a Loreto aveva consentito spontaneamente con la chiamata wojtyliana, mentre ieri a Verona si è ritrovata in minoranza l'ala che non ha battuto le mani, o le ha battute di meno. Questi sofferenti dell'ora presente erano stati i più entusiasti nell'ascoltare la prolusione del cardinale Tettamanzi, i suoi richiami al Concilio e ai «messaggi di fiducia» di Paolo VI.

 

 Essendo in questione diciamo: da qui a un anno la sostituzione del cardinale Ruini alla presidenza della Cei, dalle giornate veronesi è venuto un segnale favorevole a un successore in linea con l'attuale presidenza: Betori o Caffarra o Scola, più che Tettamanzi o Antonelli o Monari.

 testo integrale pubblicato da  "Il Corriere della Sera" - 20 ottobre 2006