«LUMEN GENTIUM»
Intervista al cardinale Cottier sul significato della più importante costituzione conciliare

Da 40 anni una luce sulle strade del mondo

Di Giorgio Bernardelli

È l'asse portante del Concilio Vaticano II. E oggi compie 40 anni. Il 21 novembre 1964 la costituzione dogmatica Lumen Gentium, quella sulla Chiesa, veniva infatti approvata dai Padri conciliari con 2151 voti favorevoli e solo 5 contrari. Vedeva così la luce il testo in cui si ponevano le basi per le pagine più recenti del Magistero. Quarant'anni dopo come guardare a questo documento? E quali suoi spunti non sono stati ancora realizzati appieno? Ci lasciamo guidare nella riflessione dal cardinale Georges Marie Cottier, pro-teologo della Casa pontificia, che partecipò al Concilio.
Eminenza, come è nata la Lumen Gentium?
«È un testo che durante il Concilio è maturato molto, sia nella redazione che sotto la spinta degli interventi dei vescovi. Rileggendolo a 40 anni di distanza vediamo ancora tutta la sua novità. Ha consacrato un grande sforzo compiuto dalla teologia sul tema della Chiesa negli anni precedenti al Vaticano II: penso a Congar, a Journet e a tanti altri che hanno modellato un'ecclesiologia. Prima di loro era un capitolo forse troppo ristretto nell'orizzonte della polemica post-tridentina contro il mondo protestante. Una riflessione più apologetica che dottrinale. Il grande frutto, invece, di questi teologi e del Concilio è stato mettere in evidenza quello che la Lumen Gentium, nel primo capitolo, definisce il mistero della Chiesa, il suo legame con ciò che è il cuore della fede cristiana».
Si cita spesso la formula «ecclesiologia di comunione». Che cosa si intende?
«È una definizione nata in un Sinodo successivo che però legge in profondità l'ispirazione conciliare. Ci dice, appunto, che la Chiesa è mistero di fede. Come scriveva già Pio XII, è corpo che vive della fede, della speranza e della carità. Troppi cristiani, purtroppo, oggi guardano alla Chiesa con uno sguardo esteriore quasi da sociologi. Ma così si ignora ciò che la costituisce davvero, il mistero della comunicazione della vita di Dio. Non per niente la Lumen Gentium comincia con uno sgu ardo sulla Santissima Trinità. Parla della Chiesa come sacramento dell'azione di Cristo nell'umanità. Questi aspetti che definirei mistici della Chiesa, debbono essere al centro della nostra fede. Ed è per questo che dobbiamo amare molto la Chiesa. Anche se dentro di essa si deve praticare il perdono e la misericordia. Perché la Chiesa santa è fatta di persone che sono, come tutta l'umanità, peccatori ma chiamati alla vita divina, cioè alla santità. Tutti e in qualsiasi contesto, come ci insegna proprio questo testo conciliare».
Uno dei temi più ripresi è quello della collegialità nell'esercizio del ministero dei vescovi.
«La dottrina dell'episcopato è stato uno dei punti che ha richiesto maggior lavoro. Già il Concilio Vaticano I avrebbe voluto affrontare anche questo tema, ma rimase a metà perché gli eventi politici lo interruppero. Così il Vaticano II riprese il discorso con la dottrina della grazia episcopale e, in questo contesto, il tema della collegialità. Un elemento della tradizione, sul quale però non era stata posta abbastanza attenzione. Oggi, con l'esperienza concreta dell'universalità della Chiesa (un altro frutto del Concilio), possiamo pensare di vivere in maniera più piena questa collegialità, dandoci degli strumenti e degli organi. Il Sinodo dei vescovi, in questo senso, è un segno importantissimo».
Perché la Lumen Gentium dedica un intero capitolo alla figura di Maria?
«All'inizio del Concilio c'erano due tendenze. Una considerava la mariologia come un capitolo dell'ecclesiologia, l'altra avrebbe voluto un testo su Maria a parte. Penso che adottare la prima strada sia stato giusto: Maria si contempla veramente nel mistero della Chiesa, è la sua figura più eminente ed esemplare. Proprio per far cogliere appieno questo mistero, Paolo VI l'ha proclamata Madre della Chiesa. È in funzione del Corpo mistico che la madre di Cristo è anche madre nostra».
Su quali temi dovrebbe concentrarsi oggi la riflessione sul mistero della Chiesa?
«Uno è quello della specificità cristiana: penso alla sfida dell'incontro con le altre religioni. La globalizzazione e le migrazioni di massa hanno reso questo problema urgentissimo. C'è il rischio di cadere in un orizzontalismo che fa del cristianesimo una religione come le altre. Invece nel capitolo secondo della Lumen Gentium c'è già tutto il tema del rapporto tra la Chiesa e i non cristiani. C'è il fondamento della dichiarazione Nostra Aetate, con l'affermazione che anche nelle altre religioni ci sono presentimenti del mistero, ma anche le basi del decreto Ad Gentes, sulla missione evangelizzatrice della Chiesa. È essenziale non contrapporre tra loro dialogo e missione. Il dialogo non sostituisce la missione, ma si inserisce in essa rispettando il cammino personale di ciascuno verso la verità. Un altro tema da approfondire a me sembra quello del presbiterio, il gruppo dei sacerdoti attorno al vescovo. In quale misura viene vissuto nella quotidianità quel legame sacramentale che la Lumen Gentium delinea? Credo che il rapporto tra vescovo e sacerdote sia una delle chiavi della Chiesa di domani. Perché è uno degli indicatori di una Chiesa vissuta come mistero di comunione».
Se dovesse indicare una pagina di questa costituzione conciliare che sarebbe utile riprendere in mano oggi, quale indicherebbe?
«La Lumen Gentium sarebbe da riprendere tutta; credo, però, che oggi potrebbe essere particolarmente utile meditare il capitolo settimo, quello che parla della Chiesa in rapporto all'escatologia, al suo destino finale. Davanti all'aspetto sconvolgente delle vicende storiche attuali, è importante ritrovare questa dimensione della vocazione cristiana».

Testo integrale tratto da "Avvenire" - 21 novembre 2004