Idee
«La "giustizia giusta" è un’aspirazione utopica: i più deboli dovrebbero
poter contare su una politica che li tuteli, per ridurre almeno la
discriminazione. Occorre che la povertà conti sul piano della democrazia e
quindi che si identifichi con rappresentanti e formazioni sociali che si
schierano con i meno garantiti»
Tutti diversi di fronte alla legge
«La follia giunge quando l'avvocato lavora non per difendere dall'ingiustizia, ma per promuoverla, accompagnando il cliente in labirinti di articoli che permettono di fuggire dal dovere» «È vero che l'eccessiva lunghezza dei processi dipende dalla magistratura, ma al 50% la responsabilità va condivisa con i legali che usano tale "malattia" come strumento di difesa» «La "giustizia giusta" è un'aspirazione utopica: i più deboli dovrebbero poter contare su una politica che li tuteli, per ridurre almeno la discriminazione. Occorre che la povertà conti sul piano della democrazia e quindi che si identifichi con rappresentanti e formazioni sociali che si schierano con i meno garantiti»
di Vittorino Andreoli
Non è vero che la
giustizia sia uguale per tutti: ciò dipende da molti fattori, incluso
l'avvocato, quel personaggio a cui si dà mandato di rappresentarci in Tribunale
per difenderci da un'accusa o per rivolgerne una contro la nostra parte avversa.
L'avvocato diventa così un elemento chiave del giudizio, di una assoluzione o di
una condanna: dipende dalla sua preparazione ed esperienza, ma soprattutto
dall'impegno che mette nella causa. Un impegno che si lega indissolubilmente
alla parcella, con le sue evidenti gradazioni economiche. Se un caso è
all'attenzione dell'opinione pubblica o sulle pagine delle cronache dei grandi
quotidiani, la difesa gratuita è in realtà un investimento occulto in vista di
una promozione pubblicitaria, con frutti solo spostati nel tempo. Insomma,
l'essere ricchi o poveri significa poter contare su avvocati diversi che
naturalmente incidono sul risultato. E foss'anche lo stesso professionista, il
suo i mpegno potrebbe fatalmente cambiare, al punto che alla fine è come se si
trattasse di avvocati differenti.
D'accordo, tutte le professioni si costruiscono sul reddito, quella
dell'avvocato non fa certo eccezione: si condensa in un tariffario, spesso
modulato secondo una regola tacita: «tanti, subito e in nero».
L'avvocato - dicevamo - fa la differenza, soprattutto oggi che nei processi
penali può persino svolgere azione di investigazione e quindi contrapporsi agli
investigatori e dunque alle Procure, con argomentazioni più significative
rispetto alla sola contestazione delle prove da loro portate.
La disuguaglianza di fronte alla legge dipende dal poter disporre di un collegio
di difesa, non di un solo avvocato. In sostanza, dai mezzi a disposizione.
Dipende anche dalla notorietà del cliente, la quale in genere si lega a sua
volta alla forza economica dello stesso. Ovviamente dipende anche dai magistrati
che entrano nel processo, a partire dai pubblici ministeri e dalla loro
personale motivazione a quella causa: motivazioni magari ideologiche, e persino
di simpatia o antipatia. Dipende ovviamente dai magistrati giudicanti, dalla
loro interpretazione della legge. E non ultimo dalle leggi che i magistrati
devono o dovrebbero applicare.
Ed il legislatore tiene normalmente conto della fascia di popolazione che più
interessa e non vi è dubbio che le fasce socialmente forti riescono ad essere
meglio tutelate dal potere esecutivo, fino a raggiungere aberrazioni di leggi
promulgate ad personam.
Si deve dire con ciò che la giustizia giusta è un'aspirazione utopica e che i
più deboli dovrebbero poter contare su una politica che li tuteli, per ridurre
almeno la discriminazione davanti alla giurisdizione. Occorre che la povertà
conti sul piano della democrazia e quindi che si identifichi con rappresenta nti
e formazioni sociali che si schierano con i meno garantiti. Un sistema che
pretenda di ignorare questa differenza, facendo finta che i poveri non esistano
o che esista il politico "unico" trasversale ad ogni classe, è un'ipocrisia
destinata a fare altre ingiustizie. E questa dinamica va individuata anche in un
tempo come il nostro in cui si amerebbe dichiarare semplicisticamente abbattuta
ogni distinzione. I processi in realtà sono più articolati, la realtà più
complessa.
Si potrebbe annotare - come già si accennava - che la forza del denaro non
incide solo sulla professione dell'avvocatura, ma anche su molte altre: su
quella del medico, del commercialista e, almeno un tempo e in talune situazioni,
persino nella distribuzione dei "beni dello spirito" da parte degli uomini di
religione. È probabile che queste differenze non siano completamente
eliminabili, ma sar ebbe bene, quantomeno, smettere di fingere che non esiste
differenza e che la legge è uguale per tutti. È semplicemente falso.
Da qualche anno, dopo la revisione del Codice di procedura penale, si è
introdotto il "gratuito patrocinio", un provvedimento che garantisce a chi non
possiede nulla, di poter essere difeso con il denaro dello Stato: questi può
dunque scegliere qualsiasi professionista, anche il principe del foro e farsi
difendere, indipendentemente dalla sua qualità sociale, supponiamo di barbone.
Peccato però che questo provvedimento di legge, all'inizio elogiato per il senso
di democrazia e di giustizia cui era ispirato, non funzioni affatto e
soprattutto non tolga nemmeno un poco la disparità. Succede infatti che
l'avvocato migliore scelto, rifiuti perché le sue parcelle, presentate alla
magistratura, verranno abbassate notevolmente. Inoltre, non essendo ammesso -
ovviamente - il nero e passando in genere molto tem po prima della liquidazione,
questi fattori fungono da deterrenza. Si aggiunga che il professionista in
questo caso deve per forza chiedere meno della prassi, se non vuol mostrare le
proprie "abitudini", che metterebbe in allarme il fisco.
Il gratuito patrocinio insomma non funziona relativamente ai grandi
professionisti che continuano a occuparsi degli abbienti, mentre è utilissimo
per i giovani avvocati che così hanno un incarico pagato. Anche questa
innovazione però non promuove equità.
L'aspetto più drammatico della professione dell'avvocato (le distinzioni
individuali sono sempre necessarie) è che questi assume sovente patrocini
legandoli all'esito e quindi con parcelle proporzionate alla "vittoria"
processuale. I poveri in sostanza possono vendere una parte dei propri diritti
all'avvocato che, nella difesa del cliente, difende anche la propria parcella.
La "fo llia", e siamo al vero manicomio di questa professione, giunge nei casi
in cui l'avvocato presti la propria attività non per difendere dall'ingiustizia,
ma per promuoverla e quindi per accompagnare il cliente in labirinti di articoli
di legge e commi che permettono di fuggire ad un dovere o quanto meno di
procrastinarlo, fino ad un momento in cui la solvenza perde il significato
dannoso che avrebbe avuto quando è partita l'azione giudiziaria. L'avvocato può
persino accusare un giudice e sospettarlo di interessi privati al fine di
interrompere un procedimento, magari in attesa di un condono o comunque di una
prescrizione del reato.
Insomma l'avvocato diventa intermediario della non applicazione di giustizia. Un
vero ostruzionismo, al cui confronto l'attività dell'Azzeccagarbugli di
manzoniana memoria è di grossolana ingenuità. E certamente a favorire questo
delirio lucido sta l'enormità di leggi emanate, la loro riscontra ta
contraddittorietà.
Certo, anche la professione dell'avvocato ubbidisce a dei principi etici, ma
l'impressione è che si tratti spesso di criteri flessibili, modulati
dall'interpretazione nella prassi, dalla casistica e dall'umore e naturalmente
dalla parcella.
Se domina il diritto alla difesa, occorre certamente ammettere un limite per non
togliere persino dall'accusa patente il pedofilo, chi compie delitti di abuso di
minori. Insomma è etico riuscire a togliere dalla pena chi ora certamente
riprenderà a violentare o a insidiare bambini? È una vittoria eticamente
accettabile impedire a un padre di vedere il proprio figlio, in una condizione
di separazione, quando ciò è solo dovuto ad una richiesta vendicativa della
moglie separata e va contro i desideri e i criteri di crescita del figlio?
Posso dire con certezza che se certi scrupoli catturano un tal professionista,
que sti si troverebbe in compagnia di altri che non li percepiscono nemmeno, e
il "delitto da avvocato" verrebbe comunque portato a termine.
È bene accennare ad uno dei mali della giustizia italiana: la lunghezza dei
processi e dunque il tempo necessario alla loro conclusione, con una miriade di
fascicoli pendenti. Ebbene è vero che questo fenomeno dipende dalla
magistratura, ma al cinquanta per cento la responsabilità va suddivisa con gli
avvocati che usano questa "malattia" come strumento di difesa.
E ciò è strumentale agli interessi del cliente, ma anche del professionista, il
quale emette parcelle in funzione del tempo dell'incarico. Due volte l'anno
tutte le pratiche vengono riprese e "parcellate": perché non lasciarle pendenti?
Insomma un certo modo di fare la professione diventa una causa del male della
giustizia, anche se immediatamente non appare o si accampano scuse da
vittimismo.
Vi è poi un comportamento inqualificabi le: quello di nascondere la propria
inefficienza nel linguaggio astruso e nel labirinto di leggi che il cliente non
può conoscere, o se conosce non può capire, o se crede di capire gli viene
modificata sotto il naso l'interpretazione captata. Un gioco più facile con i
clienti meno dotati o economicamente poveri. Vengono in mente per associazione i
paroloni dei medici, di solito a radice greca, e le citazione latine dei curati
d'un tempo, dietro cui si potevano nascondere i misteri delle proprie
manchevolezze.
Non è facile rifare l'avvocato e sperare in una professione a servizio della
giustizia e del diritto della difesa come principio di giustizia. È certo che
questa professione si è talmente impoverita sul piano dei principi e di una
prassi che sovente sa di suk, che finisce per spostare la soddisfazione
solo sul reddito cui essa dà accesso. Così un avvocato non si esprime "per doti
mentali e morali" ma attraverso i gadget griffati che può esibire.
La via della metamorfosi è sempre quella di un
umanesimo: occorre essere uomini prima di avvocati, e oggi si conoscono grandi
avvocati che sono piccoli uomini.
testo integrale
tratto da "Avvenire" - 17 settembre 2002