JOHANNESBURG E SVILUPPO
SIAMO TROPPI O INVECE SIETE TROPPI?

di Franco Bruni

La varietà dei temi che si discutono a Johannesburg indica che il problema dello sviluppo sostenibile ha molte dimensioni. E’ semplicistico considerare solo quella quantitativa.

Non è vero, per esempio, che l’aumento della popolazione e dei suoi bisogni siano comunque eccessivi in rapporto alle risorse; ma nemmeno che basta liberare le forze di mercato per veder tutto risolto dal crescere della produttività. La vera questione è la qualità dello sviluppo. L’umanità è sempre più interdipendente e dovrebbe quindi governarsi in modo sempre più cooperativo.

In caso contrario le decisioni e le regole con cui ogni paese gestisce il suo sviluppo diventano inefficaci. Senza concertazione i singoli governi non sono più in grado di controllare l’inquinamento, ma neanche la stabilità delle banche, la qualità degli alimenti, l’emarginazione sociale o lo sviluppo delle comunicazioni.

Svilupparsi durevolmente senza decidere insieme è impossibile. Si potrebbe interrompere l’interdipendenza con il conflitto, più o meno armato, e qualcuno ci prova, ma ciò ferma lo sviluppo in modo tragico. Il dramma di Johannesburg non è il tasso di fertilità delle popolazioni o l'entità delle scorte di petrolio, ma l’enorme difficoltà di inventare meccanismi di governo mondiale.

Che dovranno sempre più occuparsi anche di misure di redistribuzione internazionale del reddito ben più significative delle attuali politiche di aiuti. Nessun paese avanzato, al suo interno, pensa oggi possibile una convivenza compatibile con una crescita sostenibile senza redistribuire reddito dai ricchi ai poveri, almeno con la tassazione progressiva.

Perché dovrebbe essere possibile a livello globale? Se la questione di Johannesburg è quella di fare avanzare forme di «governo mondiale», che cosa sperare da un incontro così affollato e controverso? Con qualche ottimismo si possono perseguire due obiettivi. Il primo sono alcuni, anche pochi, accordi specifici, con scadenze e risultati controllabili: l'accesso all’acqua potabile, per esempio, o la quantità di energia pulita.

Ciò è essenziale per incoraggiare il cammino della cooperazione e testarne le diverse possibili modalità, compreso l’impegno congiunto di privati e burocrazie pubbliche. Il secondo obiettivo deve però guardare in faccia il problema politico di fondo: lo spirito e la lettera delle conclusioni del vertice devono riaffermare in modo credibile il valore delle istituzioni di cooperazione e di codecisione internazionale.

A questo fine servirebbe che i paesi ricchi avessero la lungimiranza per offrirsi di sostenere subito alcuni costi economici e politici di valore anche simbolico, come la drastica riduzione della protezione e del sussidio alla loro agricoltura. Servirebbe anche decidere una grande campagna di informazione che mantenga viva la consapevolezza dell’enorme importanza per tutti noi dei problemi affrontati al vertice, anche dopo l’esaurimento dei suoi effetti mediatici.

Dovremmo sperare che dopo Johannesburg diventi più difficile per i governi, soprattutto nei paesi ricchi, ottenere la fiducia degli elettori senza mostrare iniziativa e coraggio nella cooperazione mondiale per lo sviluppo sostenibile.

franco.bruni@uni-bocconi.it

testo integrale tratto da"LA STAMPA" -  29 AGOSTO 2002