Rubare ai propri figli
di Gianni Riotta

SOMMERSO il cimitero ebraico di Praga. Le chiese di Dresda come iceberg in un mare torbido. La Moldava e l’Elba in furia. In Cina lo Yang-tze ha rotto gli argini, lasciandosi dietro mille morti. Sui nostri campi chicchi di grandine come palle da tennis.

La natura non poteva immaginare un lancio pubblicitario migliore per il Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile che si aprirà a Johannesburg, in Sud Africa, il 26 agosto, 65 mila politici, diplomatici, esperti e volontari a discutere nell’estate del clima folle. Al summit di Rio de Janeiro del 1992, paesi ricchi e poveri si impegnarono a salvare il pianeta dall’inquinamento e dalla povertà, mostri gemelli che si nutrono a vicenda. «Sviluppo sostenibile» recitarono solenni i comunicati, ma dieci anni dopo non sappiamo ancora che cosa significhi questa formula.

Per i leader del mondo occidentale, spesso, regole imposte al Terzo Mondo da Fondo monetario e World Bank, dopo che la nostra rivoluzione industriale ci ha arricchito sporcando il mondo. Per i paesi poveri, invece, la miseria diventa l'alibi per crescere senza alcun rispetto ecologico, a vantaggio di avide oligarchie locali.

I lettori riflettano sul bollettino medico del pianeta con la stessa attenzione con cui leggono i risultati dei propri esami clinici. La Terra è ammalata, dice la diagnosi del Dottor Nazioni Unite. L’aria è sporca: da Rio a oggi le emissioni di anidride carbonica (secondo molti tecnici, responsabili dei mutamenti climatici) sono aumentate del 10 per cento (del 18 negli Usa che non firmano gli accordi ecologici di Kyoto).

Dallo scorso Ferragosto, calcola l’Ocse, abbiamo tagliato un’area di foresta tropicale pari a Piemonte e Lombardia. Nel 1950 ogni abitante della terra disponeva di 17 mila metri cubici di acqua dolce: ce ne restano solo settemila a testa. I nostri figli combatteranno per l’acqua come noi per il petrolio.

Un quarto di secolo fa, la Casa Bianca di Jimmy Carter fece stilare un «Rapporto sul 2000» sul nostro ecosistema. Gli studiosi azzeccarono tutto, l’aumento della popolazione da quattro a sei miliardi; il 20 per cento delle specie vegetali e animali scomparso per sempre; la deforestazione al ritmo di mezzo ettaro al secondo. Viviamo da cicale un disastro annunziato, facendo poco o nulla per combatterlo.

Ci accontentiamo di parlare in gran pompa di «sviluppo sostenibile» e arrivederci al prossimo summit. Il presidente americano George Bush volle partecipare al vertice di Rio, suo figlio George non andrà a Johannesburg. E’ un peccato, speriamo che l’Italia sia rappresentata invece ai massimi livelli. Non sappiamo ancora ragionare, noi cittadini, i leader politici, le aziende, i sindacati, le organizzazioni non governative, in termini globali. Ognuno cerca il proprio vantaggio immediato, e la Terra geme.

Sentite il preside della facoltà di agraria e ecologia dell’Università di Yale, James Gustav Speth, sul mensile «Global»: «Nel corso della vita dei bambini di oggi il cambiamento del clima renderà impossibile l’agricoltura e l'allevamento in metà delle zone temperate dell’emisfero Nord». Eppure insistiamo a concedere sussidi alle attività nocive all’ambiente, una cassaforte velenosa di 1500 miliardi di euro l’anno. Guardate i vostri figli e nipoti a casa: stiamo parlando di loro.

Passeremo alla storia come i genitori ricchi dei romanzi popolari dell’Ottocento che dilapidavano il patrimonio familiare lasciando i bambini a mendicare? Johannesburg è il prossimo capitolo del nostro romanzo. Leggetelo con attenzione, perché se non ci abituiamo in fretta a crescere insieme, il finale sarà pessimo.

gianni.riotta@lastampa.it

 

testo integrale tratto da "La Stampa" - 18 agosto 2002