PROLUSIONE.
I temi dell'attualità riletti dal cardinale Camillo Ruini a partire dall'icona della misericordia «Di un approccio alla realtà storica in cui non sia assente questo valore c'è prepotentemente bisogno sulla scena internazionale»

«Il coraggio di uscire dallo scontro»

 

Cardinale Camillo Ruini presidente della Cei

Venerati e cari confratelli, ci ritroviamo all’inizio del nuovo anno pastorale per continuare, nell’amicizia e nella comunione fraterna, quell’opera di discernimento e di indirizzo che è affidata al nostro Consiglio permanente. Lo facciamo confortati dalla fiducia nella presenza di Dio, che guida il cammino della sua Chiesa e che ha cura di tutto il genere umano. A Lui affidiamo anche queste giornate, affinché il dono dello Spirito Santo illumini e renda fecondo il nostro lavoro.

GIOVANNI PAOLO II E IL SUO PERIPLO ESTIVO
1. Rivolgiamo il nostro pensiero e il nostro saluto anzitutto al Santo Padre. I viaggi apostolici che egli ha compiuto hanno dato una particolare impronta spirituale a questi mesi estivi, offrendo a tutti forti motivi di speranza e di riflessione. A Toronto la XVII Giornata mondiale della Gioventù ha confermato, ancora una volta, la profondità e spontaneità del rapporto di questo Papa con i giovani, ma anche l’apertura dei giovani stessi all’incontro con Cristo, che vive nella Chiesa. La presenza di circa ventimila ragazzi e ragazze venuti dall’Italia, con molti vescovi, sacerdoti e religiose, e la partecipazione a questo evento di tanti giovani rimasti in Italia, attraverso la preghiera e i mezzi di comunicazione, hanno ravvivato e rilanciato quel grande impulso che la Giornata mondiale del 2000 aveva dato alla nostra pastorale giovanile. Le visite a Città del Guatemala e a Città del Messico, con le canonizzazioni e beatificazioni ivi celebrate, sono state accompagnate e caratterizzate dal commosso entusiasmo di immense moltitudini, che portano nel cuore l’attaccamento a Cristo e alla Chiesa. Straordinariamente densa di significati è stata la nona visita di Giovanni Paolo II in Polonia, per la dedicazione del Santuario della Divina Misericordia a Cracovia, a cui hanno fatto seguito quattro beatificazioni e la celebrazione del quattrocentesimo anniversario del Santuario della Madonna di Kalwaria. Anche qui la partecipazione è stata enorme per numero ed ammirabile per intensità, ad esprimere il legame profondissimo che unisce questo Papa con la sua patria ma anche la forza della fede del popolo polacco. Pur nella diversità delle circostanze e delle situazioni, il messaggio che il Santo Padre ha proposto in tutti questi viaggi rivela una sostanziale continuità e unitarietà, che ci riporta al centro dell’ispirazione del suo pontificato. A Toronto il Papa è partito dalla voglia dei giovani di essere felici per richiamarli alla grande scelta di costruire sul fondamento di Gesù Cristo, e non su qualsiasi altra alternativa, la propria vita e la civiltà del secolo appena iniziato. A Cracovia ha espressamente individuato nel «Dio ricco di misericordia», tema della sua seconda enciclica, il motto e la cifra del proprio pellegrinaggio ed a questa Divina Misericordia, pienamente rivelatasi in Gesù Cristo, ha solennemente affidato il mondo, affinché in essa il mondo stesso trovi la pace e l’uomo trovi la felicità. Dei nuovi santi e beati proclamati in Guatemala e in Messico, oltre che in Polonia, il Papa ha sottolineato soprattutto – accanto alla forza della fede – la testimonianza di carità, mediante la quale «la misericordia di Dio trova il suo riflesso nella misericordia degli uomini». Nel modo in cui il Papa propone alle persone e alle moltitudini più diverse il messaggio della salvezza colpisce in particolare la capacità di unire alla robustezza dei contenuti dottrinali ed etici e alla solidità delle loro motivazioni una passione personale e un’aderenza al vissuto che coinvolgono e commuovono. Così la verità di Cristo non rischia di apparire astratta e poco significativa per l’esistenza delle persone e per il corso della storia. Quanto più la nostra predicazione e in genere la nostra pastorale sapranno ispirarsi a questo modello, tanto maggiori saranno le speranze di superare l’indifferenza religiosa e di mettere Cristo al centro e non al margine della vita.

QUELL’ICONA DEL DIO «RICCO DI MISERICORDIA»
2. Il forte accento posto dal Santo Padre sul «Dio ricco di misericordia» stimola a una riflessione sull’esigenza di una proposta esplicita e il più possibile persuasiva della fede in Dio nella nostra evangelizzazione e sulle forme in cui questa proposta può essere meglio avanzata. In Dio continua certamente a credere la grande maggioranza degli italiani, compresi i giovani come ha mostrato un’indagine sulla religiosità dei giovani europei i cui risultati sono stati pubblicati a fine luglio. Riguardo a questo tema centrale e fondante l’opera di evangelizzazione non parte dunque da zero, ma non per questo essa è meno necessaria ed urgente. Occorre infatti far uscire, in molte persone, l’immagine di Dio da una indeterminatezza e da una lontananza dalla vita che non consentono di riferirsi a Lui in modo concreto e significativo. Sarebbe inoltre errato e pericoloso far conto unicamente sul radicamento del senso di Dio nel cuore di ogni uomo e sulla forza della nostra grande tradizione religiosa, senza un serio impegno a sviluppare ed evidenziare, nell’attuale contesto sociale e culturale, tutte le motivazioni che rendono oggi la fede in Dio non meno plausibile e non meno indispensabile per l’autentica umanità dell’uomo di quanto essa lo fosse nel passato. Solo così l’adesione a Dio può porsi non esclusivamente come un personale sentimento o desiderio del cuore ma come una convinzione certa, che abbraccia, orienta e dà significato a tutta la vita, avendo anche la solidità delle proprie motivazioni razionali, e che come tale può essere proposta a tutti e pubblicamente testimoniata. Se vogliamo però che la proposta della fede in Dio esca davvero dall’indeterminatezza, abbia una rilevanza non solo concettuale ma integralmente esistenziale e soprattutto ci conduca all’incontro con il Dio vivo e vero, dobbiamo sempre lasciarci guidare dall’affermazione conclusiva del prologo del Vangelo di San Giovanni (1,18): «Dio nessuno l’ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato». Nell’enciclica Dives in misericordia (nn. 1-2) Giovanni Paolo II riprende l’insegnamento di San Paolo (Romani 1,18-25) e di tutta la tradizione della Chiesa sulla possibilità di conoscere Dio attraverso la creazione – possibilità che anche oggi può e deve essere concretamente evidenziata –, ma, con la medesima tradizione, sottolinea come le perfezioni di Dio in Cristo e attraverso Cristo «diventano... incomparabilmente più visibili che attraverso tutte le altre opere da Lui compiute. Di importanza decisiva per il nostro rapporto con Dio è che il suo atteggiamento verso di noi soltanto in Cristo ci viene manifestato in maniera piena e definitiva: «Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, ... non fu ’sì’ e ’no’, ma in lui c’è stato il ’sì’. E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono diventate ’sì’» (2Cor 1,19-20). In concreto, questo atteggiamento è soprattutto quello della misericordia, come è testimoniato da tutto il Nuovo Testamento, che porta a compimento quanto era già chiaramente indicato nell’Antico. Così la contemplazione del volto di Cristo ci fa riscoprire, come ha detto il Papa a Cracovia nell’omelia per la dedicazione del Santuario della Divina Misericordia, «il volto... di Colui che è Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione (2Cor 1,3)». Ponendo al centro della nostra pastorale l’annuncio e la testimonianza della misericordia di Dio – nella quale si congiungono l’infinita tenerezza del suo cuore e la sovrana libertà della sua onnipotenza creatrice – siamo dunque totalmente fedeli all’esempio e all’insegnamento di Gesù, ma rispondiamo anche al bisogno più profondo dell’uomo. È vero infatti, come osserva il Papa nella Dives in misericordia (n.2), che «La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende... ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia», per la rivendicazione intransigente dei propri diritti, veri o presunti, e per il culto della forza e del successo che sembrano caratterizzare il nostro tempo. Tutto ciò non riesce però a nascondere quell’inquietudine, quella fragilità di fondo e quella cattiva coscienza che derivano dal rifiuto, praticato e anche teorizzato, della legge morale, dall’avvertenza sempre più acuta che i poteri che crescono nelle nostre mani possono essere adoperati contro di noi, dalle ingiustizie e mancanze di amore e di solidarietà che tanto facilmente insidiano i rapporti tra le persone e che si esprimono su scala mondiale nelle tragedie delle guerre e della fame. Così quella domanda di salvezza, di redenzione e di perdono che è racchiusa in ogni tempo nel profondo del nostro essere preme su di noi anche oggi, anzi – come dice il Papa – particolarmente oggi, e ci dispone a rivolgerci alla misericordia di Dio. Non è certo un caso che nell’età moderna e contemporanea le testimonianze dei santi, indicatori sicuri dei disegni della Provvidenza, siano state sempre più incentrate sull’annuncio e sulla pratica dell’amore misericordioso: in particolare l’esperienza spirituale di una giovane polacca, suor Faustina Kowalska, che Giovanni Paolo II ha elevato alla gloria degli altari, è all’origine del Santuario della Divina Misericordia di Cracovia ed ha ispirato l’enciclica Dives in misericordia, come il Papa stesso ha confidato.

CRITERIO VIVIFICANTE TUTTA LA PASTORALE
Il richiamo alla misericordia di Dio aiuta a liberarsi da quelle immagini di un Dio indifferente alle sorti dell’uomo, o incline soltanto a giudicarlo con rigore, che ancora rendono difficile a non poche persone aprirsi ad un autentico rapporto con Lui. Ma oggi l’annuncio del Dio ricco di misericordia si contrappone specialmente all’idea e all’esperienza di un mondo crudele e privo di significato, perché dominato soltanto dalla casualità, dall’egoismo e dalla forza bruta. In realtà, come scrive il Papa nella Dives in misericordia (n.13), «L’autentica conoscenza del Dio della misericordia... è una costante ed inesauribile fonte di conversione»: non si limita cioè a consolarci e rassicurarci, di fronte alle durezze della vita e al peso dei nostri peccati, ma soprattutto ci chiama ad essere a nostra volta testimoni e operatori di misericordia, pronti alla riconciliazione e al perdono, come Gesù ci chiede con la più grande forza nel Vangelo (cfr Mt 18,21-35 ecc.). Per questa via l’annuncio della misericordia di Dio è diventato, attraverso i secoli, principio di una umanità rinnovata e anche oggi esige di cambiare le nostre vite e di incidere su tutta la trama delle vicende umane. Così possiamo cogliere più compiutamente, cari confratelli, l’ampiezza e la centralità della misericordia di Dio nella missione della Chiesa (cfr Dives in misericordia, 13-14). La luce di Cristo, rivelatore di Dio Padre, deve riflettersi infatti, come afferma il Concilio Vaticano II (Lumen gentium, 1), sul volto della Chiesa, attraverso la sua preghiera, il suo insegnamento e tutta la sua vita. Nella Chiesa dunque l’amore misericordioso di Dio deve farsi tangibile e in certo modo sperimentabile per ogni persona. Di fronte alla grandezza di una simile missione, che supera ogni misura e risorsa umana, avvertiamo più profondamente quanto la Chiesa abbia continuamente bisogno di essere abitata, rigenerata e santificata dallo Spirito Santo (cfr Lumen gentium, 4). Ma proprio la certezza del dono dello Spirito ci dà fiducia e coraggio nel vivere e testimoniare la misericordia. Trovano qui il loro pieno significato il sacramento della penitenza e il ministero della riconciliazione che il Signore ha affidato a noi sacerdoti (cfr 2Cor 5, 18-21). Non si tratta soltanto di aiutare l’umanità a risollevarsi dai suoi disordini morali: molto più radicalmente, in questo sacramento si incontrano la verità di Dio – che è amore e che a motivo del nostro peccato può manifestarsi a noi soltanto come misericordia – e la verità del nostro essere, che è appunto, in concreto, domanda di perdono e di redenzione. Proprio la rivelazione dell’amore misericordioso di Dio, del "mysterium pietatis", ci rende capaci infatti di riconoscere il "mysterium iniquitatis", la gravità e profondità del nostro peccato, e così di incamminarci sulla via del riscatto e della libertà dei figli di Dio: quella via che in concreto è la persona del Signore Gesù Cristo, vivente nella Chiesa. Misericordia e verità non rappresentano dunque i due poli di un’antitesi, come da molte parti si pensa e si sostiene: al contrario, come dice il Salmo (85,11), «Misericordia e verità si incontreranno». Questo incontro ha certamente bisogno di realizzarsi giorno per giorno in tutte le dimensioni della vita della Chiesa. Esso deve qualificare, in maniera molto precisa, il modo in cui la Chiesa propone la verità: una verità, per riprendere le parole del Papa al Convegno ecclesiale del 1985 a Loreto (n.5), che «nella sua essenza profonda... è... manifestazione dell’amore, e solo nella concreta testimonianza dell’amore può trovare la sua piena credibilità». E parimenti deve qualificare l’esercizio della misericordia, attraverso la quale il Signore ci riconduce alla verità di noi stessi e alla pienezza del rapporto con Lui. Considerata in tutte le sue implicazioni, la testimonianza della misericordia di Dio appare dunque un criterio vivificante e unificante dell’intera missione della Chiesa. La preghiera dei contemplativi come la riflessione dei teologi e il servizio degli operatori della carità, il ministero dei sacerdoti come l’assunzione di responsabilità familiari, professionali e civili da parte dei laici possono trovare infatti nell’amore misericordioso del Padre la propria sorgente ed energia rigeneratrice, ma anche la propria misura – che eccede ogni misura –, il proprio obiettivo e il criterio della propria autenticità. Le vie della nuova evangelizzazione e lo stesso difficile cammino dell’umanità tanto meglio potranno svilupparsi quanto più si lasceranno guidare dalla luce di questa misericordia e sostenere dal suo calore.

SULL’IRAQ VIGOROSA DISSUASIONE TRAMITE L’ONU
3. Di un approccio alla realtà storica da cui non sia assente il valore della misericordia e della riconciliazione c’è prepotentemente bisogno sulla scena internazionale. A un anno di distanza dal tragico 11 settembre 2001 risulta confermata la previsione che quegli attentati avrebbero cambiato in profondità la situazione mondiale, come anche la valutazione che la minaccia del terrorismo si profilava duratura e assai difficile da estirpare. Gli sviluppi di questi ultimi mesi non riducono purtroppo ma aggravano le nostre preoccupazioni. In Terra Santa la fase acuta e particolarmente feroce del conflitto arabo-israeliano si è infatti in certo senso cronicizzata, senza perdere la sua asprezza ma generando quasi una forma di assuefazione, che porta a sottovalutare anche gli effetti dirompenti di questo conflitto sulla percezione che le popolazioni islamiche hanno del mondo occidentale. D’altra parte quella vastissima rete di solidarietà internazionale che si era rapidamente formata dopo l’11 settembre sembra incrinata da crescenti smagliature, anzitutto in quel suo primo e tradizionale punto di forza che è lo stretto legame tra gli Stati Uniti d’America e l’Europa occidentale: i contrasti di origine economica, o su temi di diritto internazionale, si sommano a una divergenza assai pericolosa sul modo di garantire la sicurezza e combattere il terrorismo. In proposito, e con speciale attenzione all’atteggiamento da tenere verso l’Iraq, è senza dubbio necessaria la vigilanza più attenta e rigorosa, per prevenire il rischio di nuove e maggiori tragedie, i cui sviluppi sarebbero poi ben difficili da controllare. Ma ciò non significa che possa essere intrapresa la strada di una guerra preventiva, che avrebbe inaccettabili costi umani e gravissimi effetti destabilizzanti sull’intera area medio-orientale, e probabilmente su tutti i rapporti internazionali. L’arma della dissuasione, esercitata nell’ambito dell’Onu con la più forte determinazione e con il sincero e solidale impegno di tutti i Paesi capaci di esercitare un’influenza concreta, può rappresentare, anche in questa difficile situazione, un’alternativa in grado di garantire la sicurezza e la pace. Da parte sua anche il governo iracheno dovrà evidentemente dar prova di realismo e di disponibilità a trovare e rispettare delle intese.

VERTICE FAO E JOHANNESBURG, LOTTA CORALE ALLA POVERTÀ
Un altro, gravissimo e purtroppo ormai antico motivo di preoccupazione riguarda le difficoltà in cui si dibattono i Paesi poveri e la scarsa solidarietà nei loro confronti da parte delle nazioni più sviluppate. Due vertici mondiali, quello sull’alimentazione promosso dalla Fao a Roma dal 10 al 13 giugno e quello dell’Onu sullo sviluppo sostenibile svoltosi tra il 26 agosto e il 4 settembre a Johannesburg, hanno confermato quanto sia arduo giungere in proposito a decisioni condivise e concrete. Non si possono certamente ignorare gli ostacoli allo sviluppo che esistono all’interno degli stessi Paesi meno fortunati, la corruzione e gli sprechi, le guerre e le oppressioni a cui spesso si abbandonano i loro gruppi dirigenti, ma tutto ciò non giustifica le chiusure egoistiche e la poca lungimiranza di chi non comprende che, in un mondo sempre più "piccolo" e interdipendente, la prosperità e la sicurezza non si possono costruire e conservare da soli. Per cambiare davvero una situazione ingiusta e non sostenibile, almeno due linee di comportamento sembrano indispensabili, in aggiunta alla remissione o riduzione del debito internazionale che è già stata avviata, con un notevole contributo anche del nostro Paese. La prima è quella di mantenere gli impegni presi, in particolare nelle assisi internazionali, attuandoli con tempestività e nella misura stabilita. La seconda è quella di aprire progressivamente gli sbocchi commerciali, ridimensionando quei sistemi di sussidi e di dogane che tengono i prodotti dei Paesi poveri lontano dai nostri mercati. Non si tratta certo di decisioni indolori, ma il loro costo, nel medio periodo, sarebbe – anche sotto il profilo economico – ampiamente ripagato. Al vertice di Johannesburg le problematiche della lotta alle povertà si sono strettamente intrecciate con quelle della salvaguardia del creato: si tratta in realtà di un’unica sfida, non eludibile, che grava sulla presente generazione e che non può essere affrontata se non in una prospettiva di pace. Il Papa, nell’Angelus di domenica 25 agosto, ha fatto riferimento alla «vocazione ecologica» degli uomini, «posti da Dio come amministratori della terra, per coltivarla e custodirla»: una vocazione «divenuta più che mai urgente nel nostro tempo». La via per ottemperare veramente a questa vocazione non è dunque quella di negare o dimenticare la singolarità dell’uomo, non riducibile a una particella della natura (cfr Gaudium et spes, 14), e nemmeno quella di rifiutare il progresso scientifico e tecnologico, finendo in utopie impotenti e paralizzanti. Occorre piuttosto orientare le grandi risorse economiche e tecnologiche di cui oggi l’umanità dispone, e il loro stesso sviluppo, nella direzione del bene integrale della famiglia umana, di oggi e di domani, che evidentemente richiede il rispetto e la tutela dell’ambiente entro cui l’uomo vive. A questo fine sono necessarie scelte assai coraggiose, possibili soltanto sulla base di una lucida consapevolezza e di un grande impegno morale. Come credenti invochiamo per tutti la luce e la forza dello Spirito Santo, ricordando che nulla è impossibile al Dio amico dell’uomo. Un problema specifico, apparentemente minore nella scena mondiale, ma in realtà assai doloroso e indicativo di un disordine di fondo, è quello dell’espulsione dalla Russia di un vescovo e di ormai ben quattro sacerdoti cattolici: si tratta di provvedimenti del tutto ingiustificati, che ledono gravemente la libertà religiosa. Esprimiamo tutta la nostra vicinanza e solidarietà alle persone espulse e all’intera comunità cattolica di Russia e chiediamo con la più grande energia che tali provvedimenti siano al più presto revocati.

SPIRALE DI SCONTRO DEBILITANTE TUTTI
4. Dopo l’11 settembre 2001, e per la verità già nei mesi precedenti, la situazione economica internazionale è andata deteriorandosi e appare contrassegnata da un’incertezza diffusa. Ciò ha riguardato chiaramente anche l’Unione Europea, e in essa l’Italia. È diventato quindi più difficile affrontare quei problemi della nostra società che da tempo chiedono una soluzione. Ma la difficoltà è stata senza dubbio acuita da una specie di spirale in cui sembra essersi avvitata la politica italiana, causa uno scontro continuo tra maggioranza e opposizione, che ha assunto via via toni sempre più aspri e generalizzati. Gli inconvenienti di questo tipo di scontro sono sotto gli occhi di tutti: per la maggioranza, e per il governo che essa esprime, diventa più difficile attuare i propri programmi, mentre la minoranza riesce raramente a far recepire un proprio apporto critico ma anche costruttivo. Dal canto suo, l’opinione pubblica può essere indotta a ritenere che scopo della dialettica politica sia di fatto una lotta per il potere fine a se stessa, e non il misurarsi concretamente con le questioni reali. Così un senso di preoccupazione e di disagio tende a diffondersi nel Paese. È dunque quanto mai importante invertire la tendenza a radicalizzare gli scontri, come voci molto autorevoli hanno suggerito, resistendo alle spinte in senso contrario che non mancano dentro e fuori dalle aule parlamentari: su questo terreno sono messe alla prova, in entrambi gli schieramenti, le autentiche capacità di guida. Proprio la delicatezza della congiuntura economica e finanziaria sembra inoltre richiedere di scegliere alcune priorità, concentrando l’attenzione e gli sforzi sui nodi essenziali per lo sviluppo e per il bene comune. Tra questi vanno certamente annoverati la riforma dello «stato sociale» – che chiaramente non significa il suo smantellamento – e l’incremento dell’occupazione, che ha registrato progressi significativi ma che richiede ancora un lungo cammino, soprattutto in riferimento all’occupazione giovanile e femminile, specialmente nel Meridione, il cui sviluppo resta in concreto la nostra prima grande questione nazionale. Anche riguardo alle opere pubbliche, la precedenza va data a quelle socialmente ed economicamente più utili, sebbene forse meno appariscenti, come ad esempio quelle che riguardano l’approvvigionamento idrico o il sistema viario e ferroviario. Nella dialettica a più voci che caratterizza la vita democratica molto dipende anche dall’atteggiamento dei diversi corpi e rappresentanze sociali, chiamati certamente a sostenere, ciascuno nella propria autonomia, specifici e legittimi interessi, senza però perdere di vista il bene comune.
5. Il terreno di contrasto forse più acuto è ormai da tempo quello della giustizia: qui le tensioni finiscono per coinvolgere diversi organi dello Stato, assumendo delicati profili istituzionali. Tanto più necessario è quindi individuare degli sbocchi e delle soluzioni che facciano uscire dai reciproci sospetti e timori e che consentano di procedere alle riforme richieste per il miglior funzionamento della giustizia in una maniera serena, non episodica e possibilmente condivisa.

DARE SOLUZIONE AI PROBLEMI APERTI
Tra le problematiche che toccano più da vicino la vita quotidiana delle persone e delle famiglie occupano un posto di grande rilievo l’assistenza sanitaria e la cura della salute. In questo campo occorre anzitutto tenere ben fermo il criterio del primato della persona, sia quella del malato sia quella di ogni cittadino da tutelare nella sua salute. L’impegno per il progresso delle scienze mediche, il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, come una più chiara suddivisione delle competenze in materia tra lo Stato e le Regioni, sono tutti obiettivi necessariamente da perseguire, ma in funzione di quel criterio primario e fondamentale. Gran parte dei problemi che le singole persone e la società nel suo complesso sono chiamate ad affrontare si ripercuotono, in modo più o meno diretto, sulle famiglie e trovano in esse la risposta più concreta, sollecita ed efficace. Sostenere la famiglia è dunque la maniera più sicura di operare per il bene comune. Siamo pertanto chiamati, cari confratelli, a proseguire e accelerare il cammino ormai da tempo intrapreso affinché la famiglia occupi effettivamente quel posto centrale che le compete nella pastorale della Chiesa e in tutto il lavoro educativo, culturale e sociale che come cattolici possiamo sviluppare: è prezioso, al riguardo, l’impegno del Forum delle associazioni familiari. Confidiamo che questo lavoro e questo impegno aiutino i responsabili della politica e dell’economia nazionale a compiere scelte lungimiranti e coraggiose, sia attraverso provvedimenti specifici a favore della famiglia fondata sul matrimonio, alcuni dei quali già preannunciati, sia rimodellando l’intero quadro della normativa sociale, finanziaria e fiscale in conformità a quel ruolo che la famiglia come tale svolge di fatto nel nostro Paese: la prossima legge finanziaria può essere in merito una nuova importante occasione. Il 18 giugno scorso è stata approvata dalla Camera dei Deputati la legge sulla procreazione medicalmente assistita, che è passata ora all’esame del Senato. Non mancano, in questo testo, aspetti moralmente discutibili, accanto ad altri invece decisamente positivi. È comunque da valutare con favore il fatto che si stia ponendo rimedio a un vuoto normativo che ha consentito i più gravi abusi. Auspichiamo perciò una rapida e definitiva approvazione da parte del Senato. Compito fondamentale della famiglia è, insieme alla procreazione, l’educazione dei figli: particolarmente a questo proposito la famiglia ha bisogno oggi di essere accompagnata ed aiutata, per far fronte alle difficoltà che derivano da cambiamenti sociali e culturali tanto rapidi e profondi quanto confusi e spesso privi di attendibili riferimenti antropologici ed etici. Ciò richiama anzitutto la necessità di sostenere e migliorare la scuola italiana: agli insegnanti e agli allievi, che riprendono in questi giorni il loro lavoro, va il nostro saluto più partecipe e cordiale, nella consapevolezza che il loro impegno è decisivo per gli esiti dei processi formativi. Ma è parimenti indispensabile che il governo, il parlamento e l’intero Paese pongano realmente la scuola tra le priorità determinanti per il nostro sviluppo, a livello culturale e civile prima ancora che economico e produttivo. Bisogna dunque che quel grande investimento sulla scuola e sulla formazione che, al di là delle diverse valutazioni su aspetti specifici, è il principale significato del progetto di riforma, sia portato a sollecita attuazione e non rinviato indefinitamente per le difficoltà del bilancio dello Stato. In questo contesto rientra a pieno titolo la concreta realizzazione della parità scolastica, che è un’urgenza acuta se non vogliamo rassegnarci all’ulteriore deperimento delle scuole non statali.

ATTEGGIAMENTI CATTOLICI CULTURALMENTE SUBALTERNI
Un altro fattore che incide grandemente sull’opera educativa è oggi la comunicazione sociale, a cominciare dalla televisione. Nei giorni scorsi è stato presentato un disegno di legge sulla riforma del sistema televisivo che ha subito suscitato contrastanti prese di posizione. Un aspetto meritevole della più grande attenzione dovrebbe essere a nostro avviso quello della valenza etica e culturale delle trasmissioni. I modi di affrontarlo possono essere diversi: normative più precise, una sorta di statuto deontologico concordato almeno tra le principali emittenti, un’autorità incaricata di seguire questa delicata materia, o altre forme che potrebbero essere suggerite. L’obiettivo dovrebbe comunque essere quello di migliorare la qualità dell’offerta televisiva e di mettere maggiormente in luce le testimonianze ed esperienze positive della vita, evitando quell’appiattimento sul sesso, sulla violenza, sulla "cronaca nera" e, più in generale, sulla cultura dell’effimero che oggi purtroppo spesso si constata. Muovendosi in questa direzione si andrebbe certamente incontro a un desiderio diffuso tra la popolazione. La recentissima premiazione di un film di accentuata caratterizzazione ideologica anti-cattolica è, d’altra parte, un nuovo segno di pregiudizi e ostilità largamente presenti nel mondo della cultura e della comunicazione. Così, quella che si pretenderebbe una denuncia coraggiosa appare piuttosto un gesto conformistico, mentre tra i cattolici continua a sussistere purtroppo il rischio di atteggiamenti culturali subalterni e anche autolesionistici. Alla luce di questa situazione complessiva, tanto più importante risulta il nostro impegno nell’ambito della comunicazione sociale, di cui tratteremo anche nel corso di queste giornate e che rientra a pieno titolo nella prospettiva del "progetto culturale". Un preciso rapporto con le istanze etiche ed educative ha pure la questione delle forme di giochi d’azzardo, che vengono troppo disinvoltamente promosse e incentivate, al fine di ottenere introiti per le finanze dello Stato. Sono pesanti infatti le conseguenze sulle fasce più deboli e meno avvertite della popolazione, con il risultato, tra l’altro, di rendere più frequente il ricorso al denaro degli usurai. Una notizia positiva è invece l’approvazione a grande maggioranza, da parte della Camera dei deputati, di disposizioni che riconoscono e intendono promuovere la funzione sociale svolta dagli oratori e dagli enti che esercitano attività similari: è questo un contributo assai significativo a quella grande tradizione di impegno educativo che è espressione peculiare dalla Chiesa italiana e che deve essere conservata e sviluppata nella sua specifica identità. L’11 luglio il Senato ha approvato in via definitiva la nuova legge in materia d’immigrazione, a cui sono seguiti i decreti per la regolarizzazione degli immigrati che hanno un contratto di lavoro. Proprio il massiccio ricorso alle procedure di regolarizzazione, che va delineandosi al di là delle previsioni, ha innescato una nuova polemica, anzitutto all’interno delle forze di governo, che ha dato luogo anche a pesanti accuse, da parte di una di queste forze, a persone e istituzioni della Chiesa. Non è necessario replicare a tali accuse, che non hanno fondamento e trovano semmai una paradossale motivazione nell’impegno meritorio che la comunità cristiana svolge sulla difficile frontiera dell’immigrazione. È importante invece, da tutte le parti, non indulgere alle polemiche e alle invettive e cercare piuttosto di operare in termini realistici e costruttivi per porre fine alle situazioni di illegalità e per far sì che l’integrazione degli immigrati avvenga in forme congruenti con la nostra realtà sociale. A partire dalla notte del 6 settembre un forte fenomeno sismico ha investito Palermo e tutta la Sicilia settentrionale. Siamo vicini con la preghiera e la solidarietà alle popolazioni colpite e facciamo nostro l’appello del caro confratello cardinale Salvatore De Giorgi ad affrontare con serenità e coraggio questa prova. Il Papa, nell’Angelus di domenica 8 settembre, ci ha ricordato che «Quando i credenti pregano, fanno breccia nel cuore di Dio, al quale nulla è impossibile». È questo, cari confratelli, lo spirito con il quale iniziamo i nostri lavori, in questo momento non facile, affidandoci all’intercessione di Maria Santissima e del suo sposo Giuseppe. Grazie del vostro ascolto e di quanto vorrete osservare e proporre