Johannesburg e i Paesi
poveri
Protagonisti per la prima volta
Per la prima volta
biodiversità, aria pulita e clima sono stati un tema comune
di
Maurizio Blondet
Non dico abbiano torto i gruppi
ambientalisti che, mentre al summit di Johannesburg s'avvicina l'ora
degli addii, continuano a inondare i giornalisti dei loro volantini,
addolorati e disperati, dove si grida al fallimento e al tradimento.
La voce degli affari, qui, ha avuto più voce in capitolo della loro.
L'accordo sul documento finale è stato trovato a prezzo di molta
biacca e scolorina sulle speranze ecologiche, che trionfarono a Rio.
Però non so dar torto nemmeno a Nitin Desai, l'economista indiano
che è segretario generale dell'Onu per questo vertice: "Rio era una
dichiarazione d'intenzioni; da Johannesburg viene un impegno
all'azione".
E ancora: "Il senso di questo vertice non era di segnare un'avanzata
rispetto a Rio, ma di far assumere impegni". E quest'impegno c'è.
Potrà parere fiacco, compromissorio. Ma, come ha detto Tony Blair,
contiene decisioni reali: "Milioni di bambini in più, istruiti.
Milioni in più con acqua sicura da bere. Milioni tirati fuori dalla
povertà". Senza offendere, forse gli amici della galassia verde
dovrebbero chiedersi se il (parziale) fallimento o tradimento delle
loro istanze non è anche colpa loro. Il business globale sa che cosa
vuole, parla con una sola voce, sa coalizzare convenienze. Ogni
gruppo ecologico, verde, no-global, ha invece una sua richiesta che
- presa a sé - è fortemente minoritaria, inconciliabile con le
altre, talvolta lunatica e inattuabile, e spesso appare in contrasto
con gli interessi dei più, e addirittura, semplicemente, contro la
vita umana. "Il mondo è malato, e il suo virus è l'uomo". La
demografia come piaga. La crescita economica dei Paesi in sviluppo
denunciata come fonte d'inquinamento e di stragi di specie rare; le
esigenze "verdi", lusso del Nord del mondo, sembravano in collisione
con le speranze e le aspirazioni del Sud: dividevano, anziché unire.
Il vertice di Johannesburg ha cambiato questa situazione: per la
prima volta, ha detto che la difesa dell'ambiente passa per il
miglioramento della vita dei popoli e dei miliardi di uomini che
hanno poco, che vivono meno e male, in condizioni che è lo stesso
sottosviluppo a rendere inquinanti e malsane. Così, per la prima
volta, è riuscito a coinvolgere, a cointeressare governi e popoli
dei Paesi poveri in progetti di salvaguardia dell'ambiente, che
prima erano la preoccupazione dei fanatici delle medicine
alternative, del salutismo da palestra e dei cibi integrali.
Non è un successo da poco, e Johannesburg l'ha colto ancor prima di
cominciare. Per la prima volta, biodiversità e aria pulita e
cambiamento del clima sono stati dibattuti davvero come un tema
comune del mondo, non di pochi maniaci urbani ricchi occidentali.
Anche gli Stati Uniti, che qui hanno fatto la parte di antagonisti
(accentrando su di sé molti strali), non negano che il problema sia
di tutti e vada affrontato: si dividono solo sul "come". Per essi, è
il mercato che trova le soluzioni migliori; paventano le piogge di
soldi pubblici affidate a mega-burocrazie pubbliche o
sovrannazionali, e nemmeno loro hanno torto. Certo, il vertice non è
stato entusiasmante. Ma è stato un passo avanti. Il primo dei molti
che ci aspettano ancora.