Super potenza e buone volontà
Johannesburg: pur di arrivare a un accordo con gli
Usa, i paesi europei hanno rinunciato a gran parte di loro obiettivi. Abdicando
a un ruolo che, invece, rimane decisivo
di ROBERTO DELLA SETA*
JOHANNESBURG
Finisce malino, questo summit sullo Sviluppo sostenibile di
Johannesburg ribattezzato un po' pomposamente «Rio più 10». Finisce con un
accordo che di fatto non è più di una dichiarazione d'intenti, senza obiettivi
vincolanti in termini di numeri e di date. E finisce, qui sta il peggio, con un
deciso cambio di rotta sul modo di affrontare i grandi problemi ambientali e
sociali planetari: niente più impegni multilaterali, con il protocollo di Kyoto
quasi ignorato nel documento finale; le questioni del commercio e della barriere
doganali demandate al Wto; la scelta di puntare sugli accordi bilaterali tra
paesi ricchi e poveri e sui cosiddetti interventi volontari di tipo 2, in
pratica il mercato elevato a criterio fondamentale su cui basare le politiche
per lo «sviluppo sostenibile». Rispetto alle conclusioni di Rio de Janeiro (le
Convenzioni sul clima e sulla biodiversità, soprattutto) è una vera svolta, che
porta evidentissima l'impronta a stelle e strisce dell'America di Bush e del
dopo 11 settembre. Gli Stati uniti che pochi mesi fa
hanno gettato nel cestino il Protocollo di Kyoto, anche qui a Johannesburg hanno
fatto capire senza mezzi termini che di accordi multilaterali sui temi
ambientali e sociali globali non ne vogliono più sapere: loro - ha
detto chiaro e tondo la ministra dell'ambiente Dobrjanski (forti interessi
personali nel settore petrolifero) - finanziano e finanzieranno lo sviluppo
dei paesi poveri sulla base di accordi a due, scegliendosi i partner a seconda
delle convenienze politiche ed economiche, e non muoveranno un passo per ridurre
la propria fetta di emissioni dannose per il clima (oltre il 25%).
L'energia è davvero uno dei temi che escono più malconci da Johannesburg. Nel
Piano d'azione finale dovrebbe comparire un obiettivo di crescita delle fonti
rinnovabili - almeno il 15% su base globale entro il 2012 - che già assomiglia a
una grande presa in giro (tra le rinnovabili vengono infatti considerate anche
le grandi dighe, il legname, i rifiuti, energie tutt'altro che «pulite» e che in
ogni caso già oggi danno poco meno del 15% di tutta l'energia prodotta nel
mondo) e che in ogni caso alla fine è stato accantonato per l'opposizione
congiunta degli Usa e dei paesi produttori di petrolio che fanno parte del G77
(il gruppo dei paesi poveri).
E l'Europa? A Johannesburg finora si è vista poco. Pur di arrivare ad un accordo
con gli Stati uniti, i paesi europei hanno accettato che restassero esclusi dal
piano di azione molti degli obiettivi a loro più cari, dai target sulle nuove
energie rinnovabili (solare, eolico, geotermico, piccolo idroelettrico) al bando
dei prodotti chimici pericolosi per l'ambiente e la salute (si è scelta una
formula molto più ambigua: «Minimizzarne gli effetti dannosi»), e hanno evitato
di assumere impegni stringenti su altre questioni chiave, come l'esigenza di
ridurre in casa propria i sussidi ai prezzi agricoli e le tariffe commerciali
che impediscono ai paesi poveri l'accesso ai nostri mercati. Persino al di sotto
di questo già basso profilo il comportamento del governo italiano. D'altronde
avevamo pochi titoli per fare bella figura: sul "fronte interno" siamo il paese
europeo dove in questi anni le emissioni di anidride carbonica sono cresciute di
più (oltre il 5% dal 1990, contro un obiettivo di riduzione assegnatoci da Kyoto
del 6,5%), su quello "esterno" siamo insieme agli Stati uniti il paese dell'area
Ocse che destina alla cooperazione allo sviluppo la quota più bassa del proprio
Pil (0,12%).
Eppure il ruolo dell'Europa si è confermato anche qui
in Sudafrica decisivo per dare vita a politiche globali concrete e innovative in
tema di ambiente e specialmente di mutamenti climatici. Dopo i
discorsi di forte difesa del protocollo di Kyoto pronunciati al summit da Prodi,
Blair, Chirac e Schroeder (tra i leader europei solo Berlusconi ha ignorato la
questione), la Russia e anche la Cina hanno annunciato che seguiranno l'Unione
europea e il Giappone nella ratifica. Questa è sicuramente la novità più
positiva che esce dal summit: perché il sì di Mosca farà scattare l'entrata in
vigore del trattato, e perché la coerenza dell'Europa su un punto tanto
importante apre una crepa incoraggiante nel muro d'indisponibilità dei paesi
ricchi a mettere in gioco le proprie responsabilità globali.
Proprio i passi avanti verso la ratifica definitiva del protocollo di Kyoto
confermano inoltre l'importanza della pressione dal basso dei cittadini per
cambiare segno ai processi di globalizzazione. Un'azione che noi di Legambiente
conduciamo e condurremo, com'è naturale, prima di tutto in Italia e in Europa,
convinti come siamo che le ragioni di quella che abbiamo chiamato «buona
globalizzazione» (meno petrolio e più fonti rinnovabili, sovranità alimentare
per i paesi poveri e sicurezza alimentare per i consumatori, regole del
commercio sottratte al controllo del Wto) siano le stesse che possono dare a
paesi come il nostro - per i quali la possibilità di competere con successo in
un mondo sempre più "tutto attaccato" è inseparabile dalla scelta di scommettere
sulla qualità ambientale e sociale dello sviluppo economico - un futuro forte e
pulito. Ma come abbiamo fatto qui in Sudafrica - dove siamo venuti insieme ad
Amref, una grande Ong africana che gestisce centinaia di interventi sanitari,
presentando i risultati di un viaggio attraverso il Kenya e la Tanzania per
raccontare l'intreccio tra mutamenti climatici e aumento della povertà -
continueremo a ricercare la collaborazione e lo scambio con altre forze
associative che si battono per i nostri stessi valori: una prima occasione è
ormai alle porte, il forum sociale europeo che si terrà a Firenze nel prossimo
novembre. Altre ne costruiremo, la sfida è radicare
nella società e nell'opinione pubblica la consapevolezza che la via di uno
sviluppo globale equo e pulito non è soltanto la più giusta, ma pure l'unica
realistica.
*Portavoce nazionale di Legambiente
testo integrale tratto da "Il Manifesto" - 4 settembre 2002