Don VITTORIO NOZZA
Direttore Caritas italiana
Il welfare è un tema grande e significativo, sui cui vi consegno 5-6 parole.
1) L’itinerario italiano al welfare non è separato da quel movimento di liberazione umana che ha seguito l’estendersi di industrializzazione, la nascita del proletariato, il conflitto di classe. Il termine “welfare” si è formato tardi e con connotazioni improprie, così come la definizione di “stato sociale”. In Italia si è parlato di “sicurezza sociale”. Volendo trovare le tracce di un contributo cattolico nel cammino percorso, la sicurezza sociale costituisce un capitolo del più vasto ambito della giustizia sociale. Tra le caratteristiche dell’approccio cattolico alla sicurezza sociale, la diffusione della giustizia per tutti e la convinzione che non sia mai praticabile una rinuncia di libertà in cambio di una ricerca di benessere.
2) Sicurezza sociale: diventa un concetto di sintesi nel dopoguerra. La miseria per disoccupazione era stata inflitta a ingenti masse umane in tutto l’Occidente. Il capitalismo con la sua flessibilità accettò o patrocinò un insieme di protezioni sociali; la sicurezza sociale significò la volontà di contrastare la precarietà provocata dalla crisi. Purtroppo oggi il capitalismo viene bollato, né migliore sorte per coloro che denunciarono l’offesa alla dignità umana insita in ogni determinismo economico.
3) Nel ’49, alla Settimana sociale dei cattolici, che fu impostata con un respiro costituente, il tema scelto fu proprio la sicurezza sociale. Si parlò di universalizzazione dei servizi: coprire tutti gli eventi di bisogni sociali; di unificazione, cioè lavoro in rete nella previdenza. Si parlò anche dell’opera di advocacy e allo stesso tempo degli aiuti concreti, dell’azione soccorritrice che nessuna giustizia riesce a coprire. Ci fu un’espansione della tutela di cittadinanza. Pietro Pavan, allora professore di sociologia, parlo di diverse tendenza da incoraggiare. Mise in evidenza la necessità: di semplificare lo Stato, in particolare per quanto riguardava la riscossione di tributi; di realizzare una universalizzazione dei servizi; di unificare, attraverso un lavoro di nero, i vari istituti e realtà che realizzavano la previdenza e l’assistenza. In quell’occasione si mise ancora in evidenza il tema della salute, dell’assistenza sanitaria, che deve essere garantita a tutti e quello della disoccupazione che va contenuta entro determinati limiti per evitare che si verifichi una disoccupazione di massa. Si parlo infine del ruolo delle Opere di carità che oggi si rivelano più necessarie (oggi parliamo di advocacy) per infondere un accento umano e cristiano alle forme stabilite di sicurezza sociale.
Altro punto chiave è il rapporto tra Stato ed enti intermedi che deve valorizzare tutti gli attori sociali: dalla persona alla famiglia, dalle istituzioni locali ai sindacati, dalle associazioni allo Stato. Mentre storicamente il capitalismo e il liberismo hanno cercato forme di compatibilità con le esigenze dei diritti dei cittadini, oggi lo stato sociale è considerato come opzionale. Lo Stato è inviato a farsi da parte per consegnare agli “spiriti vitali” il timone della storia. Siamo di fronte ad un grosso cambiamenti etico-culturale. Precedentemente la concezione dello stato era guidata da una dottrina dell’inclusione, delle tutele garantite tendenzialmente a tutti. Oggi, invece la prassi visibile adottata dallo stato è quella dell’esclusione. Siamo invitati ad arrangiarci. I ricchi si affidano all’assistenza sanitaria privata e possono detrarre dalle tasse le spese, ai poveri è assicurata una assistenza residuale. Si delinea sul piano culturale un rovesciamento delle priorità. Ciò che conta e la produttività e la competitività. C’è l’idea che la sicurezza sociale danneggi lo sviluppo economico. La sicurezza sociale va ridotta al minimo. Vi è in questo discorso una forte carica ideologica che porta alla flessibilità del lavoro, allo stato minimo, al non correggere il commercio estero. Si sta delineando una società a quattro strati: esclusi; precari; garantiti; privilegiati.
Un’azione politica che voglia avere una valenza sociale di giustizia deve mettere al primo posto la questione del lavoro: contrariamente a quanto si riteneva fino a 50anni fa, l’obiettivo della piena occupazione non può essere perseguita soltanto attraverso manovre di mercato come investimenti e fisco. Né è sostenibile il ricorso permanente a forme più o meno assistenziali di intervento o si può imporre il sovraccarico di un “imponibile di manodopera”. Non si può evitare un percorso che riattivi, in forme moderne, un ruolo propulsivo dello stato della promozione e dello sviluppo economico e sociale, anche mediante alcuni grandi interventi operativi (es acqua nel Mezzogiorno) che aiutino lo sviluppo e l’impiego. Il primo capitolo del welfare che verrà non può non essere quello dell’occupazione e della programmazione necessaria per conseguirla.
La seconda questione è quella della salute come diritto esigibile di ogni cittadino, o meglio residente. Va detto con chiarezza che il servizio Sanitario Nazionale ha senso soltanto se finanziato con il gettito fiscale, nel senso che tutti pagano per tutti e non consente disaffiliazioni di alcun genere. Un terzo input è relativo al concetto di sistema integrato definito legislativamente nel campo dell’assistenza dalla 328/2000. Il principio di integrazione opera in diversi ambiti: sociale, sanitario, educativo-formativo. Si integrano i soggetti chiamati in causa e tutele funzioni operative.
E la Chiesa quale ruolo può avere? Se guardiamo alle realtà locali, alle comunità, al loro modo di rapportarsi con la parola di Dio non letta fuori del tempo si apre un orizzonte sconfinato di impegno educativo e pratico. Come laici credenti è nostra responsabilità scegliere tra partecipazione assenteismo, tra indifferenza e impegno, tra il prendersi cura degli altri e il farsi i fatti propri. Riprendendo una affermazione di Don Tonino Bello: «il volontariato ... deve sentirsi padre di cultura più che produttore di servizi, generatore di coscienza critica, più che gestore degli scarti residuali dell’emarginazione sfuggiti alle bene remunerate ditte appaltatrici di un assistenzialismo inerte».